Contratto di avvalimento: va formulato in maniera dettagliata. Repetita iuvant “again”.

Contratto di avvalimento: va formulato in maniera dettagliata. Repetita iuvant “again”.

Contratto di avvalimento: va formulato in maniera dettagliata. Repetita iuvant “again”.Una recente sentenza del TAR capitolino ribadisce, una volta di più, un principio che, apparentemente, non è ancora sufficientemente ovvio: nel contratto di avvalimento vanno indicati, in maniera dettagliata, gli elementi che costituiscono oggetto dell’avvalimento medesimo.

Questi i fatti. All’esito dell’aggiudicazione di un lotto della gara volta ad assegnare la fornitura di materiali, l’impresa seconda graduata in tale specifico lotto formulava istanza di accesso agli atti con riguardo alla documentazione dell’operatore aggiudicatario. Dall’esame di tali documenti emergevano, secondo l’impresa seconda classificata, profili di illegittimità dell’aggiudicazione, in ragione del fatto che l’offerta dell’aggiudicatario era viziata da profili di inammissibilità – sicché la stazione appaltante avrebbe dovuto procedere all’esclusione della stessa.

Veniva, pertanto, adito il TAR, davanti al quale veniva, in estrema sintesi e per quanto qui di interesse, eccepito che:

- in uno dei contratti di avvalimento non venivano indicati, in maniera dettagliata, i macchinari e le risorse umane messe a disposizione – elemento, questo, che avrebbe dovuto condurre all’esclusione dell’operatore economico in questione in conseguenza della nullità del contratto di avvalimento medesimo;

- errava la stazione appaltante a consentire la sostituzione dell’ausiliaria – oggetto del contratto di avvalimento di cui sopra – in quanto la sostituzione sarebbe consentita solo nel caso di carenza dei requisiti soggettivi – e non, come accaduto nel caso di specie, per carenze relative all’offerta;

- del pari, anche il secondo contratto di avvalimento era viziato da nullità, attesa la mancata descrizione dei macchinari e delle attrezzature che l’ausiliaria avrebbe messo a disposizione per l’esecuzione dell’appalto – e non era, di conseguenza, sanabile mediante ricorso all’istituto del soccorso istruttorio.

Il Collegio, da par sua, accoglieva il ricorso. Nel dettaglio, il TAR evidenziava che:

- trattandosi di avvalimento c.d. tecnico-operativo, il relativo contratto deve essere specifico ed indicare nel dettaglio i beni messi a disposizione dell’ausiliata per l’esecuzione dell’appalto – come di recente ricordato dallo stesso TAR capitolino, secondo cui “nel caso di avvalimento tecnico ed operativo, ovvero avente ad oggetto requisiti diversi rispetto a quelli di capacità economico-finanziaria, sussiste sempre l’esigenza di una messa a disposizione in modo specifico di risorse determinate” (TAR Lazio Roma, Sez. I bis, 22.2.2021, n. 2113);

- corollario del principio appena richiamato risulta essere la nullità del contratto di avvalimento, in quanto è principio pacifico in giurisprudenza che le risorse dovranno essere messe a disposizione in modo specifico – sicché in quest’ultima ipotesi il contratto di avvalimento dovrà essere connotato da una particolare specificità.

Da ultimo, il Collegio ricorda che nel caso di specie non è neppure invocabile il soccorso istruttorio: invero, conclude il Tribunale capitolino che “la rilevata genericità, rendendo l’oggetto del contratto indeterminato ed indeterminabile, si traduce nella nullità radicale del contratto stesso e non in una mera irregolarità formale o documentale e che, la nullità, operando ab origine, comporta che il concorrente sia privo dei requisiti di capacità oggetto di avvalimento sin dal momento della presentazione della domanda di partecipazione alla gara, il che ne comporta l’esclusione dalla procedura medesima”.

(TAR Lazio Roma, Sez. I bis, 6.4.2021 n. 4051)


L’estensione della licenza prefettizia per l’attività di vigilanza privata per provincie diverse da quella originaria: chiarimenti dal Consiglio di Stato anche in tema di appalto

L’estensione della licenza prefettizia per l’attività di vigilanza privata per province diverse da quella originaria: chiarimenti dal Consiglio di Stato anche in tema di appalto

L’estensione della licenza prefettizia per l’attività di vigilanza privata per provincie diverse da quella originaria: chiarimenti dal Consiglio di Stato anche in tema di appalto Uno degli aspetti peculiari dell’attività di vigilanza privata attiene all’estensione della licenza prefettizia per province diverse ed ulteriori rispetto a quella in cui si è in origine operato e nella quale è stata richiesto il rilascio della prima licenza da parte della prefettura territorialmente competente.

Il tema dell’estensione della licenza prefettizia è stato di recente portato all’attenzione del Consiglio di Stato che, seppur con riferimento al tema degli appalti, ha in verità precisato degli aspetti di natura generale.

I fatti oggetto della controversia originano nell’ambito di una gara per l’affidamento dei servizi di bonifica degli ordigni esplosivi e di guardiana, propedeutici ai lavori sulla tratta ferroviaria Napoli-Bari, divisi in due lotti territoriali, per un valore totale di euro 5.784.620,73.

Nelle more della stipula del contratto, la mandante dell’ATI aggiudicataria era stata colpita da un’interdittiva antimafia. Avvalendosi del meccanismo di cui all’art. 48, comma 18 del d.lgs. 50/2016, la mandataria aveva proceduto a sostituire la mandante con una nuova società la quale, tuttavia, risultava priva dell’estensione della licenza prefettizia per la provincia interessata dal servizio oggetto dell’appalto.

Di conseguenza, la stazione appaltante aveva proceduto a revocare l’aggiudicazione nei confronti dell’ATI e ad aggiudicare la gara alla società seconda in graduatoria.

Ricorre innanzi al TAR Campania l’ATI destinataria del provvedimento di revoca dell’aggiudicazione, contestando che la licenza prefettizia della società subentrata nel raggruppamento non dovesse essere considerata limitata ad una parte del territorio nazionale. Diversamente, infatti, a parere del ricorrente si determinerebbe una violazione della nota pronuncia della Corte di Giustizia UE, Sez. II, 13 dicembre 2007 - Causa C-465/05, che ha dichiarato non conforme al diritto europeo l’art. 134 TULPS e l'art. 257 del Regolamento di esecuzione del TULPS (R.D. 6 maggio 1940, n. 635 - «Approvazione del regolamento per l’esecuzione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza»), nella parte in cui stabilivano che l'autorizzazione a esercitare il servizio di vigilanza privata avesse una validità territoriale limitata e che le imprese di vigilanza privata interessate ad esercitare la propria attività in altri territori dovessero avere una sede operativa in loco e ottenere un’autorizzazione prefettizia in ogni provincia in cui intendevano prestare servizio.

Sempre secondo la mandante ricorrente, gli artt. 257 e ss. del Regolamento di esecuzione, proprio in attuazione della pronuncia della Corte di giustizia, prevedono ad oggi che l’estensione dell’autorizzazione a province diverse da quelle originariamente contemplate sia subordinata ad una mera richiesta, sussistendo un meccanismo di automatico accoglimento che opererebbe in forza del silenzio-assenso.

Il TAR Napoli respinge il ricorso, ritenendo che anche dopo la sentenza della Corte di Giustizia, l’art. 257-ter, comma 5, del Regolamento di esecuzione (introdotto dall'art. 1, comma 1, lett. i), del D.P.R. 4 agosto 2008, n. 153) ha confermato la necessità che l’estensione della licenza ad ulteriori province debba essere ottenuta all’esito di una richiesta al Prefetto che l’ha rilasciata e di una previa comunicazione al Prefetto del territorio interessato, secondo un meccanismo di silenzio assenso. Il decorso del termine di 90 giorni indicato dalla norma, decorrente dalla notifica della documentazione richiesta ai Prefetti interessati, avrebbe valore costitutivo, tant’è che, secondo il Collegio, la mancata notifica determina lo svolgimento di un’attività illecita nei territori provinciali per i quali non si è ottenuto l’assenso della Prefettura territorialmente competente.

Nel caso di specie, il TAR Napoli ha ritenuto che al momento in cui è subentrata alla mandante colpita dall’interdittiva antimafia, la società non avesse acquisito il titolo per esercitare lecitamente l’attività di vigilanza nella provincia interessata dai lavori, come espressamente richiesto dal bando. Nonostante la società subentrante si fosse immediatamente attivata per ottenere la licenza nella provincia interessata, i Giudici campani hanno ritenuto legittima la revoca disposta dalla stazione appaltante poiché il requisito della licenza prefettizia estesa all’ambito territoriale richiesto doveva essere posseduto sin dalla data di scadenza del termine per la presentazione delle offerte, o quantomeno dal momento in cui la precedente mandante era stata colpita da interdittiva antimafia.

L’ATI ricorrente in primo grado appella la sentenza innanzi al Consiglio di Stato, ritenendo le conclusioni del Giudice campano non coerenti con la normativa di settore e con i principi espressi dalla citata pronuncia della Corte di Giustizia.

Il Giudizio di appello

Il Consiglio di Stato, Sez. V, con sentenza n. 2087 dell’11 marzo 2021 ha accolto il ricorso promosso dall’ATI e ha annullato il provvedimento di revoca dell’aggiudicazione.

I Giudici hanno in primo luogo ritenuto che l’art. 48, comma 18, d.lgs. 50/2016 si limita a richiedere che l’operatore economico subentrante sia in possesso dei requisiti di idoneità previsti dalla lex specialis di gara. Poiché la norma non specifica il momento in cui è necessario procedere alla verifica del possesso dei requisiti da parte dell’operatore economico subentrante, secondo i Giudici è logico che una simile verifica non possa farsi retroagire al momento in cui l’ATI ha presentato la domanda di partecipazione alla procedura di gara, potendo legare la pretesa del possesso dei requisiti unicamente al momento in cui la mandante subentra.

Ciò posto, con riferimento al caso di specie, il Supremo Consesso ha ritenuto che, ai fini della verifica del possesso del requisito della licenza prefettizia per l’esercizio dei servizi di vigilanza anche nella provincia interessata dal servizio oggetto dell’appalto, l’art. 257-ter del Regolamento di esecuzione del TULPS debba essere interpretato alla luce della sentenza della Corte di Giustizia UE del 13 dicembre 2007, in causa C-465/05.

Di conseguenza, l’attuale art. 257-ter del Regolamento, per essere conforme ai principi del diritto europeo, deve essere interpretato e corretto «eliminando la necessità di ottenere (anche se con il meccanismo del silenzio-assenso) l’autorizzazione prefettizia per estendere l’attività in altre province; e intendendo la «notifica al prefetto» come una comunicazione di inizio attività, non subordinata al decorso dell’ulteriore termine di novanta giorni, salvo il potere del prefetto di inibire l’attività entro il predetto termine di novanta giorni dalla notifica «qualora la stessa non possa essere assentita, ovvero ricorrano i presupposti per la sospensione o la revoca della licenza, di cui all'articolo 257-quater» (art. 257-ter, comma 5, ultimo periodo, del regolamento di esecuzione del TULPS)».

Applicando l’interpretazione convenzionalmente orientata, nel caso di specie la mandante subentrante è stata ritenuta in possesso del requisito della licenza prefettizia anche per il territorio della provincia in questione a decorrere dalla data in cui aveva presentato l’istanza al Prefetto competente e, dunque, in data antecedente a quella del subentro ex art. 48, comma 18 del d.lgs. 50/2016 nell’ATI aggiudicatario.

In conclusione, la Corte ha chiarito che adottando un’interpretazione letterale della norma, così come adottata dal primo Giudice, anche con l’attuale formulazione dell’art. 257-ter, comma 5, secondo cui la licenza prefettizia consentirebbe di esercitare l’attività di vigilanza privata solo nel territorio per il quale essa è stata rilasciata, vi è il concreto rischio di reintrodurre quel limite territoriale censuato dalla Corte di Giustizia perché ritenuto non conforme ai principi europei.

(TAR Campania Napoli, Sez. IV, 16.12.2019, n. 5961; Cons. St., Sez. V, 11.3.2021, n. 2087)


Smart mobility. La Corte di Giustizia sulla app per ricerca taxi tra servizio di trasporto e servizio di intermediazione. gestore app necessita di una autorizzazione

Smart mobility. La Corte di Giustizia sulla app per ricerca taxi tra servizio di trasporto e servizio di intermediazione. Il gestore della app necessita di una autorizzazione o è sufficiente quella del taxi?

Smart mobility. La Corte di Giustizia sulla app per ricerca taxi tra servizio di trasporto e servizio di intermediazione. gestore app necessita di una autorizzazione La Corte di Giustizia UE (Sez. IV, 3.12.2020, C-62/19) interviene su un tema caldo, attuale e quantomeno dibattuto in materia di smart mobility e trasporto pubblico non di linea (app di intermediazione e taxi).

Nel nostro paese il quadro normativo, che in materia di trasporto pubblico non di linea ha come fonte la ormai risalente legge quadro 21/1992, non è affatto chiaro e molti dei recenti provvedimenti di AGCM e ART hanno contribuito ad alimentare le tensioni tra le categorie interessate (da un lato gli NCC, dall’altro i taxi).

Con la pronuncia del 3 dicembre 2020, la giurisprudenza comunitaria ci aiuta a delineare i contorni dei nuovi servizi innovativi che si stanno sviluppando nel settore dei trasporti pubblici di persone.

Ai giudici della CGUE giunge infatti un interrogativo di non poco conto: se un servizio consistente nel mettere in contatto diretto, mediante una app, clienti e tassisti costituisca un servizio della società dell’informazione o rientri nel servizio di trasporto e se tale servizio è soggetto al regime delle autorizzazioni preventive.

La questione nasce da una ammenda inflitta in Romania ad un gestore di una app per smartphone, che mette in contatto diretto utenti di servizi taxi e tassisti, perché sprovvisto dell’autorizzazione richiesta dalla norma nazionale rumena anche in capo ai soggetti che si occupano di dispacciamento  corse mediante una app.

Secondo la normativa rumena, i servizi di dispacciamento possono essere forniti solo dalle centrali di prenotazione taxi autorizzate dalle autorità competenti a condizione che le richieste raccolte anche tramite app siano trasmesse ai tassisti mediante un radioricetrasmettitore.

Più in dettaglio, l’app rumena che ha dato origine al caso portato in Corte consente di effettuare una ricerca facendo apparire un elenco di tassisti disponibili a effettuare una corsa. Il cliente è allora libero di scegliere un conducente su tale elenco. La società non trasmette le prenotazioni ai tassisti, non fissa il prezzo della corsa, che è versato direttamente al conducente al termine di essa, non esercita un controllo sulla qualità dei veicoli e dei conducenti né sul comportamento dei tassisti.

Il 19 dicembre 2017 il consiglio comunale di Bucarest ha adottato la delibera n. 626/2017 che ha esteso l’obbligo di ottenere un’autorizzazione preventiva per la cosiddetta attività di «dispacciamento» ai gestori di applicazioni informatiche come la Star Taxi App. Per aver violato tale normativa, alla Star Taxi App è stata irrogata un’ammenda di circa EUR 929.

Ritenendo che la sua attività costituisse un servizio della società dell’informazione al quale si applica il principio di non autorizzazione preventiva previsto dalla direttiva sul commercio elettronico (Direttiva 2000/31/CE), la Star Taxi App ha investito il Tribunale di Bucarest di un ricorso diretto all’annullamento della delibera comunale.

In tale contesto, il Tribunale chiede alla Corte di Giustizia se un servizio consistente nel mettere in contatto diretto, mediante un’applicazione elettronica (app), clienti e tassisti costituisca un servizio della società dell’informazione. In caso affermativo, chiede alla Corte se una normativa quale la delibera n. 626/2017 sia conforme al diritto dell’Unione.

  1. La Corte osserva, innanzitutto, che il servizio proposto dalla Star Taxi App corrisponde alla definizione del «servizio della società dell’informazione» offerta dalla direttiva sul commercio elettronico, poiché tale servizio è fornito dietro retribuzione, a distanza, per via elettronica e a richiesta individuale di un destinatario di servizi. A tal riguardo, è irrilevante che un siffatto servizio sia fornito a titolo gratuito alla persona che intende effettuare o che effettua uno spostamento nell’area urbana, dal momento che esso conduce alla conclusione, tra il prestatore dello stesso e ciascun tassista autorizzato, di un contratto di fornitura di servizi corredato dal pagamento da parte di quest’ultimo di un canone mensile.

Tuttavia, secondo la giurisprudenza della Corte (sentenza del 19 dicembre 2019, Airbnb Ireland, C-390/18, e sentenza del 20 dicembre 2017, Asociación Profesional Elite Taxi C-434/15), un servizio può non essere considerato rientrante nella nozione di «servizio della società dell’informazione» qualora risulti che il servizio d’intermediazione è parte integrante di un servizio globale il cui elemento principale è un servizio al quale va riconosciuta una diversa qualificazione giuridica (come ad esempio il servizio di trasporto).

In relazione alla sentenza del 20 dicembre 2017, la Corte osserva che nella predetta causa il servizio di intermediazione, che aveva come oggetto quello di mettere in contatto su app, dietro retribuzione, conducenti non professionisti che utilizzano il proprio veicolo con persone che intendono effettuare uno spostamento nell’area urbana, doveva essere qualificato come servizio nel settore dei trasporti.

Diversamente, la Star Taxi App svolge un servizio che si limita a mettere in contatto persone unicamente con tassisti autorizzati la cui attività è preesistente e per i quali tale servizio rappresenta solo una modalità di procacciamento della quale non sono obbligati ad avvalersi.

Ad avviso della Corte, date alcune caratteristiche del servizio reso dalla Star Taxi App non potrebbe ritenersi che si tratti di servizio di trasporto (ad es. il prestatore (app) non seleziona i tassisti, non stabilisce il prezzo della corsa, non esercita un controllo sulla qualità dei conducenti).

Dunque, il servizio fornito dalla Star Taxi App si aggiunge e (non ne costituisce parte integrate) a un servizio di trasporto mediante taxi già esistente e organizzato. Ne consegue che non si può ritenere che tale servizio sia parte integrante di un servizio globale il cui elemento principale sia una prestazione di trasporto ma costituisce un servizio della società dell’informazione

  1. In secondo luogo, la Corte ritiene di dover verificare se una normativa che subordina la fornitura di un servizio di intermediazione, come quello di cui si discute – app che mette in contatto, dietro retribuzione, persone che intendono effettuare uno spostamento nell’area urbana con tassisti autorizzati - rientrante nella qualificazione di «servizio della società dell’informazione», all’ottenimento di una autorizzazione preventiva a cui sono già sottoposti gli altri prestatori di servizi di prenotazione di taxi (es. radio taxi) e che è subordinata, tra l’altro, alla trasmissione della richiesta delle corse ai tassisti mediante un radioricetrasmettitore, rientri nell’ambito di applicazione dell’articolo 4 della direttiva 2000/31 e, in caso affermativo, se quest’ultima disposizione si ponga in contrasto con gli articoli 9 e 10 della direttiva 2006/123.

Se è vero che la delibera rumena n. 626/2017 riguarda principalmente i servizi di intermediazione aventi come oggetto, mediante una app, quello di mettere in contatto, dietro retribuzione, persone con tassisti autorizzati, essa si limita, estendendo a tale tipo di servizio l’ambito di applicazione della nozione di «dispacciamento», a estendere a tale servizio della società dell’informazione un obbligo preesistente di autorizzazione preventiva applicabile alle attività delle centrali di prenotazione di taxi, attività che non rientrano nella qualificazione di «servizio della società dell’informazione».

Si chiede alla Corte se una siffatta delibera costituisca una regola tecnica. Infatti, la direttiva 2015/1535 prevede che gli Stati membri comunichino immediatamente alla Commissione ogni progetto di «regola tecnica». Una normativa nazionale che concerne un «servizio della società dell’informazione» è qualificata come «regola tecnica» se riguarda specificamente i servizi della società dell’informazione e se è obbligatoria, in particolare, per la prestazione del servizio di cui trattasi o per il suo utilizzo in uno Stato membro o in una parte importante di quest’ultimo.

Orbene, poiché la normativa rumena non menziona affatto i servizi della società dell’informazione e riguarda indistintamente tutti i tipi di servizio di dispatching, siano essi forniti telefonicamente o con una app, la Corte considera che essa non costituisce una «regola tecnica». Ne discende che a una siffatta normativa non si applica l’obbligo di previa comunicazione alla Commissione dei progetti di «regole tecniche».

La Corte rammenta, poi, che la direttiva sul commercio elettronico vieta agli Stati membri di subordinare l’accesso ai «servizi della società dell’informazione» a un regime di autorizzazione preventiva.

La direttiva 2006/123 autorizza, a determinate condizioni, gli Stati membri, a subordinare l’accesso a un’attività di servizio a un siffatto regime. Tali condizioni sono: il carattere non discriminatorio del regime, la sua giustificazione mediante un motivo imperativo di interesse generale e l’assenza di misure meno restrittive che consentano di conseguire lo stesso obiettivo.

A tal riguardo, osserva la Corte che un regime di autorizzazione subordinato a requisiti tecnologicamente inadeguati al servizio interessato non è basato su criteri giustificati da un motivo imperativo di interesse generale.

Questo è il caso dell’obbligo imposto dalla normativa rumena ai prestatori del servizio tramite app di trasmettere corse a tali conducenti mediante un radioricetrasmettitore.

Infatti, un tale obbligo, che pone a carico tanto del prestatore del servizio di intermediazione quanto dei tassisti l’obbligo di disporre di un siffatto dispositivo di trasmissione e che impone altresì al prestatore del servizio di intermediazione di disporre di personale specifico incaricato della trasmissione della richiesta delle corse ai conducenti, è non solo inutile, ma anche privo di qualsiasi correlazione con le caratteristiche di un servizio che è interamente collegato alle capacità tecniche degli smartphone che consentono, senza intermediazione umana diretta, di localizzare sia i tassisti sia i loro clienti potenziali e di porli automaticamente in contatto.

La Corte conclude che:

- in primo luogo, un servizio consistente nel mettere in contatto diretto, mediante un’applicazione elettronica, clienti e tassisti costituisce un «servizio della società dell’informazione» qualora tale servizio non sia inscindibilmente connesso al servizio di trasporto mediante taxi di modo che non ne costituisce parte integrante;

- in secondo luogo, la normativa di un’autorità locale che subordina la fornitura di un «servizio della società dell’informazione» all’ottenimento di un’autorizzazione preventiva a cui sono già sottoposti gli altri prestatori di servizi di prenotazione di taxi non costituisce una «regola tecnica» ai sensi della direttiva 2015/1535;

- la direttiva 2006/123 contrasta con l’applicazione di un regime di autorizzazione, a meno che quest’ultimo sia conforme ai criteri stabiliti in tale testo, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.

(CGUE, Sez. IV, 3.12.2020, C-62/19)


Decreto Semplificazioni ed esclusione automatica delle offerte anomale: si applica a prescindere da clausola in lex specialis.

Decreto Semplificazioni ed esclusione automatica delle offerte anomale: si applica a prescindere da clausola in lex specialis.

Decreto Semplificazioni ed esclusione automatica delle offerte anomale: si applica a prescindere da clausola in lex specialis.Esclusione automatica delle offerte anomale come prevista dal decreto Semplificazioni, clausola ad hoc in lex specialis si o no? Continua il giro d’Italia sull’altalena dell’applicazione dell’art. 1, comma 3, del decreto Semplificazioni. Ora è la volta del TAR Calabria.

Facciamo un breve riepilogo.

Secondo il TAR Piemonte, sentenza del 17.11.2020, n. 736, l’esclusione automatica delle offerte anomale nelle gare sotto soglia da aggiudicarsi al prezzo più basso di cui al Decreto Semplificazioni prescinde dall’indicazione in lex specialis di una clausola ad hoc (a differenza di quanto invece prescrive l’art. 97, comma 8, d.lgs. 50/2016) – clicca qui per leggere la notizia.

Qualche settimana dopo il TAR Puglia, sentenza del 22.1.2021, n. 113, andando in contrasto con la pronuncia di poco precedente del TAR Piemonte, ritiene che in presenza di una lex specialis che nulla dispone quanto all’automatismo espulsivo, disporlo in via diretta e immediata significherebbe porre ingiustificati ostacoli al principio di massima partecipazione alle gare, da sempre predicato dal giudice eurounitario – clicca qui per leggere la notizia.

Secondo il TAR Lazio, sentenza del 19.2.2021, n. 2104, la lex specialis viene eterointegrata dalla legge (nella specie, decreto Semplificazioni) anche laddove il bando preveda che alla procedura va applicata la disciplina generale dell’esclusione automatica dell’art. 97, comma 8, d.lgs. 50/2016 – clicca qui per leggere la notizia.

Di qualche giorno fa è la sentenza del TAR Calabria, 2.3.2021, che, allineandosi a quanto statuito dal TAR Piemonte e TAR Lazio, conferma l’operatività della esclusione automatica delle offerte anomale nelle procedure negoziate sotto soglia, criterio del prezzo più basso, ancorché la lex specialis non preveda, al suo interno, una tale conseguenza.

Questi, in estrema sintesi, i fatti. Un’impresa prendeva parte ad una procedura negoziata per l’assegnazione di lavori di ripristino di una strada e di una rete idrica, da aggiudicarsi con il criterio del prezzo più basso. All’esito delle procedure di gara, detta impresa veniva automaticamente esclusa in quanto l’offerta presentata risultava essere anormalmente bassa.

Per tale motivo l’operatore escluso adiva il TAR, lamentando la scorrettezza dell’operato dell’amministrazione che, nonostante la lex di gara stabiliva la possibilità di presentare giustificazioni in merito all’anomalia dell’offerta, si limitava a disporre l’esclusione senza consentire all’operatore di fornire prova della bontà della propria offerta.

Sennonché, il Collegio rigettava il ricorso evidenziando che:

- l’articolo 1, comma 3, del d.l. 76/2020 prevede che per le procedure indicate dal semplificazioni art. 1, comma2, lett. b), bandite fino al 31.12.2021, da aggiudicarsi con il criterio del prezzo più basso, si procederà all’esclusione automatica di tutte le offerte che presentino una percentuale di ribasso pari o maggiore alla soglia di anomalia individuata ex articolo 97, commi 2, 2bis e 2ter del d.lgs. 50/2016, anche nel caso in cui il numero delle offerte sia pari o superiore a cinque;

- tale previsione – che, per la sua natura semplificatoria, rende automatici alcuni passaggi ha efficacia, in virtù del suo rango legislativo, anche nel caso in cui la lex specialis non ne preveda espressamente l’utilizzo (c.d. eterointegrazione degli atti di gara cui fa riferimento il TAR Lazio citato);

- non è convincente la posizione assunta dal TAR Puglia – anch’esso citato – secondo cui l’articolo 1, comma 3, decreto Semplificazioni non può essere applicato se non espressamente richiamato dalla lex di gara “in quanto i principi di trasparenza e di parità di trattamento (…) richiedono che le condizioni sostanziali e procedurali relative alla partecipazione ad un appalto siano chiaramente definite in anticipo e rese pubbliche, in particolare gli obblighi a carico degli offerenti, affinché questi ultimi possano conoscere esattamente i vincoli procedurali ed essere assicurati sul fatto che gli stessi requisiti valgano per tutti i concorrenti”.

Tale affermazione, conclude il TAR calabrese, non merita condivisione, atteso che “l’art. 1, comma 3, d.l. n. 76 del 2020 non pone una condizione sostanziale o procedurale relativa alla partecipazione dell’appalto, ma fissa una regola per l’amministrazione, che deve escludere automaticamente gli operatori la cui offerta si ponga oltre alla soglia di anomalia”.

(TAR Calabria Catanzaro, Sez. I, 2.3.2021, n. 449)


Appalti pubblici appaltatore non paga prodotti forniti perché ritenuti difettosi, sub fornitore accesso a documenti esecuzione e riserve

Appalti pubblici: l’appaltatore non paga i prodotti perché ritenuti difettosi, il sub fornitore propone accesso a documenti e riserve per dimostrare che alla consegna i prodotti erano funzionanti e lo ottiene.

Appalti pubblici appaltatore non paga prodotti forniti perché ritenuti difettosi, sub fornitore accesso a documenti esecuzione e riserve L’appaltatore non paga i prodotti perché ritenuti difettosi, il sub fornitore propone accesso alla committente per visionare atti dell’esecuzione, tra questi anche le riserve apposte in contabilità dall’appaltatore.

Nei fatti, nell’appalto per la realizzazione dell’acquedotto, l’appaltatore utilizzava nell’esecuzione anche prodotti forniti da altra società (che chiameremo sub fornitore) e tuttavia non provvedeva al pagamento delle forniture.

Il sub fornitore, a fronte del mancato pagamento di fatture emesse nel corso dei relativi rapporti commerciali, chiedeva e otteneva dal Tribunale l’emissione di un decreto ingiuntivo nei confronti dell’appaltatore. Quest’ultimo proponeva opposizione chiedendo la revoca del decreto ingiuntivo e, in via riconvenzionale, l’accertamento dell’inadempimento del sub fornitore, lamentando alcuni vizi delle apparecchiature da esso fornite e, di conseguenza, domandandone la condanna al risarcimento del danno.

Nella pendenza del giudizio civile, il sub fornitore chiedeva alla committente l’accesso ad alcuni documenti della fase di gara e della successiva fase di esecuzione dell’appalto.

La committente acconsentiva ad un accesso parziale alla documentazione richiesta.

Il sub fornitore ricorre così al TAR impugnando le note con cui la committente aveva espresso un diniego sulle sue richieste di accesso.

In particolare l’amministrazione, da un lato, aveva accolto l’accesso con riferimento, ad esempio, ai certificati/verbali di collaudo parziali.

Dall’altro lato, aveva invece negato l’accesso: 1) a talune riserve formulate dall’impresa appaltatrice; 2) a taluni stati di avanzamento dei lavori – SAL; 3) alla copia del bonifico effettuato a fronte di taluni stato avanzamento lavori - SAL; 4) alla copia dello stato finale dell’opera.

Nelle more del giudizio al TAR, il Tribunale ordinario con sentenza ha accolto l’opposizione e la domanda riconvenzionale spiegate dall’appaltatore AFMC, accertando l’esistenza di alcuni difetti nei prodotti forniti all’impresa appaltatrice.

Il TAR accoglie il ricorso.

L’interesse fatto valere dalla richiedente (sub fornitore) è quello di acquisire gli elementi conoscitivi essenziali, anche sul piano tecnico, per valutare le eventuali attività difensive e giudiziarie da intraprendere a tutela dei propri diritti patrimoniali, attivati con il ricorso per decreto ingiuntivo e sviluppatisi nel successivo giudizio d’opposizione (con la domanda formulata, in via riconvenzionale, dall’appaltatore).

La tesi difensiva sostenuta dal sub fornitore nel giudizio civile è volta difatti a dimostrare che le apparecchiature fornite erano correttamente funzionanti (al momento della consegna), e si sono successivamente danneggiate per eventi estranei e per i numerosi errori posti in essere dall’appaltatore.

Da qui sorge l’interesse - e dunque la legittimazione – del sub fornitore a ottenere la documentazione richiesta (verbali consegna, stati di avanzamento lavori, riserve, ecc.), dalla quale eventualmente dimostrare che le valvole erano già state installate, consegnate e collaudate, e che nessun rilievo era stato effettuato dall’appaltatore in relazione alla fornitura. Dall’esame della documentazione potrebbe ricostruirsi anche l’andamento complessivo dell’appalto, con gli eventuali accadimenti che possano aver inciso sul funzionamento delle apparecchiature stesse.

Ad avviso del Collegio, si tratta di richieste che vanno qualificate come istanze di accesso difensivo ai sensi dell’art. 24, comma 7, l. n. 241/1990, in quanto dichiaratamente dirette <<alla tutela della propria posizione giuridica>>, con la conseguenza che si esula da ogni altra fattispecie di accesso documentale amministrativo (quali l’accesso procedimentale o l’accesso civico).

Viene anche osservato che il sub fornitore– pur dinanzi all’esito per sè infausto del giudizio innanzi al Tribunale ordinario - conserva un interesse concreto e attuale all’accesso, per l’eventuale predisposizione dell’atto di gravame avverso la sentenza a sé sfavorevole del Tribunale.

La conoscenza dei documenti in questione potrebbe consentirle, più ampiamente, di approntare con maggior efficacia le necessarie strategie difensive nel giudizio d’appello, nell’ambito del quale è ammessa la produzione di documenti nel caso in cui la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile, ai sensi dell’art. 345, comma 3, c.p.c. (Cass., SSUU, 4 maggio 2017, n. 10790).

Quanto all’accesso alle riserve, la committente lo ha negato sostenendo tra l’altro che le riserve non sarebbero un atto amministrativo né entrerebbero a far parte del procedimento amministrativo, consistendo in atti privati che in alcun modo possono impegnare l’amministrazione e che non sussisterebbe alcun interesse del sub fornitore alla conoscenza di mere pretese economiche dell’appaltatrice.

Il TAR non condivide.

La natura del documento detenuto dall’amministrazione, come pure la circostanza che lo stesso afferisca alla fase di esecuzione del contratto d’appalto (a valle della procedura ad evidenza pubblica), non integrano ragioni idonee a fondare un diniego d’accesso: anche nella fase di esecuzione del contratto persiste, infatti, una rilevanza pubblicistica dovuta alla compresenza di fondamentali interessi pubblici, ivi compreso il principio di trasparenza che informa tutta l’attività della P.A., anche quella di natura privatistica.

Del resto, è stato più volte affermato che <<l’amministrazione non può […] negare l’accesso agli atti riguardanti la sua attività di diritto privato solo in ragione della loro natura privatistica>> (Cons. Stato, Ad. Plen., 22 aprile 1999, n. 5), essendo ormai pacifico che l’istituto dell’accesso trovi applicazione anche in relazione ad atti concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale.

Per altro verso, e più nello specifico, la giurisprudenza amministrativa ha già chiarito che non v’è ragione di precludere l’accessibilità al testo delle riserve apposte dall’impresa appaltatrice sugli atti dell’appalto, e alle relative controdeduzioni del direttore dei lavori, atteso che le riserve non sono atti assimilabili a valutazioni defensionali, integrando esse piuttosto un dato storico che fotografa il contrasto tra le parti intercorso nella fase di esecuzione dell’appalto.

Ciò che rileva è il contenuto della riserva stessa, in particolare, il punto se siano stati indicati eventuali vizi e difformità delle apparecchiature oggetto di fornitura oppure eventi di forza maggiore che potrebbero aver ritardato l’esecuzione dei lavori e danneggiato le apparecchiature.

Il ricorso è fondato, anche in relazione alla richiesta di accesso alla copia del bonifico effettuato a fronte di taluni SAL, atteso che dalle voci liquidate nel bonifico si potrebbe evincere se la stazione appaltante/committente abbia eseguito dei pagamenti richiesti dall’appaltatore per i danneggiamenti subiti dalle valvole oggetto di fornitura.

(TAR Molise, Sez. I, 16.2.2021, n. 52)


Cristallizzazione della soglia di anomalia: l’annullamento dell’aggiudicazione non la pregiudica.

Cristallizzazione della soglia di anomalia: l’annullamento dell’aggiudicazione non la pregiudica.

Cristallizzazione della soglia di anomalia: l’annullamento dell’aggiudicazione non la pregiudica.Cosa accade se la stazione appaltante dispone l’annullamento dell’aggiudicazione divenuta definitiva? Si procederà alla riapertura della gara e, di conseguenza, al ricalcolo della soglia di anomalia?

Una stazione appaltante annullava l’aggiudicazione definitiva disposta a margine di una gara d’appalto per l’assegnazione di lavori e, anziché limitarsi a scorrere la graduatoria, riapriva la procedura e ricalcolava le medie, una volta depennata l’offerta della concorrente esclusa. Da ciò veniva ad esistenza una graduatoria di gara del tutto nuova – con la conseguenza che aggiudicatario dell’appalto era un operatore diverso da quello in precedenza classificatosi secondo.

Sicché quest’ultimo – lamentando l’illegittimità dell’agire dell’amministrazione – adiva il TAR davanti al quale lamentava che, ove la stazione appaltante avesse correttamente applicato il principio di invarianza della soglia di anomalia di cui all’art. 95 Codice, avrebbe dovuto limitarsi a scorrere la graduatoria – e quindi a disporre l’aggiudicazione in suo favore.

L’amministrazione, costituendosi, sosteneva invece la correttezza del proprio operato, motivando tale assunto con il fatto che il ricalcolo delle medie era naturale conseguenza dell’annullamento in autotutela dell’aggiudicazione definitiva e dell’esclusione dell’operatore aggiudicatario – provvedimento che, a detta dell’amministrazione, avrebbe inciso anche sulle fasi precedenti di gara.

Il Collegio, tuttavia, accoglieva il ricorso, osservando che:

- l’art.95, comma 15, Codice – a mente del quale “Ogni variazione che intervenga, anche in conseguenza di una pronuncia giurisdizionale, conseguentemente alla fase di ammissione, regolarizzazione o esclusione delle offerte non rileva ai fini del calcolo di medie nella procedura, né per l’individuazione di soglie di anomalia delle offerte” – ha sempre ricevuto una interpretazione molto restrittiva in giurisprudenza;

- tale principio, infatti, da un lato non può costituire ostacolo al diritto, costituzionalmente garantito, della tutela giurisdizionale; dall’altro che il momento dal quale il calcolo delle medie sarà cristallizzato (e quindi insensibile all’eventuale esclusione di alcuni partecipanti alla gara) viene ad identificarsi con quello dell’aggiudicazione definitiva.

Da quanto sopra deriva, conclude il Collegio, che il principio di invarianza della soglia di anomalia, disciplinato dall’art.95, comma 15, Codice, costituisce “un limite alla retroazione degli effetti dell’annullamento della aggiudicazione”: ne deriva che la media, come calcolata in prima istanza,  non subirà modifiche, nemmeno nel caso in cui alcuni partecipanti siano destinatari di provvedimento di esclusione (anche in conseguenza di pronuncia giurisdizionale).

Ne consegue, quindi, che “la volontà del legislatore è stata quella di rendere applicabile la regola dell’invarianza a qualunque ipotesi (anche stragiudiziale) di “variazione” successiva alla fase di ammissione e regolarizzazione delle offerte che, come sopra chiarito, deve ritenersi definitivamente conclusa con la aggiudicazione definitiva”.

(TAR Toscana Firenze, Sez. I, 22.2.2021, n. 286)


Decreto Semplificazioni ed esclusione automatica delle offerte anomale: non è necessaria la clausola nella lex specialis. TAR che vai, orientamento che trovi.

Decreto Semplificazioni ed esclusione automatica delle offerte anomale: eterointegrazione della lex specialis. TAR che vai, orientamento che trovi.

Decreto Semplificazioni ed esclusione automatica delle offerte anomale: eterointegrazione clausola nella lex specialis. TAR che vai, orientamento che trovi.Esclusione automatica come prevista dal decreto Semplificazioni, clausola ad hoc in lex specialis si o no? Stiamo facendo il giro d'Italia, da nord a sud, sull'altalena dell'applicazione dell'art. 1, comma 3, del decreto Semplificazioni mancava il centro con il richiamo al principio dell'eterointegrazione.

Secondo il TAR Piemonte, sentenza del 17.11.2020, n. 736, l’esclusione automatica delle offerte anomale nelle gare sotto soglia da aggiudicarsi al prezzo più basso di cui al Decreto Semplificazioni prescinde dall’indicazione in lex specialis di una clausola ad hoc (a differenza di quanto invece prescrive l’art. 97, comma 8, d.lgs. 50/2016) – clicca qui per leggere la notizia.

Qualche settimana dopo il TAR Puglia, sentenza del 22.1.2021, n. 113, andando in contrasto con la pronuncia di poco precedente del TAR Piemonte, ritiene che in presenza di una lex specialis che nulla dispone quanto all’automatismo espulsivo, disporlo in via diretta e immediata significherebbe porre ingiustificati ostacoli al principio di massima partecipazione alle gare, da sempre predicato dal giudice eurounitario – clicca qui per leggere la notizia.

Di qualche giorno fa è la sentenza del TAR Lazio, 19.2.2021, che ancora un volta va contro quanto statuito da un altro TAR in precedenza.

Nei dettagli, la società aggiudicataria di una procedura indetta con lettera di invito del 23.9.2020 indirizzata a dieci imprese, cinque delle quali determinatesi a presentare offerta, da assegnare con il criterio del prezzo più basso, si è   vista annullare l'aggiudicazione poiché la stazione appaltante ha effettuato subito dopo il ricalcolo della soglia di anomalia a causa di un asserito “errore” relativo alla mancata applicazione delle “innovazioni introdotte dall’art. 1, comma 3, del d.l. 76/2020” (decreto Semplificazioni).

La ricorrente, estromessa dalla procedura a causa della riscontrata anomalia dell’offerta, censura la scelta della stazione appaltante di non aver tenuto conto dell’art. 24 della lettera di invito, a tenore del quale “La procedura di esclusione automatica delle offerte individuate come anomale, sempre che il numero delle stesse sia pari o superiore a dieci, è quella fissata ai sensi dell’art. 97 comma 8 del Codice”, per fare invece applicazione, nonostante il mancato recepimento da parte della lex specialis (e anzi in presenza di clausola che espressamente faceva applicazione della disciplina generale dell'art. 97, comma 8, del Codice) , dell’art. 1, co. 3, d.l. 76/2020 - decreto Semplificazioni.

Ad avviso del TAR Lazio, che sulla questione si esprime con sentenza breve - quasi a sottolineare che la questione è pacifica - il ricorso è infondato.

A mente del decreto Semplificazioni, art. 1, comma 3, che introdure una disciplina temporanea (efficace dal 17.7.2020, data di entrata in vigore del d.l. n. 76/2020, fino al 31.12.2021) e derogatoria del d.lgs. n. 50/2016 per le finalità indicate in apertura del comma 1 (“incentivare gli investimenti pubblici nel settore delle infrastrutture e dei servizi pubblici” e “far fronte alle ricadute economiche negative a seguito delle misure di contenimento e dell’emergenza sanitaria globale del COVID-19”), “Nel caso di aggiudicazione con il criterio del prezzo più basso, le stazioni appaltanti procedono all’esclusione automatica dalla gara delle offerte che presentano una percentuale di ribasso pari o superiore alla soglia di anomalia individuata ai sensi dell’articolo 97, commi 2, 2-bis e 2-ter, del decreto legislativo n. 50 del 2016, anche qualora il numero delle offerte ammesse sia pari o superiore a cinque”.

A differenza di quanto sostenuto dalla ricorrente, nelle procedure prese in considerazione da quest’ultima previsione il meccanismo di esclusione automatica opera obbligatoriamente, senza necessità di inserimento nella lex specialis; tale meccanismo non è infatti oggetto di una facoltà liberamente esercitabile dalla stazione appaltante, come si desume dal chiaro tenore letterale della norma.

A questo punto, il TAR facendo leva sul principio dell’eterointegrazione della lex specialis a opera del ridetto art. 1, comma 3, d.l. n. 76/2020, richiama la recente pronuncia del TAR Piemonte 736/2020, alla stregua della quale, in caso di procedura negoziata “in deroga” (ex art. 1 d.l. n. 76/2020), il tenore dell’art. 1, comma 3, d.l. cit. non lascia “margine di scelta alla stazione appaltante”, obbligata a procedere all’esclusione automatica (anche perché “se l’intero obiettivo della disciplina è quello di semplificare l’andamento delle gare […], l’esclusione automatica sottosoglia risulta certamente coerente con tale obiettivo”) pure in mancanza di enunciazione negli atti gara, trattandosi di una soluzione che “oltre a non trovare riscontro nel dato letterale di legge, che pare piuttosto idonea, ove necessario, ad eterointegrare la disciplina di gara, non risulterebbe nuovamente funzionale all’obiettivo di celerità delle procedure.

Ma il TAR Lazio non si ferma qui.

Consapevole della ancor più recente pronuncia - di segno contrario - del TAR Puglia 113/2021, richiamata dalla ricorrente, che afferma l’inoperatività dell’esclusione automatica se non prevista negli atti di indizione della gara, sulla base dei principi espressi da Corte giust. UE 2 giugno 2016, C-27/15, e 10 novembre 2016, C-162, il TAR Lazio osserva che "di fatto nel caso in esame la lex specialis comunque ne prevedeva l’operatività, cfr. art. 24 lett. inv.".

In buona sostanza, ad avviso di questo orientamento, la lex specialis viene eterointegrata dalla legge (nella specie, decreto Semplificazioni) anche laddove il bando preveda che alla procedura va applicata la disciplina generale dell'esclusione automatica dell'art. 97, comma 8, d.lgs. 50/2016.

(TAR Lazio Roma, Sez. I, 19.2.2021, n. 2104)

 


Smart mobility. Sharing monopattini elettrici concessione servizi discriminatorio requisito partecipazione servizio analogo esclusivamente in città italiane.

Smart mobility. Sharing monopattini elettrici come concessione di servizi: discriminatorio il requisito di partecipazione che prevede di aver espletato il servizio analogo esclusivamente in città italiane.

Smart mobility. Sharing monopattini elettrici concessione servizi discriminatorio requisito partecipazione servizio analogo esclusivamente in città italiane.

In tema di Smart mobility, una recente pronuncia del TAR Veneto, definendola come concessione di servizi, si chiede se possa essere definito discriminatorio il requisito di partecipazione che prevede di aver espletato il servizio analogo esclusivamente in città italiane nell’ambito di una procedura di selezione di operatori interessati a svolgere il servizio di sharing monopattini elettrici.

La sentenza del TAR Lombardia sull'ordine di arrivo delle domande come criterio di selezione

In tema di smart mobility, in particolare di sharing monopattini elettrici, la giurisprudenza amministrativa era ferma alla sentenza del TAR Lombardia n. 1274/2020 che ha avuto modo di affrontare la questione della illegittimità del criterio cronologico adottato dal Comune di Milano per la selezione degli operatori interessati a svolgere in via sperimentale, ai sensi del d.m. 229/2019, servizi di mobilità in sharing con dispositivi per la micromobilità elettrica (hoverboard, segway, monopattini e monowheel) cui associare il logo del Comune. Criterio che il Tribunale ha definito inadeguato.

La pronuncia, come avevamo anticipato, era destinata a produrre effetti in tutta Italia giacché il Collegio ha affermato che, sebbene non sia compito dei giudici suggerire criteri di scelta alternativi, questi criteri alternativi sono possibili. In sostanza, il TAR ha evidenziato che, anziché affidare la selezione degli operatori al caso, il Comune di Milano avrebbe potuto individuare un criterio qualitativo, un po’ come accade negli appalti pubblici quando si valuta l’offerta tecnica.

Il TAR Veneto sul requisito di partecipazione "discriminatorio"

E, infatti, è della scorsa settimana la sentenza del TAR Veneto che si esprime sulla legittimità delle condizioni di partecipazione previsti dal Comune di Venezia in relazione all’avviso pubblico di manifestazione d'interesse per l'individuazione di soggetti interessati a svolgere in via sperimentale il servizio di mobilità in sharing a flusso libero con monopattini elettrici, nel territorio del Comune.

Nel dettaglio, uno dei partecipanti esclusi ricorre al TAR impugnando non solo la sua esclusione ma anche lo stesso avviso che prevede, quale requisito soggettivo di partecipazione, di “aver già fornito analogo servizio in città italiane con almeno 100.000 abitanti per un periodo non inferiore a 6 mesi”.

In via preliminare, il Collegio ritiene infondata l’eccezione, dedotta da entrambe le resistenti, secondo cui, riguardando una c.d. clausola escludente, il ricorso in esame sarebbe tardivo in quanto l’impugnazione avrebbe dovuto essere proposta entro trenta giorni dalla pubblicazione dell’avviso ai sensi dell’art. 120 c.p.a..

Ad avviso del Collegio, come configurato nel caso di specie dalla lex specialis di gara (selezione dei candidati, assunzione del servizio da parte dell’Amministrazione, inserimento dello stesso come strumento complementare nel servizio di trasporto urbano, regolazione delle tariffe, imposizione di obblighi di servizio), il rapporto in questione deve essere ricondotto nell’ambito della concessione di servizi, istituto sottoposto, per quanto riguarda la procedura di affidamento, alla giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo e al rito speciale di cui agli artt. 120 e ss. c.p.a..

Tuttavia per costante giurisprudenza “La parte che eccepisce la decadenza della controparte da un termine (processuale o sostanziale) è tenuta a dimostrare tutti gli elementi costitutivi dell’eccepito fatto estintivo, tra cui la data di decorrenza del termine medesimo” (Cons. St., Sez. VI, 29 giugno 2015, n. 405).

Nel caso di specie tale prova non è stata fornita.

L’impostazione del rapporto con il gestore dello sharing come concessione di servizi, per cui ha optato il Comune di Venezia, non è l’unica ipotesi nella sia pur limitata prassi che è dato ad oggi esaminare. Nel caso del Comune di Milano appena richiamato, infatti, l’oggetto dell’avviso era più che altro ascrivibile alla figura dell’autorizzazione contingentata.

La rettifica dell’avviso pubblico di manifestazione di interesse - pubblicata sul profilo del committente in data 28 maggio 2020, con cui si è stabilito che ai fini della partecipazione era necessario aver svolto un servizio analogo in città italiane di almeno centomila abitanti per un periodo non inferiore a mesi 6, anziché ad un anno, come previsto nel testo originario dell’avviso - richiedeva il rispetto delle medesime forme di pubblicità dell’atto di indizione della procedura.

E non essendo indicato il valore dell’affidamento, doveva ritenersi applicabile la disciplina generale in tema di pubblicazione degli atti di indizione delle procedure di gara di cui agli artt. 129 e 130 del d.lgs. n. 50/2016.

A ciò si aggiunga, che mancando negli atti di gara un preciso richiamo al d.lgs. n. 50/2016, doveva in ogni caso riconoscersi il beneficio dell’errore scusabile ai sensi dell’art. 37 c.p.a..

Nel merito, il TAR Veneto accoglie il ricorso nella parte in cui la ricorrente lamenta la violazione dei principi, nazionali e comunitari, di concorrenza e di non discriminazione, anche indiretta, in base alla nazionalità.

Invero, i principi di parità di trattamento e di divieto di discriminazione in base alla nazionalità (artt. 49 e 56 TFUE) sono principi cardine – c.d. super principi o valori di sistema – dell’intera disciplina euro unitaria in materia di contratti pubblici.

Ed è di tutta evidenza che l’avere richiesto come requisito di partecipazione lo svolgimento di analogo servizio esclusivamente in una città italiana, con esclusione delle attività svolte in città appartenenti ad altri Paesi dell’Unione, determina una surrettizia restrizione – una discriminazione indiretta – all’acceso alla procedura per gli operatori comunitari non italiani o che non operano in Italia.

Del resto, in materia di contratti pubblici, è frequente che la giurisprudenza amministrativa dichiari illegittime clausole dei bandi di gara che valorizzino, in modo irragionevole, il radicamento dell’operatore in un dato territorio.

Inoltre, non colgono nel segno i rilievi avanzati dal Comune secondo cui la Direttiva servizi non sarebbe applicabile nel settore dei trasporti.

Sin dalla Comunicazione interpretativa della Commissione sulle concessioni nel diritto comunitario del 12 aprile 2000 e dalla Comunicazione interpretativa relativa al diritto comunitario applicabile alle aggiudicazioni di appalti non o solo parzialmente disciplinate dalle direttive appalti pubblici, oggi recepite nelle attuali direttive nn. 23/2014/UE e 24/2014/UE nonché nel d.lgs. n. 50/2016, si è chiarito che anche per i contratti esclusi dal raggio di applicazione delle direttive, le stazioni appaltanti che li stipulano sono comunque tenute a rispettare i principi fondamentali del Trattato in generale, ed il principio di non discriminazione in base alla nazionalità in particolare (Cons. St., Ad. Plen., 30 gennaio 2014, n. 7).

A ciò si aggiunga che ai sensi dell’art. 1, comma 1, della legge n. 241/1990 detti principi sono stati recepiti nel nostro ordinamento e devono pertanto ritenersi applicabili anche agli ambiti non specificamente oggetto della disciplina comunitaria.

Né risultano convincenti le motivazioni postume, dedotte dalla resistente a sostegno della scelta di circoscrivere la partecipazione alle imprese che hanno svolto analogo servizio in una città italiana.

A prescindere dal fatto che sono principalmente gli utenti del servizio a dover conoscere le norme del Codice della Strada, è chiaro che anche gli operatori comunitari non italiani devono essere in grado di acquisire una adeguata conoscenza delle norme e delle modalità di circolazione dei veicoli.

Anche le specificità del servizio elencate dall’Amministrazione (la scarsità di zone 30, la scarsità di zone residenziali e di corsie ciclabili, la presenza non sporadica di interruzioni della rete ciclabile, la mancanza ovvero comunque la scarsità di corsie riservate per i bus e la mancanza ovvero comunque la scarsità di elementi di agevolazione della mobilità urbana per le biciclette/monopattini) non consentono di ritenere proporzionata la prevista compromissione del super principio- valore di non discriminazione in base alla nazionalità.

Ciò in considerazione della natura sperimentale del servizio e dell’esigenza di beneficiare delle migliori esperienze maturate nelle diverse città europee, anziché delle (allo stato) limitate esperienze locali.

Da ultimo, precisa il collegio che l’interesse fatto valere dal ricorrente che impugna la sua esclusione è volto a concorrere per l’aggiudicazione nella stessa gara, dunque, anche nel caso di gara da aggiudicare con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, in presenza del giudicato di annullamento dell’esclusione sopravvenuto alla formazione della graduatoria, il rinnovo degli atti deve consistere nella sola valutazione dell’offerta illegittimamente pretermessa, da effettuarsi ad opera della medesima commissione preposta alla procedura (Cons. St., Ad. Plen., 26 luglio 2012, n. 30).

(TAR Veneto, Sez. I, 8.2.2021, n. 177)


Il principio di immodificabilità dell’offerta tra ricerca della volontà negoziale ed errore materiale: quando il soccorso istruttorio non è la panacea di tutti i mali.

Il principio di immodificabilità dell’offerta tra ricerca della volontà negoziale ed errore materiale: quando il soccorso istruttorio non è la panacea di tutti i mali.

Il principio di immodificabilità dell’offerta tra ricerca della volontà negoziale ed errore materiale: quando il soccorso istruttorio non è la panacea di tutti i mali.Torniamo a parlare di un tema sempre caldo in materia di appalti pubblici: principio di immodificabilità dell’offerta e soccorso istruttorio. La rettifica dell’errore materiale è ammissibile quando l’errore sia riconoscibile, ovvero sia palese sia il fatto che l’offerente è incorso in una svista, sia l’effettiva volontà negoziale che lo stesso ha inteso manifestare.

In una gara telematica da aggiudicarsi secondo il criterio del prezzo più basso per la fornitura urgente di dispositivi di protezione individuale per l’emergenza Covid-19, in 12 lotti, veniva espressamente prevista nei documenti di gara che, in considerazione della situazione emergenziale e al fine di ampliare la platea dei potenziali offerenti, la possibilità per gli operatori economici di formulare offerte anche per un quantitativo di dispositivi inferiore rispetto al fabbisogno indicato per i singoli lotti.

Il disciplinare prevedeva che l’offerta economica avrebbe dovuto essere formulata utilizzando il file denominato “SchemaOfferta_.xls”, generato e scaricato dalla piattaforma, nel quale per ciascun lotto di interesse, l’offerente avrebbe dovuto indicare il prezzo unitario, sulla cui base la stazione appaltante avrebbe stilato la graduatoria (con la precisazione che l’Amministrazione avrebbe considerato «valido solo il prezzo unitario indicato alla corrispondente voce dell’offerta economica»).

Una concorrente presentava offerte per alcuni ma veniva esclusa per aver compilato il file “SchemaOfferta_.xls” inserendo i prezzi complessivi riferiti all’intera fornitura per ciascun bene anziché il prezzo unitario del singolo dispositivo.

L’operatore escluso proponeva ricorso avverso l’esclusione e le aggiudicazioni disposte in favore di altri concorrenti.

A sostegno dell’impugnazione, la società ricorrente deduceva che, nel disporre l’esclusione, la stazione appaltante sarebbe venuta meno al dovere di ricercare l’effettiva volontà negoziale dell’offerente, superando le eventuali ambiguità dell’offerta, attraverso la semplice operazione matematica di divisione dell’importo complessivo indicato nella stessa per il numero dei dispositivi che ne costituivano oggetto.

La società rilevava infatti che la formulazione dell’offerta era stato il frutto di un mero errore formale pertanto la stazione appaltante avrebbe dovuto riammetterla in gara, previa attivazione del soccorso istruttorio qualora lo stesso ente non avesse ritenuto di poter ricavare l’importo del prezzo unitario attraverso la divisione dell’importo totale per il numero dei dispositivi offerti.

A più riprese la giurisprudenza amministrativa ha chiarito che “nella materia degli appalti pubblici vige il principio generale della immodificabilità dell’offerta, che è regola posta a tutela della imparzialità e della trasparenza dell’agire della stazione appaltante, nonché ad ineludibile tutela del principio della concorrenza e della parità di trattamento tra gli operatori economici che prendono parte alla procedura concorsuale», e pertanto «nelle gare pubbliche è ammissibile un’attività interpretativa della volontà dell’impresa partecipante alla gara da parte della stazione appaltante, al fine di superare eventuali ambiguità nella formulazione dell’offerta, purché si giunga ad esiti certi circa la portata dell’impegno negoziale con essi assunti; evidenziandosi, altresì, che le offerte, intese come atto negoziale, sono suscettibili di essere interpretate in modo tale da ricercare l’effettiva volontà del dichiarante, senza peraltro attingere a fonti di conoscenza estranee all’offerta medesima né a dichiarazioni integrative o rettificative dell’offerente (Cons. Stato, sez. V., 11 gennaio 2018, n. 113; Id., sez. IV, 6 maggio 2016, n. 1827; Id., sez. VI, 2 marzo 2017, n. 978).

La rettifica dell’errore materiale da parte della stazione appaltante è ammissibile soltanto quando l’errore sia riconoscibile, ovvero sia ex ante palese sia il fatto che l’offerente è incorso in una svista, sia l’effettiva volontà negoziale che lo stesso ha inteso manifestare.

Quanto all’errore (svista riconoscibile) non può da solo valere a rende ammissibile l’offerta perché, in tal caso, per comprenderne il contenuto, la stazione appaltante dovrebbe attivare l’istituto del soccorso istruttorio e chiedere chiarimenti all’impresa che la ha formulata, operazione non consentita dall’art. 83, c. 9, del d.lgs. n. 50/2016 quando la carenza riguardi l’offerta economica.

L’errore materiale della offerta deve essere tale da poter essere rettificato d’ufficio senza ausili esterni.

Nella specie, la modalità con cui la ricorrente ha formulato l’offerta non consentiva alla stazione appaltante di individuare ex ante, con la dovuta certezza, quale fosse la sua reale intenzione, e ciò perché, secondo quanto stabilito dalla legge di gara, la formazione della graduatoria secondo il criterio del prezzo più basso sarebbe avvenuta sulla base dei prezzi unitari indicati nel file “SchemaOfferta_.xls” firmato digitalmente, mentre l’operazione matematica di divisione del prezzo complessivo indicato dall’operatore per il numero dei dispositivi avrebbe potuto essere effettuata soltanto conoscendo il numero dei dispositivi concretamente offerti dall’operatore economico.

In questo caso, il bando consentiva ai partecipanti di formulare offerte anche per un quantitativo di dispositivi inferiore rispetto al fabbisogno regionale semestrale indicato per i singoli lotti.

Inoltre, il numero dei dispositivi offerti non era evincibile dal file “SchemaOfferta_.xls”, quindi la stazione appaltante non avrebbe potuto procedere con l’operazione matematica di divisione indicata dalla ricorrente, se non accedendo ad un documento, il “Dettaglio di offerta economica”, diverso da quello destinato a contenere l’indicazione del prezzo sulla base del quale sarebbe stata stilata la graduatoria.

Peraltro, pure a seguito di verifica e interpretazione, la rettifica del valore dell’offerta, stante il principio generale della immodificabilità, non avrebbe potuto prescindere dal coinvolgimento dell’offerente mediante l’attivazione del soccorso istruttorio, strada preclusa dall’art. 83, c. 9, d.lgs. n. 50/2016 in relazione all’offerta economica.

Quanto sopra senza considerare che, nel bilanciamento tra i due principi del favor partecipationis e della par condicio, il primo è da considerarsi recessivo rispetto al secondo salvo che l’errore commesso dall’offerente sia indotto da un comportamento della stazione appaltante, perché in tal caso la prevalenza del principio del favor partecipationis trae forza dalla necessità di rispettare anche il principio del legittimo affidamento maturato dal partecipante alla gara.

Nel caso di specie, però, la regola secondo cui l’offerta doveva essere formulata mediante indicazione del prezzo unitario dei dispositivi era chiara e adeguatamente evidenziata (tramite caratteri in grassetto) nel disciplinare di gara, con la conseguenza che l’errore della ricorrente deve essere imputato solo a quest’ultima e che il principio del favor partecipationis non può che soccombere rispetto a quello della par condicio dei partecipanti e, soprattutto, a quello di autoresponsabilità dell’operatore economico.

(TAR Umbria, Sez. I, 8.2.2021, n. 41)


Appalti pubblici e Self-cleaning: obbligo di fornire spontaneamente la prova di ravvedimento operoso alla presentazione della domanda/offerta? Le incertezze interpretative dell’art. 80 alla luce di una recente pronuncia della Corte di Giustizia.

Appalti pubblici e Self-cleaning: obbligo di fornire spontaneamente la prova di ravvedimento operoso alla presentazione della domanda/offerta? Le incertezze interpretative dell’art. 80 alla luce di una recente pronuncia della Corte di Giustizia.

Appalti pubblici e Self-cleaning: obbligo di fornire spontaneamente la prova di ravvedimento operoso alla presentazione della domanda/offerta? Le incertezze interpretative dell’art. 80 alla luce di una recente pronuncia della Corte di Giustizia.Una recente pronuncia della Corte di Giustizia UE (Sez. IV, 14.1.2021) avente ad oggetto l’istituto del self-cleaning negli appalti pubblici, si interroga sulla corretta interpretazione dell’art. 57, par. 6, direttiva comunitaria 2014/24, norma secondo cui, in presenza di un motivo facoltativo di esclusione dalla gara, l’operatore economico può fornire la prova che le misure di ravvedimento operoso adottate siano sufficienti a dimostrare la sua affidabilità.

Ricordiamo cosa prevede l'art. 57 della direttiva in commento: "4. Le amministrazioni aggiudicatrici possono escludere, oppure gli Stati membri possono chiedere alle amministrazioni aggiudicatrici di escludere dalla partecipazione alla procedura d’appalto un operatore economico in una delle seguenti situazioni:

c) se l’amministrazione aggiudicatrice può dimostrare con mezzi adeguati che l’operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, il che rende dubbia la sua integrità;
(...)
g) se l’operatore economico ha evidenziato significative o persistenti carenze nell’esecuzione di un requisito sostanziale nel quadro di un precedente contratto di appalto pubblico, di un precedente contratto di appalto con un ente aggiudicatore o di un precedente contratto di concessione che hanno causato la cessazione anticipata di tale contratto precedente, un risarcimento danni o altre sanzioni comparabili;
h) se l’operatore economico si è reso gravemente colpevole di false dichiarazioni nel fornire le informazioni richieste per verificare l’assenza di motivi di esclusione o il rispetto dei criteri di selezione, non ha trasmesso tali informazioni o non è stato in grado di presentare i documenti complementari di cui all’articolo 59; (...)
(...)

6. Un operatore economico che si trovi in una delle situazioni di cui ai paragrafi 1 e 4 può fornire prove del fatto che le misure da lui adottate sono sufficienti a dimostrare la sua affidabilità nonostante l’esistenza di un pertinente motivo di esclusione. Se tali prove sono ritenute sufficienti, l’operatore economico in questione non è escluso dalla procedura d’appalto".

La questione nasce da una controversia insorta in una procedura di gara soggetta alla legge belga, nel corso della quale alcuni operatori economici venivano esclusi per aver commesso gravi illeciti professionali.

Nel ricorso avverso l’esclusione, gli operatori evidenziavano che, prima di essere esclusi, essi avrebbero dovuto avere la possibilità di dimostrare di aver posto rimedio alle conseguenze di tali illeciti attraverso l’istituto del self-cleaning.

L’Amministrazione, da parte sua, contestava quanto affermato dagli operatori poiché, a suo avviso, a mente dell’articolo 70 della legge belga 17 giugno 2016 sugli appalti pubblici, l’operatore interessato deve dichiarare di propria iniziativa i provvedimenti di ravvedimento operoso adottati.

A questo punto, il giudice del rinvio si chiede se l’art. 57 della direttiva comunitaria 2014/24 vada interpretato nel senso che un operatore economico possa essere escluso da una gara per gravi illeciti professionali senza essere stato preventivamente invitato dall’Amministrazione a fornire la prova del ravvedimento operoso.

Secondo il giudice del rinvio, il quale rimetteva la questione dinanzi alla Corte di Giustizia, non ci si può aspettare che un operatore economico si autoaccusi – fornendo un elenco di comportamenti classificabili come gravi illeciti, tali da giustificarne l’esclusione dalle procedure cui dovesse partecipare; di contro, sarebbe più corretto – e connotato da maggiore trasparenza – consentire all’operatore economico di fornire prova dell’avvenuto ravvedimento operoso.

Nell'affrontare la questione, il giudice del rinvio chiede se, stante l’art. 57, par. 6, possa uno Stato membro prevedere che l’operatore economico sia tenuto a fornire spontaneamente al momento della presentazione della domanda o offerta la prova del ravvedimento operoso nonostante l’esistenza di un motivo di esclusione facoltativo quando tale obbligo non sia previsto né dalla normativa nazionale né dai documenti di gara.

Si badi bene, l’art. 57, paragrafo 6, come anche il considerando n. 102, non precisano in che modo o in quale fase della procedura possa essere fornita la prova del ravvedimento operoso.

Il che porterebbe a ritenere che, alla luce del solo tenore letterale dell’art. 57, paragrafo 6, la possibilità lasciata agli operatori economici di fornire la prova dei provvedimenti di ravvedimento operoso adottati può essere esercitata su iniziativa di questi ultimi o su iniziativa dell’amministrazione aggiudicatrice, così come può essere esercitata al momento della presentazione della domanda di partecipazione o dell’offerta o in una fase successiva della procedura.

Detta interpretazione è altresì avvalorata dal contesto in cui si inserisce la norma.

In forza dell’art. 57, par. 7, le condizioni di applicazione di tale articolo e, pertanto, del par. 6 di quest’ultimo devono essere specificate dagli Stati membri nel rispetto del diritto dell’Unione. Quindi, nell’ambito del margine di discrezionalità di cui dispongono nella determinazione delle modalità procedurali di cui all’art. 57, paragrafo 6, gli Stati membri possono prevedere che la prova dei provvedimenti di ravvedimento operoso debba essere fornita spontaneamente dall’operatore economico interessato al momento della presentazione della domanda o dell’offerta, così come essi possono anche prevedere che tale prova possa essere fornita dopo che detto operatore economico sia stato formalmente invitato a farlo dall’amministrazione aggiudicatrice in una fase successiva della procedura.

Ne deriva che, qualora uno Stato membro preveda che la prova dei provvedimenti di ravvedimento operoso possa essere fornita solo spontaneamente dall’operatore economico al momento della presentazione della domanda o dell’offerta, senza possibilità di fornire tale prova in una fase successiva della procedura, i principi di trasparenza e di parità di trattamento richiedono che gli operatori economici siano informati in via preventiva, in maniera chiara, precisa e univoca, dell’esistenza di un siffatto obbligo, vuoi che tale informazione risulti direttamente dai documenti di gara, vuoi che essa risulti da un rinvio, in tali documenti, alla normativa nazionale pertinente.

Nel caso di specie, sebbene la normativa nazionale belga abbia precisato che la prova dei provvedimenti di ravvedimento operoso deve essere fornita su iniziativa dell’operatore economico, i documenti di gara non indicavano espressamente che tale prova dovesse essere fornita spontaneamente dall’operatore economico interessato.

In tali circostanze, e fatto salvo l’obbligo che incombeva alle ricorrenti di informare l’amministrazione aggiudicatrice dei gravi illeciti professionali, tali ricorrenti potevano ragionevolmente attendersi, sul solo fondamento dell’art. 57, par. 6, che esse sarebbero state successivamente invitate dall’amministrazione aggiudicatrice a fornire la prova dei provvedimenti di ravvedimento operoso adottati per porre rimedio a qualsivoglia motivo di esclusione facoltativo che tale amministrazione potesse rilevare.

Orbene, riferendoci a una normativa nazionale che non precisava se la prova dei provvedimenti di ravvedimento operoso dovesse essere o meno fornita spontaneamente dall’operatore economico, né in quale fase della procedura dovesse essere fornita, emerge che, sebbene incomba agli operatori economici informare l’amministrazione, sin dal momento della presentazione della loro domanda di partecipazione o della loro offerta, dei gravi illeciti professionali, l’amministrazione, qualora concluda che sussiste un motivo di esclusione derivante da tale circostanza, deve nondimeno dare agli operatori interessati la possibilità di fornire la prova dei provvedimenti di ravvedimento operoso adottati.

Alla luce di tanto, ad avviso della Corte l’art. 57, par. 6, della direttiva 2014/24 deve essere interpretato nel senso che esso contrasta con una prassi in forza della quale un operatore economico è tenuto a fornire spontaneamente, al momento della presentazione della sua domanda di partecipazione o della sua offerta, la prova dei provvedimenti di ravvedimento operoso adottati per dimostrare la sua affidabilità nonostante l’esistenza, nei suoi confronti, di un motivo di esclusione facoltativo, qualora un simile obbligo non risulti né dalla normativa nazionale applicabile né dai documenti di gara.

Di contro, è legittimo un siffatto obbligo qualora esso sia previsto in modo chiaro, preciso e univoco nella normativa nazionale applicabile e sia portato a conoscenza dell’operatore economico interessato mediante i documenti di gara.

Le incertezze dell’art. 80, comma 7, d.lgs. 50/2016

 Venendo ora alla normativa codicistica italiana, il principio espresso dalla Corte di Giustizia dà conto di come anche nella normativa dei contratti pubblici italiana vi sia una incertezza interpretativa sull’art. 80, in particolare, sul comma 7.

A mente di tale disposizione, infatti: “Un operatore economico, o un subappaltatore, che si trovi in una delle situazioni di cui al comma 1, limitatamente alle ipotesi in cui la sentenza definitiva abbia imposto una pena detentiva non superiore a 18 mesi ovvero abbia riconosciuto l'attenuante della collaborazione come definita per le singole fattispecie di reato, o al comma 5, è ammesso a provare di aver risarcito o di essersi impegnato a risarcire qualunque danno causato dal reato o dall'illecito e di aver adottato provvedimenti concreti di carattere tecnico, organizzativo e relativi al personale idonei a prevenire ulteriori reati o illeciti.

A ben vedere, la norma italiana non prevede quando (e se trattasi di obbligo) l’operatore sia tenuto a fornire prova del ravvedimento operoso.

Non sembra che un “siffatto obbligo” sia previsto in modo chiaro, preciso e univoco nella normativa nazionale.

Non è affatto chiaro infatti se l'amministrazione sia tenuta ad invitare l'operatore a fornire la prova, in quale momento della procedura e se trattasi di obbligo.

Ancora, si potrebbe ragionevolmente ritenere contrastante con la normativa comunitaria la prassi (e quindi quella lex specialis che lo preveda) in forza della quale l'operatore economico è tenuto a fornire spontaneamente in un dato momento della procedura (giacché la norma codicistica nulla dice con riferimento al momento) la prova dei provvedimenti di ravvedimento operoso adottati per dimostrare la sua affidabilità nonostante l’esistenza, nei suoi confronti, di un motivo di esclusione facoltativo

(CGUE, C-387/19 del 14.1.2021)