Il rito superaccelerato (era) costituzionalmente legittimo

La Corte costituzionale ha respinto le questioni di legittimità costituzionale sull’ormai abrogato rito superaccelerato in materia di appalti pubblici, comunque ancora rilevanti in ragione dell’applicabilità ai processi iniziati prima dell’ entrata in vigore della legge di conversione del decreto Sblocca Cantieri.

Fra l’altro, la Corte costituzionale ha ritenuto che la scelta di introdurre il rito in questione non poteva ritenersi irragionevole, alla luce della ratio individuata nell’esigenza di definire la platea dei soggetti ammessi alla gara in un momento antecedente all’esame delle offerte. Inoltre, l’onere di immediata impugnazione e la correlata preclusione processuale non sarebbe tale da rendere impossibile o estremamente difficile l’esercizio del diritto di difesa.

La sentenza esclude poi che nel caso di specie il legislatore abbia configurato una giurisdizione di tipo oggettivo volta a tutelare l’interesse generale alla correttezza e trasparenza delle procedure di affidamento, ma che la disciplina in questione avrebbe piuttosto inteso dare autonoma rilevanza all’interesse strumentale o procedimentale del concorrente alla corretta formazione della platea dei soggetti partecipanti alla gara, interesse proprio e personale del concorrente, visto che la maggiore o minore estensione di quella platea incide oggettivamente sulla chance di aggiudicazione.

Infine, la Corte costituzionale non è entrata nel merito della spinosa questione del cumulo dei contributi unificati, che non avrebbe potuto essere motivo di illegittimità costituzionale delle norme istitutive del rito superaccelerato ma, eventualmente, di quelle che regolano l’imposizione o la misura del contributo, che non erano oggetto dello scrutinio di costituzionalità richiestole nel caso di specie.

Corte costituzionale, 13/12/2019, n. 271