garanzia

La durata del procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta: 5 mesi sono sufficienti?

offertaQual è la durata del procedimento di verifica dell’anomalia dell'offerta? Può la stazione appaltante procedere all’esclusione di un partecipante ad una gara d’appalto all’esito di un subprocedimento di verifica dell’anomalia durato oltre 5 mesi?

A tale quesiti ha fornito una risposta una recente pronuncia del TAR Campania.

Nei fatti accadeva, in estrema sintesi, che, all’esito di una procedura di gara per l’aggiudicazione del servizio di logistica integrata, un operatore economico, dopo aver ottenuto il massimo punteggio per l’offerta tecnica ed economica, veniva escluso dopo che era stato espletato il procedimento di verifica di anomalia dell’offerta.

In particolare, l’esclusione veniva disposta dall’amministrazione dopo ben 5 mesi dall’avvio del subprocedimento di verifica dell’anomalia, che era stato caratterizzato da numerosi chiarimenti richiesti dall’amministrazione all’operatore.

Avverso l’esclusione, l’operatore formulava istanza di annullamento in autotutela. A fronte di ciò, l’amministrazione formulava istanza di parere di precontenzioso ex art. 211, d.lgs. 50/2016, in riscontro alla quale l’ANAC invitava l’amministrazione a procedere alla verifica delle singole voci di costo indicate nell’offerta economica.

Esperito tale ulteriore istruttoria, la stazione appaltante, tuttavia, confermava il provvedimento di esclusione.

L’operatore impugnava così il provvedimento di esclusione, lamentando l’illegittimo comportamento tenuto dall’amministrazione. A parere del ricorrente, sarebbe stata ravvisabile un’irregolarità formale del subprocedimento di verifica dell’anomalia, che si era indebitamente protratto per un periodo di tempo eccessivamente lungo, pari ad oltre 5 mesi.

La censura così formulata non ha trovato accoglimento.

Secondo il Collegio, il fatto che il subprocedimento di verifica dell’anomalia si sia protratto per oltre 5 mesi non è un elemento sintomatico della legittimità o meno del provvedimento conclusivo del procedimento (nel caso di specie, la determina di esclusione).

Sottolinea il TAR, infatti, che le maggiori occasioni di dialogo e confronto tra il ricorrente e la stazione appaltante sull’offerta economica rappresentano potenzialmente un vantaggio per il ricorrente la cui offerta è sottoposta a stringente scrutinio, il quale ha occasione di “provare” l’affidabilità della propria offerta.

In altri termini, è ben possibile – come accaduto nel caso di specie – che la stazione appaltante, ricevute le prime giustificazioni dal concorrente, non sia messa nelle condizioni di superare i dubbi sorti in merito all’attendibilità dell’offerta su cui sta operando la verifica dell’anomalia, motivo per cui è perfettamente legittimo che la stessa richieda ulteriori chiarimenti al partecipante soggetto alla verifica medesima.

La richiesta di plurimi e successivi chiarimenti all’operatore economico rappresenta una condotta che, nelle stesse parole dei giudici viene definita come “doverosa”, attesa la ratio e la finalità propria dell’art. 97 d.lgs. 50/2016.

Come precisato dalla giurisprudenza, richiamata anche nella motivazione dal TAR, sebbene l’ulteriore fase di confronto procedimentale a seguito della presentazione dei primi giustificativi non sia più obbligatoria, la stazione appaltante sarà comunque legittimata “alla richiesta di ulteriori chiarimenti o a una audizione quando le circostanze lo richiedano per l’incompletezza delle giustificazioni” (in questi termini, cfr. TAR Lazio Roma, Sez. I bis, 4.1.2021, n. 11).

Il Collegio ha così rigettato il ricorso, ritenendo che il motivo di impugnazione così articolato si traduceva, nel caso di specie, “in una critica indiscriminata e meramente formalistica dell’operato della stazione appaltante non sorretto da una qualsivoglia (condivisibile) concretezza”, atteso che non era stato dimostrato in che modo la lamentata irregolarità del sub-procedimento di anomalia aveva pregiudicato l’esito del procedimento.

TAR Campania Napoli, Sez. IV, 7.2.2023, n. 867


AGCM: il claim di primato “il n. 1 in Italia” può costituire una pratica commerciale scorretta

AGCM: il claim di primato “il n. 1 in Italia” può costituire una pratica commerciale scorretta

AGCM: il claim di primato “il n. 1 in Italia” può costituire una pratica commerciale scorretta Vantare un primato aziendale (il n. 1 in Italia) non verificabile da un consumatore può costituire una pratica commerciale scorretta.

Il tema della diffusione di claim di primato non supportati da dati sufficientemente aggiornati è stato nuovamente oggetto di un procedimento innanzi all’AGCM, conclusosi con l’accettazione degli impegni presentati dalla società segnalata in merito all’aggiornamento e alla pubblicazione dei dati a supporto del claim.

IL CASO

Le società protagonista della vicenda è Idealista S.p.A., operante nel settore della pubblicazione di annunci immobiliari su piattaforme online.

Un competitor del settore – la società Immobiliare.it S.p.A. - aveva proceduto a segnalare Idealista, contestandone il comportamento commerciale. In particolare, in base alla segnalazione, la società avrebbe diffuso dei messaggi pubblicitari ingannevoli in merito alle caratteristiche del servizio offerto ed alla posizione di primato raggiunta nel proprio settore di attività.

Più precisamente, a partire da maggio 2021, nella homepage del sito, immediatamente sopra il box per la ricerca di annunci di vendita o affitto, quindi in una posizione particolarmente visibile per il consumatore, era stato posizionato il claim di primato con l’espressione “il n. 1 in Italia”. Tale claim era stato incluso anche anche nell’app.

Il claim, tuttavia, non era accompagnato dall’indicazione dei dati su cui si fondava il primato.

Solo dal marzo 2022 cliccando sul claim presente nel sito-web, era stato reso possibile accedere ad una landing page con i dati relativi al numero di visitatori mensili, gi annunci pubblicati, i download dell’app ecc. Lo stesso, invece, non era stato previsto per l’app.

IL PROCEDIMENTO

Sulla scorta della segnalazione pervenuta, l’AGCM ha avviato il procedimento, rinvenendo nella condotta della società la possibile violazione degli artt. 20 e 21, comma 1, lett. f) del Codice del consumo.

L’art. 20 del Codice vieta infatti le pratiche commerciali scorrette idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico del consumatore medio di un dato prodotto.

A sua volta, l’art. 21, comma 1, lett. f) definisce pratica commerciale ingannevole quella che contiene “informazioni non rispondenti al vero o, seppure di fatto corretta, in qualsiasi modo, anche nella sua presentazione complessiva, induce o è idonea ad indurre in errore il consumatore medio” e che, “in ogni caso, lo induce o è idonea a indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso”. È dunque ritenuta idonea a trarre in errore il consumatore figura, in base alla lett. f) della norma, la falsa o artata rappresentazione di alcuni elementi, tra cui: “la natura, le qualifiche e i diritti del professionista o del suo agente, quali l’identità, il patrimonio, le capacità, lo status, il riconoscimento, l’affiliazione o i collegamenti e i diritti di proprietà industriale, commerciale o intellettuale o i premi e i riconoscimenti”.

Secondo l’Autorità, dunque, la condotta segnalata avrebbe potuto integrare una fattispecie di pratica ingannevole. La comunicazione commerciale sulla posizione di leadership della società sarebbe stata in grado di falsare in misura apprezzabile il comportamento economico dei consumatori, così da determinarli a scelte economiche che altrimenti non avrebbero assunto. Il comportamento dei consumatori sarebbe stato determinato dalle affermazioni di primato, che avrebbero potuto indurre a ritenere che la società fosse il più importante operatore sul mercato, di cui, tuttavia, non sarebbe stata fornita immediata dimostrazione o possibilità di verifica al riguardo.

Nel corso del procedimento, la società segnalata ha chiarito che il claim riportato nel sito “il n. 1 in Italia”, riguardava un primato risultante da una serie di analisi condotte, che avevano considerato numerosi indici, tra cui: il numero di visitatori mensili, il numero di annunci di case e appartamenti in vendita, l’audience deduplicata, il numero di visite totali, il numero di nuovi download dell’App.

Nel corso del procedimento è poi intervenuta anche la società Immobiliare, che ha dato atto della pendenza di un giudizio innanzi al Tribunale di Milano, promosso da Immobiliare contro Idealista per concorrenza sleale in ragione dell'illegittima usurpazione del primato di cui si discute, con riferimento all'uso del claim “n. 1 in Italia” sul proprio sito. Accanto a ciò, Immobiliare ha rimarcato come il primato vantato dalla società Idealista era comunque da considerarsi fortemente ingannevole, in quanto basato su dati non scientifici, inaffidabili e comunque instabili nel corso del tempo.

GLI IMPEGNI FORMULATI DALLA SOCIETA’ SEGNALATA E LA VALUTAZIONE DELL’AGCM

La società segnalata ha dunque presentato all’AGCM una proposta di impegni da assumere entro 60 giorni dall’accoglimento per porre fine all’infrazione.

Tra questi, la società ha proposto:

  1. la modifica della landing page del sito collegata al claim di primato, dando maggiore risalto al periodo di riferimento dei dati posti a sostegno del claim di primato e alla cadenza di aggiornamento;
  2. l’indicazione nella landing page dei parametri utilizzati posti a fondamento del claim di primato;
  3. l’aggiornamento trimestrale dei dati riportati;
  4. l’eliminazione del claim ove i dati dovessero non confermare più il primato vantato;
  5. inserimento di una landing page contenente le informazioni relative ai dati anche nell’App.

Le misure presentate sono state ritenute idonee dall’AGCM ad eliminare le criticità informative segnalate.

Secondo l’Autorità, infatti, “- indipendentemente dalla fluttuazione dei dati volti ad attestare la posizione di primato raggiunta nel mercato delle piattaforme digitali di annunci immobiliari – ciò che rileva ai fini della divulgazione di affermazioni di leadership sono le indicazioni sulle fonti e i parametri, e i relativi aggiornamenti, posti a fondamento delle asserzioni di primato raggiunto”.

L’Autorità ha così ritenuto che “i richiami alle fonti ed ai criteri e parametri prescelti per sostenere la posizione di primato detenuta nel mercato interessato costituiscono elementi informativi sufficienti per consentire ai consumatori di scegliere di consultare o meno la piattaforma d’inserzioni immobiliari del professionista”.

Accogliendo, dunque, gli impegni proposti,  l’AGCM ha concluso il procedimento senza accertare l’infrazione, disponendo tuttavia l’obbligo per la società segnalata di ottemperare agli impegni proposti.

Bollettino n. 5/2023 - Provvedimento n. 30450 (PS12348 – Idealista – Claim di primato)


Omessa produzione attestazione di equipollenza titolo di studio: esclusione dalla gara d’appalto o soccorso istruttorio?

Omessa produzione attestazione di equipollenza titolo di studio: esclusione dalla gara d’appalto o soccorso istruttorio?

Omessa produzione attestazione di equipollenza titolo di studio: esclusione dalla gara d’appalto o soccorso istruttorio?In mancanza dell’attestazione di equipollenza del titolo di studio conseguito all’estero da un componente del proprio staff (ossia dei soggetti impiegati per l’esecuzione dell’appalto medesimo), è legittima l’esclusione dalla gara d’appalto o deve essere attivato il soccorso istruttorio?

E, se deve attivarsi il soccorso istruttorio, su quali ragioni si basa la decisione?

A tali quesiti fornisce risposta il CGARS.

Ma andiamo con ordine.

Fatto e giudizio di primo grado

In una procedura avente ad oggetto l’affidamento del servizio di digitalizzazione dei fascicoli giudiziari, da aggiudicarsi con il criterio del minor prezzo, un concorrente è stata escluso per non aver allegato, alla domanda di partecipazione alla gara, la dichiarazione di equipollenza del titolo di studio (conseguito, da uno dei responsabili del servizio, in Romania).

Nel giudizio avverso l’esclusione, il Collegio investito della questione ricorda, anzitutto, che la Convenzione di Lisbona – ratificata con l. 11 luglio 2002, n. 148 – ha introdotto nel nostro ordinamento il principio del riconoscimento finalizzato del titolo di studio estero: perché un titolo di studio conseguito all’estero abbia valore legale anche in Italia, il titolare del documento dovrà ottenere l’attestazione di equipollenza.

In assenza di tale dichiarazione – con cui si valuta la completezza, esaustività e corrispondenza dei cicli di studio svolti all’estero rispetto agli omologhi parametri nazionali – il titolo di studio conseguito all’estero non potrà essere proficuamente speso per la partecipazione a procedure selettive in Italia (concorsi pubblici o gare di appalto), non essendo possibile verificare la corrispondenza del titolo de quo con quanto richiesto dalla lex specialis.

Né, conclude il Collegio, l’amministrazione poteva ricorrere al soccorso istruttorio, in ragione del fatto che la contestata mancata produzione del documento non era sanabile con il ricorso a tale istituto (essendo essa riconducibile ad un requisito di capacità tecnico-professionale).

Sulla base di tali argomentazioni, il ricorso è stato rigettato.

Giudizio in CGARS

Le conclusioni cui giungeva il Collegio di prime cure non venivano, però, condivise dal CGARS.

Pur ritenendo corretto che il partecipante ad una gara di appalto in possesso di titolo di studio conseguito all’estero debba necessariamente produrre l’attestazione di equipollenza, a prescindere dalla circostanza che essa sia richiesta o meno dalla lex specialis di gara (si tratterebbe, infatti, di un principio di carattere generale, ricavabile dalla citata l. 148/2002), la mancata produzione dell’attestazione medesima non è motivo tale da giustificare l’esclusione dalla gara.

A tal proposito, nessuna disposizione della lex di gara impone l’esclusione nel caso di omessa produzione dell’attestazione di equipollenza: in tale circostanza, l’amministrazione avrebbe dovuto attivare il soccorso istruttorio (e, pertanto, attendere un ragionevole termine entro cui il concorrente avrebbe dovuto produrre tale documento) oppure richiedere al partecipante la sostituzione della risorsa (il concorrente si era peraltro dichiarato disponibile ad una soluzione in tal senso).

Con specifico riferimento alla mancata attivazione del soccorso istruttorio (giustificata con la circostanza che l’attestazione non prodotta era qualificata come requisito di capacità tecnico-professionale), è sufficiente osservare come il curriculum (cui l’attestazione doveva essere allegata) non costituisce né un requisito di partecipazione né è parte dell’offerta tecnica e/o di quella economica.

Il curriculum è, infatti, un mezzo di comprova del requisito ovvero, più specificamente, va fatto rientrare tra la documentazione amministrativa (sicché l’eventuale sostituzione del CV non determina una inammissibile modificazione soggettiva dell’offerta, tale da comportare l’esclusione del concorrente).

Per tali motivi, il CGARS conclude che “il soccorso istruttorio (…) sarebbe stato doveroso, atteso, da un lato, che (…) la carenza della comprova del requisito non attiene ad elemento sostanziale dell’offerta economica o tecnica, ma alla completezza della documentazione amministrativa”, con l’ulteriore precisazione che “l’irregolarità in discorso (…) non evidenzia alcuna carenza sostanziale del requisito alla cui dimostrazione la documentazione omessa era finalizzata”.

(CGARS, Sez. giurisdizionale, 2.1.2023, n. 4)


Caro materiali: il silenzio delle SA sulle istanze di compensazione 1-septies d.l. 73/2021 è illegittimo.

Caro materiali: il silenzio delle SA sulle istanze di compensazione 1-septies d.l. 73/2021 è illegittimo.

Caro materiali: il silenzio delle SA sulle istanze di compensazione 1-septies d.l. 73/2021 è illegittimo.Torniamo sul caro materiali: il silenzio delle SA sulle istanze di compensazione 1-septies d.l. 73/2021 è illegittimo.

Così ha stabilito di recente una sentenza del TAR Campania.

Si tratta di una tesi che noi di Legal Team abbiamo patrocinato sin da subito. Nel nostro paper di approfondimento sul “caro materiali negli appalti pubblici” (scaricabile gratuitamente cliccando qui), abbiamo sempre ritenuto che tra i rimedi per far fronte alla mancata risposta alle istanze di compensazione presentate dagli appaltatori ai sensi dell’art. 1-septies d.l. 73/2022 si potesse agire innanzi al giudice amministrativo con un’azione avverso il silenzio.

La tesi è riportata anche nel libro “Le sopravvenienze negli appalti pubblici”, edito Legislazione Tecnica, 2022.

La nostra tesi è ad oggi confermata anche nella giurisprudenza.

Vediamo nel dettaglio cosa ha statuito il TAR Campania.

IL CASO

In data 30.11.2021 la società ricorrente aveva formulato istanza di compensazione ai sensi dell’art. 1-septies del d.l. 73/2021 (conv. in l. 106/2021) relativa all’aumento dei prezzi registratosi nel primo semestre 2021.

La ricorrente aveva infatti richiesto la compensazione dei prezzi per i materiali contabilizzati o annotati nel libretto misure dal 1° gennaio 2021 fino al 30 giugno 2021, per un appalto di lavori che era stato regolarmente completato il 23.11.2021.

Dopo circa un anno dalla presentazione dell’istanza, in assenza di riscontro da parte della stazione appaltante, la società aveva promosso un ricorso avverso il silenzio dell’amministrazione, chiedendo al giudice di ordinare all’amministrazione l’espletamento dell’istruttoria e la conclusione del procedimento volto a ottenere le compensazioni richieste.

LA DECISIONE DEL TAR

Il TAR Campania ha accolto il ricorso.

Nella motivazione della sentenza, i giudici hanno colto l’occasione per riassumere il quadro normativo in materia di caro materiali, evidenziando altresì le soluzioni che possono essere realizzate dall’appaltatore per ottenere le somme spettanti.

I giudici hanno così ripercorso gli istituti che nel corso del tempo il legislatore ha coniato per far fronte all’aumento dei prezzi negli appalti pubblici, il c.d. caro materiali: al meccanismo delle c.d. compensazioni straordinarie, introdotte dall’ dell’art. 1-septies del d.l. 73/2021 (conv. in l. 106/2021) si è poi affiancato l’art. 29 del c.d. decreto Sostegni-ter (d.l. 4/2022, conv in l. 25/2022) che ha riproposto l’obbligo della clausola revisione dei prezzi (art. 29, comma 1, lett. a)) e, per i soli contratti relativi a lavori, l’obbligo della stazione appaltante di valutare le variazioni dei prezzi dei singoli materiali da costruzione, ove superiori al 5% del prezzo rilevato nell’anno di presentazione dell’offerta, secondo la metodologia rilevata dall’Istat e sulla base delle determinazioni del Ministero (art. 29, comma 1, lett. b)); infine è intervenuto il c.d. decreto aiuti (d.l. 50/2022, conv. in l. 91/2022), che ha introdotto un meccanismo di adozione dei SAL sulla base dei prezzari aggiornati.

Ripercorsa la normativa di settore, i giudici hanno precisato come il legislatore abbia “introdotto una speciale ipotesi di revisione straordinaria del prezzo d’appalto, nel contesto emergenziale che ha dettato l’intervento legislativo, la quale non si discosta nella sua natura (se non per l’eccezionalità delle previsioni) dall’istituto generale della revisione prezzi”.

È proprio sulla scorta di tale considerazione che i giudici hanno affermato la sussistenza della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, in forza della previsione di cui all’art. 133, primo comma, lettera e), c.p.a.

In tema di revisione prezzi del contratto d’appalto, infatti, la giurisprudenza riconosce la giurisdizione del giudice amministrativo nelle ipotesi in cui “viene in rilievo l’esistenza un potere discrezionale della Pubblica Amministrazione, mentre il giudice ordinario conosce della pretesa che si concreta in una richiesta di adempimento, sulla base di una clausola contrattuale che delinei esattamente l’obbligazione della parte pubblica (cfr. Cons. Stato, sez. III, 7/7/2022 n. 5651, che ha affermato necessaria una “specifica clausola di regolamentazione della revisione prezzi, nell'ambito del contratto di appalto, in cui venga riconosciuta ex ante la spettanza della revisione e siano individuati tempistiche e criteri per determinare l'importo da riconoscere all'appaltatore”, mentre la discrezionalità dell’Amministrazione non è esclusa dall’esistenza di “pertinenti disposizioni di legge [che] non determina alcun vincolo al riconoscimento in concreto della revisione, la quale quindi - sulla base del puro rimando al parametro normativo di riferimento - non può dirsi determinata né nell'an, né nel quantum (Cons. Stato, III, n. 2157 del 2022)”)”.

Nei casi di revisione del prezzo, dunque, la pretesa dell’interessato all’espletamento dell’istruttoria finalizzata al riconoscimento della revisione prezzi esige la formulazione di un’istanza all’amministrazione e, in caso di inerzia, la proposizione dell’azione avverso il silenzio.

Applicando tali considerazioni nel caso di specie, i giudici hanno ritenuto fondata la pretesa dell’appaltatore ad ottenere una risposta dalla stazione appaltante rispetto all’istanza di compensazione presentata ai sensi dell’art. 1-septies del d.l. 73/2021.

Accanto a ciò i giudici hanno riconosciuto che in assenza di un esplicito termine di conclusione dei procedimenti di riconoscimento delle compensazioni previsto dall’art. 1-septies d.l. 73/2021, trova applicazione l’ordinario termine di conclusione dei procedimenti amministrativi pari a 30 giorni, previsto dall’art. 2 l. 241/1990.

Di conseguenza, a fronte della mancata conclusione del procedimento nel termine di 30 giorni dalla presentazione dell’istanza e nel perdurante silenzio dell’amministrazione, hanno ritenuto legittima l’azione giudiziale avanzata dalla società ricorrente volta all’ottenimento di un provvedimento espresso e motivato da parte dell’amministrazione in ordine all’istanza presentata.

I giudici hanno poi precisato che non costituisce un valido motivo per non completare l’istruttoria la circostanza che il d.m. dell’11.11.2021 (contenente le variazioni percentuali dei prezzi dei materiali verificatesi nel primo semestre dell'anno 2021, sulla base del quale sono state avanzate le istanze di compensazione ex art. 1-septies d.l. 73/2021) sia stato annullato dal TAR Lazio. In sede cautelare, infatti, il Consiglio di Stato ha precisato che le disposizioni del d.m. continuano a trovare applicazione in via transitoria: “la riedizione del potere derivante dalla caducazione del provvedimento non esclude la transitoria applicazione delle variazioni dei prezzi già accertate” (ord. Cons. St., Sez. V, 14.10.2022, n. 4936).

LA CONDANNA

I giudici hanno dunque dichiarato l’illegittimità del silenzio serbato dalla stazione appaltante e condannato la stessa a concludere il procedimento entro il termine di giorni 60 giorni, prevedendo altresì che nel caso di inadempimento nel termine assegnato, verrà nominato un commissario ad acta.

Infine, i giudici hanno condannato la stazione appaltante inadempiente al pagamento delle spese di lite per un importo pari a € 1.500,00, oltre accessori di legge e rimborso del contributo unificato.

(TAR Campania, Napoli, Sez. I, 22.12.2022, n. 8016)


Tardiva escussione della cauzione provvisoria: quando si configura il danno erariale?

Tardiva escussione della cauzione provvisoria: quando si configura il danno erariale?

Tardiva escussione della cauzione provvisoria: quando si configura il danno erariale?Con una recente pronuncia, la Corte dei conti - Sez. giurisdizionale della Lombardia ritiene sussistere danno erariale nel caso in cui l’amministrazione non emetta tempestivamente il provvedimento con cui dispone l’incameramento della cauzione provvisoria (che sarà, quindi, non più esigibile) ove l’aggiudicatario di una procedura ad evidenza pubblica si rifiuti di procedere alla stipula del contratto.

Ma andiamo per ordine. Nei fatti, accadeva che l’amministrazione proprietaria del terreno su cui doveva essere edificata una residenza sanitaria assistenziale (RSA) si determinava, a seguito di una stima del valore del terreno medesimo, a procedere all’alienazione della piena proprietà del suolo (laddove, in un primo momento, si era orientata verso la cessione del solo diritto di superficie).

All’esito della asta pubblica che seguiva (espletata ai sensi degli artt. 63 ss., R.D. 827/1924), il terreno veniva venduto – con provvedimento del Responsabile del servizio tecnico (oltre che Sindaco) del Comune – per una cifra complessiva di € 281.500.

L’aggiudicatario, tuttavia, si rifiutava di stipulare il contratto di compravendita del terreno, ritenendo la mancanza di uno sbocco dello stesso sulla pubblica via già esistente condizione ostativa alla realizzazione della RSA.

Nonostante la mancata stipula del predetto contratto, l’aggiudicatario non corrispondeva la somma posta a garanzia dell’offerta (quantificata nel 10% dell’importo offerto). La mancata corresponsione della cauzione, in particolare, era motivata dal fatto che la polizza fideiussoria prestata a corredo dell’offerta fosse scaduta.

Il successivo tentativo dell’amministrazione di escutere la garanzia provvisoria non aveva miglior esito, in quanto il fideiussore osservava come la già menzionata garanzia dovesse ritenersi estinta per intervenuto decorso dei termini. Circostanza, questa, confermata dallo stesso segretario comunale il quale, interpellato in proposito dalla Procura regionale della Corte dei conti, riteneva il credito vantato nei confronti dell’aggiudicatario non recuperabile neppure per via giudiziaria.

In conseguenza di ciò, il Procuratore regionale della Corte dei conti contestava un danno erariale quantificato in € 28.050,00 (pari all’importo della garanzia provvisoria non incamerata), in conseguenza della non tempestiva escussione della fideiussione posta a garanzia della stipulazione del contratto di compravendita.

L’impossibilità di escutere la garanzia provvisoria è ritenuta dalla Corte dei conti come circostanza provata (oltre che non contestata dal debitore). Il giudice contabile, infatti, evidenzia come tale circostanza sia “certa ed attuale”, in ragione del fatto che è spirato, infruttuosamente, il termine utile entro il quale la garanzia medesima poteva essere escussa.

Tenuto conto della notevole esperienza vantata dal responsabile del servizio tecnico (ruolo da questi ricoperto sin dal 2009), il magistrato osserva come sarebbe stato lecito attendersi, da parte del medesimo responsabile, un livello di diligenza più elevato.

Se, dunque, un soggetto con un minimo grado di diligenza avrebbe dovuto escutere la garanzia provvisoria una volta preso atto del rifiuto dell’aggiudicatario di procedere alla stipula del contratto, a maggior ragione medesima condotta doveva essere tenuta da un funzionario esperto.

Né assume alcun rilievo la circostanza (addotta dal responsabile, ma mai sollevata dall’aggiudicatario) circa la potenziale illegittimità della clausola relativa alla escussione della cauzione provvisoria, ritenuta in contrasto con il dettato del Codice dei contratti pubblici (segnatamente, l’art. 103, d.lgs. 50/2016).

Tale argomento non merita condivisione. Ferma restando la circostanza che il riferimento al Codice dei contratti pubblici nei documenti di gara non è elemento idoneo ad attrarre la procedura de qua entro l’ambito di applicazione del predetto testo normativo, il giudice contabile ricorda, inoltre, che le disposizioni contenute nel d.lgs. 50/2016 hanno un ambito applicativo ben delineato. Ne deriva, pertanto, che tali disposizioni si applicano “ai soli contratti cd. passivi, che implicano cioè una spesa per l’ente” e non a contratti, come quello del caso in commento, c.d. attivi (ossia implicanti un’entrata per l’ente medesimo).

Pertanto, il giudice contabile ricorda come un funzionario pubblico minimamente prudente avrebbe dovuto richiedere all’aggiudicatario di prorogare la garanzia a tutela dell’offerta prima della sua scadenza (ovvero ottenere una nuova garanzia).

L’eventuale opposizione di un rifiuto a tali richieste (la prestazione di ulteriore garanzia ovvero la proroga di quella già prestata) da parte dell’aggiudicatario, invero, sarebbe stato chiaro sintomo della pretestuosità delle ragioni addotte dall’aggiudicatario medesimo, il quale intendeva sottrarsi ai propri obblighi.

Sicché, in conclusione, la Corte dei conti evidenzia come “aver supinamente accolto le richieste (giuridicamente infondate) dell’aggiudicataria senza contemporaneamente apprestare alcuna garanzia per le ragioni dell’ente ha determinato non solo la perdita irreversibile del credito nei confronti del fideiussore, ma anche la compromissione dei diritti del Comune nei confronti della aggiudicataria”, così cagionando un danno erariale che deve essere ristorato dal responsabile.

(Corte dei conti, Sez. giurisdizionale Lombardia, 12.12.2022, n. 273)


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