Società in house e affidamenti diretti: il Consiglio di Stato interroga la Corte di Giustizia.

Con ordinanza, i Giudici di Palazzo Spada hanno sottoposto al vaglio della Corte di Giustizia UE due questioni pregiudiziali concernenti la normativa italiana sulle società in house e l’affidamento diretto a questi organismi anche dei servizi disponibili sul mercato in concorrenza.

Il Consiglio di stato, in sostanza, chiede ai Giudici europei se la disciplina nazionale sia o meno in contrasto con i principi del trattato e con le direttive appalti del 2014.

La sentenza di primo grado appellata aveva dichiarato legittimo l’affidamento diretto, da parte di un Comune, del servizio di igiene urbana in favore della società in house pluripartecipata dal Comune e sotto controllo analogo congiunto.

L’appellante, tra i vari motivi, eccepiva la violazione dell’articolo 192, comma 2 del d.lgs 50/2016 in quanto «non sembravano avere avuto rilievo né le ragioni del mancato ricorso al mercato, né gli specifici benefìci per la collettività connessi alla forma di affidamento prescelta» (in house) di cui all’articolo 192 del codice dei contratti pubblici.

L’articolo 192, comma 2, del Codice degli appalti pubblici, impone che l’affidamento in house di servizi disponibili sul mercato (come riguardati dalla presente controversia) sia assoggettato a una duplice condizione:

  1. l’obbligo di motivare le condizioni che hanno comportato l’esclusione del ricorso al mercato, condizione che, a dire dei Giudici, muove dal ritenuto carattere secondario e residuale dell’affidamento in house, che appare poter essere legittimamente disposto soltanto in caso dimostrato ‘fallimento del mercato’  rilevante a causa di prevedibili mancanze in ordine a “gli obiettivi di universalità e socialità, di efficienza, di economicità e di qualità del servizio, nonché di ottimale impiego delle risorse pubbliche” (risultando altrimenti tendenzialmente precluso), cui la società in house invece supplirebbe;
  2. la seconda condizione consiste nell’obbligo di indicare, a quegli stessi propositi, gli specifici benefìci per la collettività connessi all’opzione per l’affidamento in house.

I Giudici si soffermano sullo sfavore riservato dalla normativa italiana all’affidamento in house rispetto alle usuali forme di appalto.

L’altro dubbio sollevato dai Giudici riguarda il contrasto con l’art. 4, comma 1 del Testo unico sulle società partecipate, ai sensi del quale «le amministrazioni pubbliche non possono, direttamente o indirettamente, costituire società aventi per oggetto attività di produzione di beni e servizi non direttamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, né acquisire o mantenere partecipazioni, anche di minoranza, in tali società».

Ciò premesso, il Consiglio di stato, dubitando, che le disposizioni del diritto interno, nel subordinare gli affidamenti in house a condizioni aggravate e a motivazioni rafforzate rispetto alle altre modalità di affidamento, siano autenticamente compatibili con le pertinenti disposizioni e principi del diritto primario e derivato dell’Unione europea, ha rimesso gli atti alla decisione della Corte di giustizia europea.

(Cons. St., Sez. V, 7/1/2019, n.138)