Appalti pubblici e compensazione prezzi per aumento costi materiali da costruzione: estensione anche al primo semestre 2022

Caro materiali: le novità del decreto “Sostegni ter”, la clausola revisione prezzi e la compensazione negli appalti pubblici

Caro materiali: le novità del decreto “Sostegni ter”, la clausola revisione prezzi e la compensazione negli appalti pubbliciCaro materiali: il decreto Sostegni-ter ha nuovamente inciso sul tema dell’aumento dei costi materiali da costruzione e sulla revisione dei prezzi negli appalti pubblici.

Qualche settimana fa avevamo parlato della legge di bilancio 2022 che ha esteso la compensazione prevista all’art. 1-septies del d.l. 73/2021 a tutto l’anno 2021, ampliando altresì il Fondo compensazione per ulteriori 100 milioni di euro.

Il quadro delle compensazioni disciplinate dall’art. 1-septies è destinato ad essere affiancato da un nuovo strumento volto a fronteggiare il continuo aumento dei prezzi dei materiali da costruzione.

Più precisamente, al fine di far fronte alle ricadute economiche negative derivanti dalle misure di contenimento dell'emergenza sanitaria, il decreto Sostegni-ter (d.l. 27 gennaio 2022, n. 4) appena varato ha infatti nuovamente inciso sul tema dell’aumento dei costi materiali da costruzione e sulla revisione dei prezzi negli appalti pubblici.

Il comma 1 dell’art. 29 prevede che per i bandi o gli avvisi pubblicati a partire dal 27 gennaio 2022 e fino al 31 dicembre 2023 è obbligatorio l'inserimento, nei documenti di gara, delle clausole di revisione dei prezzi previste dall'art. 106, comma 1, lett. a) del Codice.

In altre parole, torna obbligatoria – sebbene a tempo determinato - la clausola revisione prezzi nei contratti pubblici (lavori, servizi e forniture) che, fino ad oggi rappresentava una mera facoltà.

Accanto a ciò, il comma 1, lett. b) dell’art. 29 introduce un meccanismo di compensazione delle variazioni di prezzo, in aumento o in diminuzione, dei singoli materiali da costruzione.Il meccanismo, riferito ai materiali più rilevanti, si applica a tutti i contratti di lavori, a prescindere dall’importo.

In deroga all'art. 106, comma 1, lettera a), quarto periodo, tale nuovo meccanismo prevede che le variazioni di prezzo in aumento o in diminuzione non sono più valutate per l'eccedenza del 10% rispetto al prezzo originario. Cambia così la c.d. alea contrattuale, che passa dal 10% al 5% rispetto al prezzo rilevato nell'anno di presentazione dell'offerta.

Quanto al funzionamento del nuovo meccanismo compensativo, l’art. 29 prevede che:

- entro il 31 marzo e il 30 settembre di ciascun anno, spetta al MIMS determinare con decreto, sulla base delle elaborazioni effettuate dall'ISTAT, le variazioni percentuali dei singoli prezzi dei materiali da costruzione più significativi relative a ciascun semestre;

- per ottenere il riconoscimento degli extra-costi in cantiere, il comma 4 dell’art. 29 specifica che l’appaltatore è tenuto a presentare alla stazione appaltante, a pena di decadenza, l'istanza di compensazione entro sessanta giorni dalla data di pubblicazione in Gazzetta dei decreti MIMS con la determinazione delle variazioni subite dai prezzi dei materiali edili, a cui deve essere allegata adeguata documentazione comprovante gli aumenti subiti. Spetta poi al direttore dei lavori verificare l'effettiva maggiore onerosità subita dall'esecutore e che l'esecuzione dei lavori sia avvenuta nel rispetto dei termini indicati nel cronoprogramma;

- se la maggiore onerosità provata dall'esecutore è relativa ad una variazione percentuale inferiore a quella riportata nel decreto del MIMS, la compensazione sarà riconosciuta limitatamente alla variazione inferiore subita dall’esecutore e per la sola parte eccedente il 5% e in misura pari all'80% di detta eccedenza. Nel caso invece in cui l'esecutore provi di aver subito una onerosità maggiore rispetto alla variazione percentuale riportata nel decreto ministeriale, la compensazione è riconosciuta nel limite massimo pari alla variazione riportata nel per la sola parte eccedente il 5% e in misura pari all'80% di detta eccedenza;

-  la compensazione è determinata applicando la percentuale di variazione che eccede 5% al prezzo dei singoli materiali da costruzione impiegati nelle lavorazioni contabilizzate nei dodici mesi precedenti al decreto ministeriale e nelle quantità accertate dal direttore dei lavori;

- sono esclusi dalla compensazione i lavori contabilizzati nell'anno solare di presentazione dell'offerta;

- la compensazione non è soggetta al ribasso d'asta ed è al netto delle eventuali compensazioni precedentemente accordate.

Il richiamo a nuovi decreti e nuovi meccanismi di rilevazione delle variazioni dei prezzi sembra in verità rispondere alle contestazioni che sono state mosse da diversi operatori del settore con riferimento al decreto dell’11 novembre 2021 (G.U. 23.11.2021), con cui sono state rilevate le variazioni dei prezzi da applicare ai fini della compensazione di cui all’art. 1-septies del decreto Sostegni-bis.

Contestazioni che hanno portato alcune associazioni di categoria - ANCE e ASSISTAL - a presentare un ricorso al TAR finalizzato a contestare il d.m. MIMS dell'11 novembre 2021, tacciato di contenere dati irragionevoli e di gran lunga inferiori all'aumento reale registrato sul mercato, il tutto a causa di un errato metodo di rilevazione e calcolo dei prezzi. La nuova disciplina della revisione prezzi e della compensazione appare ad oggi tutt’altro che lineare, oltre ad essere di difficile coordinamento con alcuni istituti propri dell’esecuzione dei lavori pubblici.

Come è facile intuire il nuovo meccanismo di compensazione appare essere maggiormente oneroso per le stazioni appaltanti. Non è da escludersi infatti che in sede di conversione vi possano essere delle modifiche significative a tali meccanismi, in considerazione delle sostanziose risorse che la sua applicazione richiede di mettere in campo, anche alla luce di quanto segnalato dal servizio di bilancio del Senato che ha chiesto di far luce sull’impatto che possa derivare dal meccanismo di revisione dei prezzi sulle casse della finanza pubblica.

D.l. 27 gennaio 2022, n. 4 - Misure urgenti in materia di sostegno alle imprese e agli operatori economici, di lavoro, salute e servizi territoriali, connesse all'emergenza da COVID-19, nonché' per il contenimento degli effetti degli aumenti dei prezzi nel settore elettrico


La Legge europea 2019-2020: novità appalti pubblici per subappalto, termini di pagamento, nuovo art. 80, comma 4, sanità, energia e modifiche al codice civile

La Legge europea 2019-2020 prevede, tra le tante, novità nel settore degli appalti pubblici per subappalto, termini di pagamento, nuovo art. 80, comma 4, della sanità, dell’energia e prevede anche modifiche al codice civile.

La l. 23 dicembre 2021, n. 238 è  stata pubblicata il 17 gennaio in Gazzetta Ufficiale ed è entrata in vigore il 1 febbraio 2022.

La legge in questione ha lo scopo di adeguare il diritto nazionale al diritto europeo, risolvendo alcune delle criticità rilevate dalla Commissione Europea con diverse procedure di infrazione e attuando il contenuto di alcuni regolamenti, direttive e sentenze della Corte di Giustizia.

Il testo si compone di disposizioni aventi natura eterogenea e introduce una serie di novità in diversi settori.

Promozione della parità di trattamento dei lavoratori all’interno dell’UE

In tema di libera circolazione di persone, beni e servizi, gli articoli 1-13, intervenendo sul d.lgs. 206/2007, apportano modifiche per garantire il riconoscimento delle qualifiche e dei tirocini professionali effettuati al di fuori del territorio nazionale non più solo per i cittadini italiani ma anche per i cittadini degli altri Stati membri residenti in Italia, attuando altresì un sistema di cooperazione tra le autorità amministrative competenti dei vari Stati membri. Viene altresì espressamente attribuito all'Ufficio Nazionale Anti discriminazioni Razziali (UNAR) il compito di occuparsi della promozione della parità di trattamento e della rimozione delle discriminazioni, fondate anche sulla nazionalità, nei confronti dei lavoratori che esercitano il diritto alla libera circolazione all'interno dell'Unione europea. Si segnalano anche modifiche al codice della strada in relazione alle formalità necessarie per la circolazione degli autoveicoli, motoveicoli e rimorchi immatricolati in uno Stato estero.

Subappalto nei contratti pubblici

Tra le procedure di infrazione a cui la legge risponde vi è anche la nota Procedura di infrazione n. 2018/2273 dalla Commissione europea sul tema dei contratti pubblici e, in particolare sull’istituto del subappalto.

Abrogata la terna dei subappaltatori; l’art. 10, comma 1, lett. d) abroga infatti il comma 6 dell’art. 105 del Codice. La terna dei subappaltatori scompare altresì dall’art. 174 del Codice che disciplina il subappalto nelle concessioni. Conseguentemente, si dispone l’abrogazione della disciplina transitoria relativa al subappalto, di cui all’art. 1, comma 18, del d.l. 32/2019, prorogata fino al 2023 anche dal recente decreto Semplificazioni bis (d.l. 77/2021).

Viene altresì modificato l’art. 80, commi 1 e 5, del Codice, per cui viene meno la possibilità che un operatore economico possa essere escluso da una procedura di gara, quando la causa di esclusione riguardi un suo subappaltatore proposto obbligatoriamente in sede di offerta.

Modifiche di non poco conto rilevano all’art. 105, comma 4, del Codice in tema dei requisiti per il rilascio dell’autorizzazione al subappalto.

Vengono infatti abrogate le lett. a) e d) del comma 4 dell’art. 105: “I soggetti affidatari dei contratti di cui  al  presente  codice possono affidare in subappalto le opere o i lavori, i  servizi  o  le forniture  compresi  nel  contratto,  previa   autorizzazione   della stazione appaltante purchè:

  1. a) l'affidatario  del  subappalto  non  abbia  partecipato  alla procedura per l'affidamento dell'appalto;
  2. b) il subappaltatore sia qualificato nella relativa categoria e non sussistano a suo carico i motivi di esclusione di cui all’articolo 80;
  3. c) all'atto dell'offerta siano stati indicati i lavori o le parti di opere ovvero i servizi e  le  forniture  o  parti  di  servizi  e forniture che si intende subappaltare;
  4. d) il concorrente dimostri l'assenza in capo  ai  subappaltatori dei motivi di esclusione di cui all'articolo 80”.

Con l’abrogazione della lettera a) del comma 4 dell’art. 105 cade il divieto di subappalto in favore di un operatore che ha partecipato alla procedura per l’affidamento dell’appalto.

La norma, introdotta dal correttivo al codice del 2017, nasceva con l’intento di prevenire i possibili conflitti di interesse e turbative della gara mediante accordi potenzialmente fraudolenti tra diverse imprese interessate al medesimo appalto. Sul punto era poi sorto un dibattito giurisprudenziale circa la legittimità dell’esclusione dalla gara del soggetto che presenti un’offerta per partecipare alla gara e nel contempo venga indicato da altro concorrente come subappaltatore. La Commissione Europea aveva invece criticato la norma, tracciandola di introdurre una presunzione assoluta di conflitto di interessi, incompatibile con i principi di matrice comunitaria.

Accanto a ciò, viene altresì semplificato l’onere posto a carico del concorrente di indicare preventivamente l’assenza dei motivi di esclusione dell’art. 80 del Codice del proprio subappaltatore, stabilita dalla ormai abrogata lettera d) dell’art. 105, comma 4. Un’incombenza che rendeva la posizione dell’aspirante aggiudicatario ulteriormente gravosa.

La lett. b) dell’art. 105, viene modificata e spetta al subappaltatore, qualificato nella categoria d’interesse, la dimostrazione dei requisiti morali previsti dall’art. 80 del Codice.

Per simmetria, le modifiche riguardano anche il subappalto nelle concessioni, ossia l’art. 174 del Codice.

Le irregolarità fiscali come causa di esclusione dagli appalti pubblici

Altre novità di rilievo riguardano i motivi di esclusione di cui all’art. 80 e, in particolare, il comma 4, d.lgs. 50/2016, con ogni probabilità una delle norme che ha subito il maggior numero di modifiche negli ultimi tempi.

La norma prevedeva, fino a poco tempo fa, l’esclusione dell’operatore economico che avesse commesso delle gravi violazioni degli obblighi relativi al pagamento di imposte, tasse e contributi previdenziali e le stesse fossero state “definitivamente accertate”.

L’art. 8, comma 5, lett. b), del decreto Semplificazioni (d.l. 76/2020) aveva modificato la norma, prevedendo l’esclusione dell’operatore economico quando “la stazione appaltante è a conoscenza e può adeguatamente dimostrare che lo stesso non ha ottemperato agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse o dei contributi previdenziali non definitivamente accertati qualora tale mancato pagamento costituisca una grave violazione”.

Il comma 1, lett. c) dell’art. 10 della Legge europea 2019-2020 modifica il comma 4 dell’art. 80 specificando che in materia fiscale costituiscono gravi violazioni non definitivamente accertate quelle che saranno stabilite in un apposito decreto del MEF, da emanare entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge, che dovrà indicare limiti e condizioni per l’operatività della causa di esclusione relativa a violazioni non definitivamente accertate che, in ogni caso, deve essere correlata al valore dell’appalto, e comunque di importo non inferiore a 35.000 euro (valore massimo precedente era 5.000 euro).

Qui il testo del nuovo art. 80, comma 4, d.lgs. 50/2016 “Un operatore economico può essere escluso  dalla  partecipazione  a una procedura d'appalto se la stazione appaltante è a  conoscenza  e può  adeguatamente  dimostrare  che  lo  stesso  ha  commesso  gravi violazioni non definitivamente accertate agli  obblighi  relativi  al pagamento di imposte e tasse o contributi  previdenziali.  Per  gravi violazioni non definitivamente accertate in  materia  contributiva  e previdenziale  s'intendono  quelle  di   cui   al   quarto   periodo. Costituiscono  gravi  violazioni  non  definitivamente  accertate  in materia fiscale quelle stabilite da un apposito decreto del  Ministro dell'economia e delle finanze, di  concerto  con  il  Ministro  delle infrastrutture e della mobilità  sostenibili  e  previo  parere  del Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del  Consiglio dei ministri, da emanare entro sessanta giorni dalla data di  entrata in vigore delle disposizioni di  cui  al  presente  periodo,  recante limiti e condizioni per  l'operatività  della  causa  di  esclusione relativa a violazioni non  definitivamente  accertate  che,  in  ogni caso, devono essere correlate al valore dell'appalto  e  comunque  di importo non inferiore a 35.000 euro”.

Affidamenti dei servizi di architettura e ingegneria

Con particolare riferimento agli affidamenti dei servizi di architettura e ingegneria, questi vengono aperti a tutti i soggetti abilitati in base alla legge nazionale ad offrire simili servizi sul mercato. Accanto a ciò viene inserita all’art. 31, comma 8, d.lgs. 50/2016 la possibilità per il progettista di affidare a terzi attività di consulenza specialistica inerenti ai settori energetico, ambientale, acustico e ad altri settori non attinenti alle discipline dell’ingegneria e dell’architettura per i quali siano richieste apposite certificazioni o competenze, rimanendo ferma la responsabilità del progettista anche ai fini di tali attività.

La lettera b) del comma 1 dell’art. 10 introduce diverse modifiche anche all’art. 46 del Codice, che elenca gli operatori economici ammessi alle procedure di affidamento dei servizi attinenti all'architettura e all'ingegneria. In particolare, viene introdotta la lett. d-bis) all’art. 46, comma 1, del Codice che, richiamando la pronuncia della Corte di giustizia UE dell'11 giugno 2020, C‑219/19 - che ha stabilito che il diritto nazionale non può vietare ad una fondazione senza scopo di lucro, che è abilitata ad offrire taluni servizi sul mercato nazionale, di partecipare a procedure di aggiudicazione di appalti pubblici aventi ad oggetto la prestazione degli stessi servizi -, permette a tutti soggetti abilitati in forza del diritto nazionale a offrire sul mercato servizi di ingegneria e di architettura, nel rispetto dei principi di non discriminazione e par condicio fra i diversi soggetti abilitati, a partecipare alle gare in questione.

Termini di pagamento della PA nei contratti pubblici

In risposta ai rilievi che la Commissione europea ha promosso con la procedura di infrazione n. 2017/2090 alla disciplina nazionale riguardante i termini dei pagamenti effettuati dalle stazioni appaltanti in favore degli appaltatori, l’art. 10, comma 1, lett. e) incide sull’art. 113-bis del Codice dei contratti, in tema di pagamenti da parte delle committenti.

La direttiva 2011/7/UE prescrive, infatti, che il pagamento debba avvenire entro 30 giorni di calendario dalla data in cui tali adempimenti si compiono. Contrariamente a quanto previsto nella Direttiva, l’originaria formulazione dell’art. 113-bis consentiva la prassi per cui il pagamento poteva intervenire entro 30 giorni dal certificato di pagamento, a sua volta emesso entro 30 giorni dal certificato di collaudo.
La stessa Commissione con la procedura di infrazione n. 2017/2090 aveva sostenuto che “l’articolo 113-bis del D.Lgs. 50/2016 permette la prassi per cui il pagamento possa intervenire entro 30 giorni dal certificato di pagamento, a sua volta intervenuto entro 30 giorni dal collaudo”.

La Legge europea 2018 (legge n. 37/2019) aveva già riformulato l’art. 113-bis, prevedendo che all'esito positivo del collaudo o della verifica di conformità, e comunque entro un termine non superiore a sette giorni dagli stessi, il responsabile unico del procedimento rilasciasse il certificato di pagamento ai fini dell'emissione della fattura da parte dell'appaltatore.

Con le attuali modifiche, che aggiungono i commi da 1-bis a 1-septies, l’art. 113-bis accelera ancora di più gli adempimenti prodromici al pagamento dell’appaltatore. Più precisamente, l’esecutore può comunicare alla stazione appaltante il raggiungimento delle condizioni contrattuali per l’adozione dei SAL, che il direttore dei lavori accerta “senza indugio” e per cui, contestualmente, adotta il SAL, salvo eventuali difformità. Il direttore dei lavori trasmette il SAL a RUP che emette contestualmente il certificato di pagamento o comunque entro sette giorni, previa verifica di regolarità contributiva. Il RUP dovrà così inviare il certificato alla stazione appaltante che procede al pagamento entro 30 giorni dall’adozione del SAL o dall’esito positivo del collaudo o della verifica di conformità.

Resta in ogni caso salvo l’eventuale diverso termine pattuito tra le parti - comunque non superiore a 60 giorni e purché la natura particolare del contratto o talune sue caratteristiche giustifichino tale termine più lungo - nonché l’art. 1666, comma 2, c.c. per cui il certificato di pagamento non costituisce presunzione di accettazione dell’opera.

Il nuovo regime sembra in verità ricalcare non solo quanto già previsto dal d.m. 49/2018 e dalle Linee guida ANAC n. 3, ma anche il regime dei pagamenti introdotto durante la fase emergenziale dall’art. 8, comma 4 del d.l. 76/2020 che come noto è applicabile ai lavori in corso di esecuzione alla data di entrata in vigore del decreto Semplificazioni 2020, restandone esclusi a titolo esemplificativo i lavori consegnati successivamente.

La misura emergenziale viene dunque resa stabile nell’impianto codicistico con la Legge europea 2019-2020.

Qui il nuovo testo dell’art. 113 bis del Codice, nella parte di interesse: “ 1. I pagamenti relativi agli acconti del corrispettivo di appalto sono effettuati nel termine di trenta giorni decorrenti dall’adozione di ogni stato di avanzamento dei lavori, salvo che sia espressamente concordato nel contratto un diverso termine, comunque non superiore a sessanta giorni e purché ciò sia oggettivamente giustificato dalla natura particolare del contratto o da talune sue caratteristiche. I certificati di pagamento relativi agli acconti del corrispettivo di appalto sono emessi contestualmente all’adozione di ogni stato di avanzamento dei lavori e comunque entro un termine non superiore a sette giorni dall’adozione degli stessi.

1-bis. Fermi restando i compiti del direttore dei lavori, l’esecutore può comunicare alla stazione appaltante il raggiungimento delle condizioni contrattuali per l’adozione dello stato di avanzamento dei lavori.

1-ter. Ai sensi del comma 3 il direttore dei lavori accerta senza indugio il raggiungimento delle condizioni contrattuali e adotta lo stato di avanzamento dei lavori contestualmente all’esito positivo del suddetto accertamento ovvero contestualmente al ricevimento della comunicazione di cui al comma 1-bis, salvo quanto previsto dal comma 1-quater.

1-quater. In caso di difformità tra le valutazioni del direttore dei lavori e quelle dell’esecutore in merito al raggiungimento delle condizioni contrattuali, il direttore dei lavori, a seguito di tempestivo accertamento in contraddittorio con l’esecutore, procede all'archiviazione della comunicazione di cui al comma 1-bis ovvero all'adozione dello stato di avanzamento dei lavori.

1-quinquies. Il direttore dei lavori trasmette immediatamente lo stato di avanzamento dei lavori al RUP, il quale, ai sensi del comma 1, secondo periodo, emette il certificato di pagamento contestualmente all’adozione dello stato di avanzamento dei lavori e, comunque, non oltre sette giorni dalla data della sua adozione, previa verifica della regolarità contributiva dell’esecutore e dei subappaltatori. Il RUP invia il certificato di pagamento alla stazione appaltante, la quale procede al pagamento ai sensi del comma 1, primo periodo.

1-sexies. L’esecutore può emettere fattura al momento dell’adozione dello stato di avanzamento dei lavori. L’emissione della fattura da parte dell’esecutore non è subordinata al rilascio del certificato di pagamento da parte del RUP.

1-septies. Ogni certificato di pagamento emesso dal RUP è annotato nel registro di contabilità”.

Da quando si applicano tutte le nuove disposizioni in materia di appalti pubblici? È lo stesso art. 10 a specificarlo. In base al comma 5, infatti, le nuove disposizioni troveranno applicazione alle procedure dei bandi o degli avvisi di gara pubblicati successivamente alla data di entrata in vigore della legge, ossia dal 1 febbraio 2022, nonché, in caso di contratti senza  pubblicazione  di bandi o avvisi, alle procedure in cui, alla medesima data,  non  sono ancora  stati  inviati  gli  inviti  a  presentare  le  offerte  o  i preventivi.

Validità e rinnovo del permesso di soggiorno UE

Gli articoli 14-20 apportano modifiche in tema di validità e rinnovo del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, proroga del visto d'ingresso per i soggiorni di breve durata e rimpatri e in materia di inammissibilità delle domande di protezione internazionale.

Regime della cd. call-off stock

In tema di spazio di fiscalità, dogane e ravvicinamento delle legislazioni, gli articoli 21 – 23 introducono alcune disposizioni riguardanti il regime della cd. call-off stock (operazione con cui un soggetto passivo trasferisce beni della sua impresa da uno Stato Membro in un altro Stato Membro per venderli, dopo l’arrivo in tale Stato, a un acquirente già noto). Vengono poi introdotte alcune modifiche alle sanzioni per l’acquirente finale che introduce nel territorio dello Stato modiche quantità di beni contraffatti di provenienza extra-UE.

Modifiche del codice civile, redazione del bilancio di esercizio e consolidato

Gli articoli 24-28 modificano alcune disposizioni del codice civile in tema di redazione del bilancio di esercizio e consolidato. In particolare, il comma 1 dell’art. 24 stabilisce l'obbligo per le snc o le sas di redigere il bilancio secondo le norme previste per le società per azioni, nonché di redigere e pubblicare il bilancio consolidato come le imprese controllate (art. 26 d.lgs. 127/1991). Ciò, anche qualora i soci illimitatamente responsabili siano società di capitali soggette al diritto di un altro Stato membro dell’Unione europea oppure società soggette al diritto di un altro Stato ma assimilabili giuridicamente alle srl disciplinate dal diritto di uno Stato membro. L’art. 26 invece, modifica la disciplina delle sanzioni penali in caso di abusi di mercato.

Sanità e vendita telematica di medicinali

Gli articoli 29-33 introducono alcune norme sulla vendita telematica di medicinali veterinari, biocidi e cosmetici, per contrastare la vendita illecita e implementare i meccanismi di controllo. Viene altresì modificata la disciplina relativa all’obbligo, per ogni struttura sanitaria privata di cura, di dotarsi di un direttore sanitario. La novella concerne il profilo dell'ordine professionale territoriale di appartenenza, consentendo che il direttore sanitario sia iscritto anche ad un ordine territoriale diverso da quello competente per il luogo in cui la struttura abbia la sede operativa e disciplinando la nuova possibile fattispecie.

Protezione dei consumatori

Gli artt. 35-37 introducono una serie di disposizioni in materia di obblighi di riduzione delle emissioni di gas serra prodotte durante il ciclo di vita dei carburanti e in tema di sistema europeo per lo scambio di quote di emissione dei gas a effetto serra e apportano modifiche al codice del consumo.

Energia

L’art. 38 incide sul d.lgs. 28/2011 (c.d. decreto rinnovabili) e, in particolare, sul calcolo da utilizzare per la determinazione di energia prodotta dai biocarburanti e dai bioliquidi.

PNRR

Completano la legge alcune disposizioni riferite all’attuazione del PNRR: l’art. 43 ha difatti previsto una costante attività di monitoraggio parlamentare sull’attuazione del PNRR. Il Governo dovrà così trasmette alle Camere, su base semestrale, relazioni periodiche sullo stato di avanzamento dell’attuazione del programma di riforme e investimenti contenuti nel Piano.

LEGGE 23 dicembre 2021, n. 238 - Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea - Legge europea 2019-2020

 


Caro energia: le novità del decreto “Sostegni ter” sulla compensazione.

Caro energia: le novità del decreto “Sostegni ter” e la compensazione per impianti non incentivati

Caro energia: le novità del decreto “Sostegni ter” sulla compensazione.Dopo il caro materiali è la volta del caro energia. Con il decreto “Sostegni ter” , il legislatore cerca di porre rimedio e contenere gli aumenti dei costi che stanno affliggendo il settore dell’edilizia pubblica, da un alto, quello dell’energia elettrica, dall’altro con meccanismi di compensazione che operano anche in relazione a impianti non incentivati.

Il riferimento è al d.l. 27 gennaio 2022, n. 4, che introduce nell'ordinamento giuridico "Misure urgenti in materia di sostegno alle imprese e agli operatori economici, di lavoro, salute e servizi territoriali, connesse all'emergenza da COVID-19, nonché per il contenimento degli effetti degli aumenti dei prezzi nel settore elettrico", in vigore dal 27.1.2022.

Recentemente, il tema energia è al centro di grandi dibattiti, sia a livello globale, che nazionale e regionale, come dimostrano le news pubblicate relative allo sviluppo energetico nella Regione Lazio (consultabili a questo link oppure qui).

Con il cd. decreto "Sostegni teril legislatore italiano interviene, specificatamente, con una serie di disposizioni di sostegno, alcune delle quali mirano trasversalmente a favorire certamente la realizzazione degli obiettivi di transizione energetica ed ecologica per gli investimenti inclusi nel PNRR.

Osservando, ad esempio, gli interventi del decreto Sostegni ter di cui al Titolo III "Misure urgenti per il contenimento dei costi dell'energia elettrica", art. 14 e ss., il legislatore ha previsto specifiche misure di incentivi quali:

  • la riduzione delle aliquote per le utenze con potenza disponibile pari o superiore a 16,5 kW. Viene demandato all'Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente (ARERA) di annullare, con decorrenza 1.1.2022, per il primo trimestre 2022, le aliquote relative agli oneri generali di sistema applicate alle utenze con potenza disponibile pari o superiore a 16.5 kW. Tale riduzione è possibile grazie all'utilizzo "di quota parte dei proventi delle aste delle quote di emissione di CO2" (a questo link un approfondimento sul sistema di meccanismo della aste);
  • l'erogazione di un contributo straordinario (sotto forma di credito di imposta) in favore delle imprese a forte consumo di energia elettrica – ance dette energivore - che hanno subito un incremento del costo energetico superiore al 30% rispetto all'anno 2019;
  • meccanismo di compensazione per chi produce elettricità da impianti a fonti rinnovabili, incentivati e non;
  • ridefinizione dell'attività svolta dalla Commissione tecnica PNRR - PNIEC, ex art. 8, d.lgs. 152/2006 e s.m.i. (Commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale - VIA e VAS), al fine di accelerare ulteriormente i processi autorizzativi degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili ed incrementare il livello di autosufficienza energetica del Paese.

Con particolare riferimento al meccanismo di compensazione, si tratta di una misura “a tempo” che opera dal 1.2.2022 al 31.12.2022.

Riguarda (i) impianti fotovoltaici di potenza superiore a 20 kW che beneficiano di premi fissi derivanti dal meccanismo del Conto Energia, non dipendenti  dai prezzi di mercato, (ii) impianti fotovoltaici, idroelettrici,  geotermoelettrici ed  eolici,  di  potenza  superiore  a  20  kW, non  incentivati ossia che non accedono a meccanismi  di  incentivazione.

Si prevede un meccanismo di compensazione a due vie sul prezzo dell'energia.

Il GSE calcola la differenza tra due valori a) media  dei prezzi zonali registrati dalla data  di  entrata  in  esercizio dell'impianto fino al 31.12.2020 e b) prezzo zonale orario  di  mercato.

Se la differenza tra questi due valori sia positiva, il GSE eroga il relativo importo al produttore. Se invece è negativo, il GSE conguaglia o provvede a richiedere al produttore l'importo corrispondente.

All’indomani della pubblicazione in gazzetta del Sostegni ter, gli operatori del settore impianti non incentivati hanno manifestato in relazione al provvedimento il loro disappunto.

Sebbene la finalità sia condivisibile (far fronte all’aumento dei costi energia nel tentativo di contenerlo), non si comprende, da un lato,  la ratio del “pretendere” un contributo ai soli operatori titolari di impianti da fonti rinnovabili, dall’altro, il motivo per cui viene richiesto il predetto contributo anche agli impianti non incentivati; la “punizione” assume maggior rilievo se si consideri che il soggetto punito sembrerebbe coincidere con tutti gli operatori che dovrebbero realizzare quegli obiettivi di transizione energetica previsti dal PNRR, con ogni conseguenza in tema di investimenti nel nostro Paese.

Mai come oggi, la conversione in legge del provvedimento potrebbe riservare sorprese.

 


Le riserve su maggiori oneri per aumento costi e la revisione dei prezzi: la Cassazione fa il punto.

Le riserve su maggiori oneri per aumento costi e la revisione dei prezzi: la Cassazione fa il punto.

Le riserve su maggiori oneri per aumento costi e la revisione dei prezzi: la Cassazione fa il punto.Una recente ordinanza della Cassazione offre spunti interessanti in materia di richiesta di maggiori oneri per aumento costi materiali da costruzione, revisione dei prezzi, condizione di procedibilità della risoluzione in via amministrativa e rapporto tra risoluzione del contratto per inadempimento e istituto delle riserve.

In estrema sintesi, questi i fatti che hanno condotto al pronunciamento della Suprema Corte. In un appalto avente ad oggetto il restauro di un immobile di proprietà della committenza, accadeva che l’amministrazione disponeva la sospensione dei lavori già il medesimo giorno della consegna degli stessi –in quanto non era in possesso della concessione edilizia richiesta, l’edificio da restaurare era infatti occupato da materiale da sgomberare.

I lavori seguivano un andamento anomalo – a fronte del quale l’appaltatore iscriveva riserve per un ammontare pari a 600 milioni di lire (cifra pari alla metà del valore complessivo dell’appalto), riserve su cui il direttore dei lavori rimandava ogni decisione al momento del collaudo.

All’ennesima sospensione l’appaltatore rifiutava di riprendere i lavori se la committenza non avesse proceduto alla revisione dei prezzi per le opere ancora da realizzare (ciò in ragione del mutato quadro economico, diverso rispetto a quello esistente al momento della stipula del contratto). In tale circostanza, l’amministrazione si determinava a rivedere i prezzi solo per alcune lavorazioni (dichiarando che per l’esecuzione delle lavorazioni non toccate dalla revisione predetta avrebbe provveduto con distinti contratti).

Sicché, l’esecutore ribadiva la propria intenzione di non riprendere i lavori in assenza di una complessiva revisione dei prezzi (in assenza della quale avrebbe domandato la risoluzione del contratto): in tale circostanza, l’amministrazione disponeva, con proprio ordine di servizio, che venissero ripresi i lavori.

Nonostante la situazione apparisse irrisolvibile, le parti si accordavano per una revisione di tutti i prezzi delle opere ancora da eseguire: l’appaltatore evidenziava, però, l’impossibilità di riprendere i lavori alla data stabilita dall’amministrazione – essendo necessarie una rimodulazione del cantiere e l’approvazione dell’accordo da parte del preposto ente.

Nel quadro così delineato, a fronte del rifiuto dell’impresa a riprendere i lavori, la committenza deliberava la risoluzione del contratto in danno dell’appaltatore e incamerava la relativa cauzione. Avverso tale determinazione e per ottenere le maggiori somme che riteneva gli spettassero in ragione delle riserve iscritte, l’appaltatore agiva in giudizio.

La condizione di procedibilità della risoluzione in via amministrativa.

In Cassazione, la committente ha evidenziato che la domanda avanzata dall’appaltatore (di risoluzione del contratto per inadempimento della committente e di riconoscimento delle domande di cui alle riserve) era improcedibile poiché l’impresa non aveva attivato la procedura di risoluzione amministrativa di cui all’art. 23 del R.D. 350/1895.

Il contratto di appalto di cui si discute era stato sottoscritto nel novembre 1994 e tale dato rileva ai fini della individuazione della legge applicabile.

L’art. 42 del d.P.R. 1063/1962 stabiliva che al sorgere di contestazioni tra DL e appaltatore si dovesse procedere alla risoluzione in via amministrativa e che le domande e reclami dell’impresa dovevano essere iscritti nei documenti contabili nei termini e nelle forme delle riserve.

A norma dell’art. 109, R.D. 350/1895, l'Amministrazione doveva provvedere su tali domande (riserve) contestualmente all'approvazione del collaudo, cosicché, di regola (art. 47, d.P.R. 1063/1962), solo dopo detta approvazione poteva essere proposta l'azione giudiziaria (o l'arbitrato), costituendo detta approvazione e la correlata soluzione in via amministrativa delle contestazioni insorte con l'apposizione delle riserve, una condizione di procedibilità.

In sostanza, condizioni di proponibilità dell'azione, dinanzi agli arbitri o al giudice, erano la previa risoluzione in via amministrativa delle contestazioni tra DL e appaltatore e la previa approvazione del collaudo.

Tale duplice condizione è stata però temperata dalla giurisprudenza della Suprema Corte.

Infatti la giurisprudenza di legittimità ha cercato di temperare l'urgente esigenza di pronta definizione della controversie con i tempi di attesa del collaudo, ritenendo che le deroghe al principio della necessità del preventivo collaudo, non dovessero considerarsi tassative e che la causa di temporanea improcedibilità della domanda non è operativa in presenza di qualunque fatto o circostanza che renda inutile il collaudo o, a più forte ragione, quando il collaudo non possa essere eseguito, come nell'ipotesi in cui entrambe le parti avessero manifestato la volontà di non proseguire il rapporto attraverso contrapposte domande di risoluzione per colpa dell'altra parte, incompatibile con l'esigenza del collaudo, che presuppone l'ultimazione dell'opera (Cass. 4228/1983; Cass. 4726/1995; Cass. 8532/2000) ovvero in cui la P.A. avesse manifestato una volontà di interrompere o risolvere il rapporto nell'ambito del quale le prestazioni sono state o devono essere effettuate (Cass. 659/2000).

In altri termini, se viene meno la possibilità di definire immediatamente la controversia in via amministrativa, deve essere riconosciuta la possibilità di agire in giudizio. Ciò a maggior ragione se si discuta di risoluzione contrattuale per inadempimento.

Di conseguenza la Corte ritiene questo motivo infondato.

Va naturalmente rilevato che solo nel 1995 con le modifiche apportate alla legge Merloni si è ribaltata la regola generale di rinviare al collaudo la decisione in via amministrativa sulle controversie ed è stata affermata quale condizione di procedibilità la necessità di espletare una fase amministrativa o in mancanza al decorso dei termini previsti.

Art. 32, l. 1094/1994 vigente al 6.3.1994 “Qualora insorgano controversie relative ai lavori pubblici le pari ne danno comunicazione al responsabile del procedimento che propone una   conciliazione per l'immediata soluzione della controversia medesima.  2. Qualora le parti non raggiungano un accordo entro sessanta giorni dalla comunicazione di cui al comma 1, la soluzione è attribuita al giudice competente.”

Con riguardo poi alla specifica questione della tempestiva iscrizione delle riserve e della necessità di un preventivo esperimento delle determinazioni amministrative sulle riserve la Cassazione ha da sempre ritenuto che l'onere di iscrivere tempestiva riserva nel registro di contabilità, previsto dal R.D. 25 maggio 1895, n. 350, art. 54, si riferisce in via generale ad ogni pretesa dell'appaltatore insorta nel corso dell'esecuzione dell'opera appaltata, restando escluse quelle pretese attinenti all'esistenza stessa del contratto, cosicché, ogni qualvolta si faccia questione d'invalidità del contratto o dei modi della sua estinzione, quale è appunto la risoluzione per inadempimento, la relativa domanda, arbitrale o giudiziaria, non è soggetta alla decadenza prevista per l'inosservanza dell'onere della riserva.

Nella fattispecie, la Corte d'appello aveva correttamente rilevato, ai fini della ritenuta procedibilità della domanda, che la committente aveva risolto il contratto di appalto, dovendo escludersi una volontà di prosecuzione del rapporto, e che le pretese dell'appaltatore, oggetto di riserve iscritte, esulavano dall'ambito tipico dell'art.42 del Capitolato generale (attinente alle sole contestazioni tra appaltatrice e direttore dei lavori insorte nel corso dell'esecuzione dei lavori), e potevano ben essere definite in sede giudiziale, ben prima dell'approvazione del collaudo e quindi anteriormente alla decisione in via amministrativa sulle riserve iscritte che comunque attengono a un rapporto contrattuale ancora valido e in essere.

L’eccezione di decadenza dalle riserve.

La committente aveva eccepito la decadenza per tardività delle riserve.

La Cassazione, ritenendo il motivo infondato, fa presente che la questione neppure deve porsi poiché come già detto la riserva presuppone un contratto valido ed efficace mentre nel caso di specie discutendosi di risoluzione del contratto le pretese dell’appaltatore (pure iscritte nelle riserve) non vanno valutate in relazione alla disciplina delle riserve, ma seguono i principi di cui agli artt. 1453 e 1458 c.c..

La revisione dei prezzi e la richiesta di maggiori oneri per aumento costi.

Come anticipato, l’appaltatore ha chiesto, e ottenuto, il riconoscimento di tutti i maggiori oneri sostenuti per l'aumento dei prezzi.

La committente evidenzia in Cassazione che la revisione dei prezzi è stata abrogata dalla 1. 359/1993 e dalla l. 109/1994, che il prezzo pattuito in contratto era fisso ed inderogabile e che erroneamente la revisione è stata applicata all'intero importo delle opere eseguite sino al momento dello scioglimento unilaterale del rapporto da parte dalla committente, laddove non erano soggetto ad aggiornamento o revisione dei prezzi i lavori eseguiti entro il termine di ultimazione pattuito (540 gg) e nell'anno successivo.

Ad avviso della Cassazione anche tale motivo è da rigettarsi poiché la richiesta di maggiori oneri per aumento costi è la conseguenza dei ritardi imputabili alla committente e pertanto indipendente dal meccanismo di revisione dei prezzi; in sostanza, stante l'esplicita qualificazione della domanda come risarcitoria si deve escludere che l'appaltatrice abbia agito per la revisione dei prezzi.

A questo proposito, si richiama la pronuncia della Cass. SU, n. 5951/2008 secondo cui “in materia di appalto di opere pubbliche, la revisione legale dei prezzi presuppone la mancanza di colpa da parte dell'Amministrazione, mentre se vi è colpa di quest'ultima e, quindi, risultano ad essa addebitabili fatti per effetto dei quali la ritardata esecuzione dei lavori sia venuta a coincidere con un periodo di prezzi crescenti, gli aumenti subiti dall'appaltatore per fatto della committente restano al di fuori della disciplina della revisione anzidetta e dell'applicazione dello speciale procedimento predisposto per i computi revisionali, onde l'appaltatore stesso ha diritto di venire pienamente reintegrato di tutti i maggiori oneri sopportati (e che non avrebbe sopportato mediante un'esecuzione tempestiva), qualunque possa essere stata l'entità dell'aumento, senza alcuna detrazione di alea e senza alcuna pregiudiziale circa l'entità delle ripercussioni di tali maggiori oneri sul complessivo costo dell'opera”.

(Cass. civ., Sez. I, Ord. 3.12.2021, n. 38188)


La moratoria all'installazione di nuovi impianti di energia da fonti rinnovabili: ancora sul caso della Regione Lazio.

La disciplina regionale ambientale del Lazio continua a far discutere.

In precedenza è stata esaminata, nel suo complesso, la disciplina emanata da ultimo dalla Regione Lazio per lo sviluppo di energia da fonti rinnovabili, evidenziando in particolar modo le numerose perplessità generate da una normativa sospettata di violare le rigide disposizioni costituzionali inerenti la materia del riparto di competenze fra Stato e regioni, come esposto nel testo della news consultabile a questo link.

Le perplessità appaiono ancora più evidenti ove si consideri la moratoria introdotta dalla Regione Lazio per l'installazione di nuovi impianti eolici e fotovoltaici di grandi dimensioni.

Si tratta della previsione contenuta nel corpus normativo delle "Norme in materia ambientale e di fonti rinnovabili" di cui alla L.R. 16 dicembre 2011, n. 16, art. 3.1, comma 5quater, inserito dall'articolo 75, comma 1, lettera b), numero 5), della legge regionale 11 agosto 2021, n. 14 e poi sostituito dall'articolo 6, comma 1, della legge regionale 30 dicembre 2021, n. 20.

Esaminiamo alcuni punti essenziali della disciplina vigente, nel tentativo di individuare il fondamento che ha portato il legislatore regionale ad introdurre una vera e propria limitazione allo sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili.

Il contenuto

L'art. 3,1, co. 5quater, L.R. 16/2011 e s.m.i. prevede che le autorizzazioni non ancora rilasciate alla data di entrata in vigore della disposizione (1 gennaio 2022, come disposto dall'art. 14 della Legge di stabilità regionale 2022), relative all’installazione di  impianti di produzione di energia eolica e di fotovoltaico posizionati a terra e di grandi dimensioni, sono rilasciate  condizionatamente al rispetto dei vincoli derivanti dall’individuazione delle aree e dei siti non idonei all’installazione degli impianti da fonti rinnovabili. Fino a tale individuazione da parte dei comuni interessati e, comunque, per un termine non superiore a otto mesi dalla data di entrata in vigore della legge regionale 11 agosto 2021, n. 14, sono sospese le installazioni degli impianti autorizzati.

Dalla lettura della previsione, dovuta anche ad un'esposizione poco chiara, si evince che il legislatore ha inteso introdurre una limitazione temporale (non superiore a mesi 8) al rilascio di autorizzazioni (ed installazioni) di impianti di produzione di energia eolica e fotovoltaica posizionati a terra aventi grandi dimensioni.

La disposizione, oltre a circoscrivere gli aspetti oggettivi e le caratteristiche proprie degli impianti a cui trova applicazione la normativa di dettaglio, individua un criterio localizzativo - applicativo, ovvero è riferito a quegli impianti da collocarsi "... nelle zone per le quali il relativo impatto sul sistema di paesaggio è indicato come non compatibile (NC) dalla tabella “Classificazione degli impianti di produzione di energia in relazione all’impatto sul paesaggio” delle “Linee guida per la valutazione degli interventi relativi allo sfruttamento di fonti energia rinnovabile” approvate con deliberazione del Consiglio regionale 21 aprile 2021, n. 5 “Piano Territoriale Paesistico regionale (PTPR) ...”,

Ciò che rileva è che fino all'individuazione da parte dei comuni interessati delle aree e dei siti non idonei le installazioni degli impianti autorizzati sono sospese.

In proposito, parrebbe lecito chiedersi le ragioni della distinzione operata dal legislatore nella formulazione della disposizione, laddove sembri far coincidere i casi delle autorizzazioni, con quelle delle installazioni che invece godono di autorizzazioni già rilasciate.

La ratio

L'interpretazione della norma giuridica consente validamente di individuare la volontà perseguita dal legislatore regionale: tale finalità, in un'ottica di tutela ambientale, nel caso in questione, è espressa in modo chiaro dal medesimo Ente, il quale dichiara testualmente quanto segue "... Al fine di garantire la tutela del paesaggio, mitigare il consumo del suolo agricolo e realizzare un maggior bilanciamento nella diffusione di impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili nel territorio regionale ...".

La finalità della moratoria, dunque, poggia su tre pilastri:

  • il primo, la tutela del paesaggio (sul punto, si veda quanto osservato nella precedente news consultabile a questo link);
  • il secondo, quello di mitigare il consumo del suolo agricolo, aspetto certamente non secondario atteso che il suolo agricolo riceve una tutela specifica al successivo comma della disposizione: "... Le sospensioni di cui al comma 5quater non si applicano alle autorizzazioni di impianti agrovoltaici che adottino soluzioni integrative innovative in modo da non compromettere la continuità delle attività di coltivazione agricola e pastorale ...";
  • il terzo ed ultimo il (concetto non meglio noto ed eccessivamente astratto) bilanciamento nella diffusione degli impianti nel territorio.

I dubbi interpretativi e le prospettive future

Sono numerose le critiche che, all'indomani della proposta di legge, hanno spinto diversi soggetti a tentare di instaurare un dialogo con l'Ente regionale affinché rivedesse, in un'ottica di sviluppo economico ed energetico, le restrizioni: tra tante, ad esempio, occorre citare quella dell'Associazione di categoria che raggruppa la maggior parte delle imprese elettriche italiane (a questo link è consultabile il testo integrale della lettera) che già prima dell'approvazione definitiva della legge ha avviato, senza alcun successo, un dialogo per una modifica della proposta di legge.

A ragion dell'associazione "... il provvedimento, nel caso in cui fosse effettivamente approvato, sarebbe in contrasto con gli obiettivi nazionali ed europei di sviluppo delle fonti rinnovabili e presenterebbe elementi di pregiudizio analoghi a quelli già evidenziati da numerose sentenze, tali da costituire oggetto di segnalazione dell’Associazione al Governo nazionale ...".

Certamente, la disposizione regionale potrà subire gli effetti che deriveranno dalla decisione che sarà adottata dalla Suprema Corte, investita della questione di legittimità costituzionale da parte del Governo, anche alla luce dei contenuti del Piano per la ripresa e la resilienza che, sulla tematica energetica, si sofferma significativamente, sia in termini di riforme, che di investimenti, i quali dovranno soddisfare il principio di “non arrecare danno significativo agli obiettivi ambientali” (vedasi, in particolare, la circolare del Ministero dell'economia e delle finanze del 30.12.2021 recante "Guida operativa per il rispetto del principio di non arrecare danno significativo all’ambiente (DNSH)", la quale costituisce certamente la guida per l'attuazione delle iniziative ecosostenibili alla stregua del principio del “Do No Significant Harm” (DNSH).


Collegio consultivo tecnico: pubblicate le Linee guida del MIMS

Collegio consultivo tecnico: le Linee guida del MIMS in attesa della pubblicazione in gazzetta.

Collegio consultivo tecnico: pubblicate le Linee guida del MIMSCon decreto del 17.1.2022 , il MIMS ha emanato le tanto attese Linee guida sul Collegio consultivo tecnico, “comitato” deputato alla risoluzione di controversie e dispute di ogni natura che dovessero sorgere nell’ambito dei lavori pubblici (di seguito solo CCT).

Di seguito i primi commenti in attesa della pubblicazione in gazzetta.

Le Linee guida costituiscono la risposta del Ministero alla confusione che si è originata allorquando, a seguito dell’introduzione del CCT nel 2020, sono state pubblicate le linee guida del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici (CSLP) e di ITACA con la finalità di offrire una interpretazione dell’istituto andando sinanche a colmare i vuoti normativi creati dal legislatore.

Le predette Linee guida, sia chiaro, non avevano natura vincolante ma costituivano, al pari delle Linee guida ANAC non vincolanti, un ausilio per gli operatori; tuttavia, giungendo a conclusioni in alcuni casi contrastanti, anche su questioni basilari, il legislatore del decreto Semplificazioni “bis” (PNRR) con l’art. 51, modificando la norma che ha introdotto il CCT (art. 6 d.l. 76/2020 - cd. decreto Semplificazioni), ha ritenuto opportuno (e necessario) che fosse il Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità sostenibili a fornire la disciplina di dettaglio dell’istituto.

L’art. 51 del decreto Semplificazioni “bis” (PNRR) introduce il comma 8 bis all'art. 6 del d.l. 76/2020 e recita “….con provvedimento del Ministro delle  Infrastrutture e della mobilità sostenibili, previo parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici, sono approvate apposite Linee guida volte a definire, nel rispetto di quanto stabilito dal presente articolo, i requisiti professionali e i casi di incompatibilità dei membri e del Presidente del collegio consultivo tecnico, i criteri preferenziali per la loro scelta, i parametri per la determinazione dei compensi rapportati al valore e alla complessità dell'opera, nonché all'entità e alla durata dell'impegno richiesto ed al numero e alla qualità delle determinazioni assunte, le modalità di costituzione e funzionamento del collegio e il coordinamento con gli altri istituti consultivi, deflattivi e contenziosi esistenti..” e prevede che “Con il medesimo decreto, è istituito presso il Consiglio superiore dei lavori pubblici, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, un Osservatorio permanente per assicurare il monitoraggio dell'attività dei collegi consultivi tecnici”.

Con le nuove Linee guida, con ogni evidenza dalla natura vincolante, il MIMS ha scelto di attenersi alle regole già ipotizzate dal CSLP giacché, come richiesto dalla norma, il provvedimento è adottato previo parere del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici.

Tuttavia, non mancano novità rispetto alle Linee guida sul CCT del Consiglio Superiore del dicembre 2020.

Prima di esaminarne gli aspetti più di rilievo, è necessario fare una doverosa premessa, utile a comprendere quanto enunciato da questo provvedimento in ordine ai compensi dei componenti del CCT.

La legge 29 dicembre 2021, n. 233, di conversione del d.l. 6 novembre 2021, n. 152, recante disposizioni urgenti per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e per la prevenzione delle infiltrazioni mafiose, all’art. 6-quater ha imposto delle soglie massime per i compensi dei membri del collegio, espresse in percentuali in relazione al valore dell’appalto (ne abbiamo parlato anche qui).

Nella sua precedente formulazione, infatti, l’art. 6, comma 7, del d.l. 76/2020 prevedeva che “i componenti hanno diritto a un compenso a carico delle parti e proporzionato al valore dell’opera, al numero, alla qualità e alla tempestività delle determinazioni”.

La norma risolve così le difficoltà che erano state riscontrate negli operatori nello stabilire l’onorario dei singoli componenti del CCT.

Dopo il comma 7 all’art. 6  del decreto Semplificazioni 2020, è inserito il comma 7 -bis secondo il quale “In ogni caso, i compensi dei componenti del collegio consultivo tecnico, determinati ai sensi del comma 7, non possono  complessivamente superare: a) in caso di collegio consultivo tecnico composto da tre componenti, l’importo corrispondente allo 0,5 per cento del valore dell’appalto, per gli appalti di valore non superiore a 50 milioni di euro; tale percentuale è ridotta allo 0,25 per cento per la parte eccedente i 50 milioni di euro e fino a 100 milioni di euro e allo 0,15 per cento per la parte eccedente i 100 milioni di euro; b) in caso di collegio consultivo tecnico composto da cinque  componenti, l’importo corrispondente allo 0,8 per cento del valore dell’appalto, per gli appalti di valore non superiore a 50 milioni di euro; tale percentuale è ridotta allo 0,4 per cento per la parte eccedente i 50 milioni di euro e fino a 100 milioni di euro e allo 0,25 per cento per la parte eccedente i 100 milioni di euro”.

Alcuni punti salienti delle Linee guida del MIMS

I lavori di manutenzione

Le precedenti Linee guida Itaca e CSLP erano in contrasto sull’ambito oggettivo di applicazione del CCT, vi era infatti discordanza sui lavori di manutenzione; ad avviso di ITACA non trattandosi di opere pubbliche, per essi non era da ritenersi obbligatorio il ricorso al CCT, viceversa per CSLP.

Le Linee guida del MIMS superano il contrasto e specificano al punto 1.2.1. che il ricorso al CCT riguarda esclusivamente gli affidamenti di lavori diretti alla realizzazione di opere pubbliche, ivi inclusi i lavori di manutenzione straordinaria. Sono pertanto esclusi gli affidamenti relativi a forniture e servizi e i lavori di manutenzione ordinaria.

Appalti divisi in lotti

Anche in relazione ad appalti divisi in lotti, le Linee guida del MIMS chiariscono al punto 1.2.4. che la costituzione del CCT è obbligatoria con riferimento ai soli lotti di importo pari o superiore alle soglie comunitarie, senza riguardo al valore complessivo stimato della totalità di tali lotti.

Atto aggiuntivo per lavori in corso

Sembrerebbe arrivato in ritardo il chiarimento circa le modalità di costituzione del CCT a lavori in corso di esecuzione. Le Linee guida fanno riferimento a lavori in corso di esecuzione alla data del decreto Semplificazioni del 2020, tuttavia la previsione rappresenta un suggerimento di non poco conto per regolarizzare quelle procedure avviate in violazione dell’obbligo di costituzione del CCT.

Il provvedimento prevede al punto 1.2.5. che per i lavori in corso di esecuzione alla data di entrata in vigore del d.l. n. 76/2020 di importo pari o superiore alle soglie le parti sono tenute a stipulare un apposito atto aggiuntivo nel quale procedono all’individuazione della tipologia di questioni deducibili al CCT, con gli effetti di cui all’art. 808 – ter cpc, anche già pendenti alla data di entrata in vigore del d.l. n. 76/2020, purché non già definite.

Appalti sotto soglia che per effetto di varianti raggiungono le soglie

Il punto 1.2.6. raccomanda (non impone, dunque), laddove l’importo dei lavori sotto soglia, ivi compresi quelli in corso di esecuzione alla data di entrata in vigore del d.l. n. 76/2020,  superi la soglia comunitaria a seguito di varianti o altre modifiche del contratto, la sottoscrizione dalle parti di apposito accordo, con il quale esse assumono l’impegno di costituire il CCT.

Le procedure PNRR e PNC

In relazione al CCT facoltativo ante operam (per lavori di qualsiasi importo, nella fase antecedente l’affidamento) è raccomandata la costituzione del CCT per le opere finanziate con le risorse del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) e del Piano Nazionale Complementare (PNC).

Rapporti tra CCT ante operam e in fase di esecuzione

Nel caso in cui sia stato nominato il CCT nella fase antecedente all’esecuzione (ante operam) e si proceda alla costituzione del CCT anche per la fase esecutiva, il punto 1.4.1. ritiene necessario un accordo con l’operatore aggiudicatario, che dovrà comunicare se intende sostituire o confermare, in tutto o in parte, i nominativi dei componenti prescelti dalla stazione appaltante nella fase antecedente all’esecuzione delle opere entro il termine di 10 giorni dall’avvio dell’esecuzione.

Questa previsione è di non poco conto e gli operatori dovranno porvi attenzione per far si che il CCT sia costituito con il componente di elezione dell’operatore.

Scelta dei componenti e del presidente

Viene ribadito anche nelle Linee guida del MIMS al punto 2.2.1. che i componenti del CCT sono nominati da ciascuna delle parti, anche di comune accordo, e sono individuati dalle stesse, anche tra il proprio personale dipendente, ovvero tra persone ad esse legate da rapporti di lavoro autonomo o di collaborazione anche continuativa, in possesso dei requisiti previsti dall’art. 6, comma 2, primo periodo, del d.l. n. 76/2020 e dalle Linee Guida.

Il punto successivo chiarisce per la prima volta che in caso di mancato accordo delle parti sulla nomina del presidente, e previa formalizzazione mediante apposito verbale del mancato accordo, la designazione è effettuata dal MIMS per le opere di interesse nazionale, dalle regioni, dalle province autonome di Trento e Bolzano o dalle città metropolitane per le opere di rispettivo interesse, preferibilmente indicando, in ordine di preferenza, anche più di un nominativo al fine di assicurare la tempestiva disponibilità di un presidente nei casi di incompatibilità.

Inottemperanza e inosservanza dei termini di costituzione; il potere sostitutivo.

Interessante è poi il punto 2.3.1. secondo cui l’inottemperanza dell’obbligo di costituzione del CCT, ovvero il ritardo nella costituzione dello stesso, comporta la violazione dell’obbligo di cui all’art. 6, comma 1, del d.l. n. 76/2020 ed è valutabile sia ai fini della responsabilità dirigenziale ed erariale, sia, nei rapporti tra la stazione appaltante e l’operatore economico, sotto il profilo della c.d. buona fede contrattuale.

Ove la costituzione del CCT non sia intervenuta nei termini di legge (prima dell’avvio dell’esecuzione dei lavori o comunque non oltre 10 giorni da tale data) il responsabile dell’unità organizzativa di cui all’art. 2, comma 9-bis, della legge 241/1990 esercita il potere sostitutivo ad esso conferito dalla legge e dai regolamenti dell’organo di governo della stazione appaltante, nei termini ridotti di cui all’art. 2, comma 9-ter, della legge 241/1990.

Altro momento in cui rileva il potere sostitutivo è dato dal punto 3.3.5. in caso la documentazione inerente al contratto, incluse le eventuali modifiche e varianti intervenute durante il periodo di efficacia del contratto stesso, non sia stata messa a disposizione del CCT.

Requisiti professionali del presidente e dei componenti

Il paragrafo 2.4 contiene novità di rilievo sui requisiti dei componenti, vengono infatti specificati i requisiti che consentono di essere nominati componenti e Presidente del CCT.

Lo strano caso del CTU

Anche a seguito di Delibera ANAC 206/2021 su quesiti posti dall’Ordine degli Ingegneri di Bologna, il MIMS ha ritenuto di prendere posizione con chiarezza sulla incompatibilità del CTU.

Il punto 2.5.4. ritiene incompatibile con la nomina a componente o presidente del CCT, colui che abbia svolto ovvero svolga l’incarico di consulente tecnico d’ufficio in giudizi relativi alla esecuzione dei lavori oggetto della procedura nell’ambito della quale si proceda alla costituzione del CCT.

Al punto 2.6.2., dando per assodato il divieto di disporre CTU in seno al CCT, si specifica che almeno uno dei membri nominati da ciascuna parte deve essere un ingegnere o un architetto competente nella materia specifica oggetto del contratto di appalto. Se nessuna delle parti ha nominato come membro un giurista, il presidente del Collegio deve essere necessariamente scelto tra i giuristi.

Il CCT a 5 componenti

Al 2.6.2. si prevede che la costituzione del CCT con cinque componenti è necessaria se le parti attribuiscono alle decisioni del CCT natura di lodo arbitrale ai sensi dell’art. 808 ter c.p.c., salvo che le stesse parti ritengano che non ricorrano i presupposti della complessità dell’opera e della eterogeneità delle competenze.

Suggerimenti sul verbale di insediamento

Il punto 3.1. prevede che il CCT si intende istituito al momento dell’accettazione dell’incarico da parte del presidente e che entro i successivi 15 giorni dalla accettazione, i componenti il CCT sottoscrivono un verbale attestante l’avvenuta costituzione del Collegio alla presenza del responsabile del procedimento e del rappresentante dell’operatore economico affidatario.

Nel verbale:

a) sia il presidente, sia i componenti del CCT dichiarano, ai sensi dell’articolo 47 del d.P.R. n. 445/2000, di non ricadere in nessuna delle cause di incompatibilità di cui al precedente punto 2.5, ove non attestata secondo la medesima modalità al momento dell’accettazione dell’incarico;

b) le parti dichiarano, qualora non lo abbiano fatto in precedenza, di avvalersi della facoltà di escludere che le decisioni del CCT abbiano natura di lodo contrattuale ai sensi dell’art. 6, comma 3, quarto periodo, del d.l. n. 76/2020;

c) si procede alla determinazione, secondo i parametri e le modalità di cui al paragrafo 7, degli oneri di funzionamento del CCT, nonché a stabilire i tempi e le modalità con cui sarà liquidata la parte fissa di cui al punto 7.2.1, lettera a), al verificarsi delle condizioni ivi indicate.

La natura di lodo contrattuale delle decisioni del CCT

Con una previsione non del tutto lineare, il punto 3.2.2. prevede che, ferma l’obbligatorietà della costituzione del CCT a fini consultivi anche ai sensi e per gli effetti di quanto disposto dall’art. 6, comma 3, terzo periodo, del d.l. n. 76/2020, il Collegio può operare come collegio arbitrale ai sensi e per gli effetti dell’art. 808 ter c.p.c. solo se il consenso in tal senso sia stato ritualmente prestato dalle parti ai sensi dell’art. 6, comma 3, quarto periodo.

È una previsione che sembra operare in contrasto con l’art. 6, comma 3, del decreto Semplificazioni secondo il quale la natura di lodo contrattuale delle determinazioni del CCT opera di default salvo le parti manifestino motivato dissenso per iscritto (“Le determinazioni del collegio consultivo tecnico  hanno  la natura del  lodo  contrattuale  previsto  dall'articolo  808-ter  del codice  di  procedura  civile,  salva  diversa  e  motivata  volontà espressamente manifestata in forma scritta dalle parti stesse”).

Altra novità è data al punto 3.2.3 ove si afferma che in ogni caso il CCT non può esprimersi con efficacia di lodo irrituale sulle questioni oggetto di parere obbligatorio di cui alle lett. a), b) e d) del comma 1 dell’art. 5 del d.l. 76/2020 ( si tratta delle sospensioni disposte per cause previste da disposizioni di legge penale etc. - lett. a - gravi ragioni di ordine pubblico – lett. b. - gravi ragioni di pubblico interesse - lett. c.).

Il CCT può pronunciarsi invece con l’efficacia di lodo arbitrale sulle questioni che possono essere oggetto di solo parere facoltativo ai sensi dell’art. 6 del d.l. 76/2020 o di quelle che sono oggetto di parere obbligatorio di cui alla lett. c) del comma 1 dell’art. 5 del d.l. 76/2020 (sospensioni per gravi ragioni di ordine tecnico).

In ogni caso il CCT, sia che si esprima con parere o con determinazione avente efficacia di lodo irrituale, in caso di sospensione dei lavori è tenuto a indicare le modalità attraverso cui i lavori possono eventualmente proseguire anche con specifico riferimento alle aree del cantiere non direttamente interessate dalla sospensione.

Natura delle decisioni del CCT

Le nuove Linee guida, a differenza delle precedenti, operano una distinzione sulla natura dei provvedimenti che il CCT rende in relazione a ciascuna ipotesi di sospensione dei lavori.

Il punto 5.1.1. prevede che nelle ipotesi di sospensione dei lavori per le ragioni cui alle lett. a), b) e d) del comma 1 e del comma 4 dell’art. 5 del d.l. n. 76/2020, il CCT rende pareri obbligatori ma non vincolanti ferma restando la competenza decisionale del responsabile del procedimento e dalla stazione appaltante in materia di sospensioni e risoluzione del contratto.

Nelle sole ipotesi di sospensioni disposte per gravi ragioni di ordine tecnico (lett. c) dell’art. 5, comma 1, d.l. n. 76/2020) le decisioni hanno natura di determinazione con le conseguenze di cui al comma 3 dell’art. 6 del d.l. n. 76/2020 in caso di inosservanza, se le parti hanno escluso l’attribuzione del valore di lodo arbitrale alle decisioni del CCT.

Nelle ipotesi diverse da quelle previste dall’art. 5 comma 1 del d.l. n. 76/2020 il CCT rende pareri facoltativi.

Al punto 5.1.2. si chiarisce che se le parti non hanno escluso l’attribuzione del valore di lodo arbitrale alle decisioni del CCT, le decisioni adottate dallo stesso (ai sensi dell’art. 6 del d.l. n. 76/2020) al fine di risolvere le controversie o dispute tecniche, di qualsiasi natura, suscettibili d’insorgere o insorte nel corso dell’esecuzione del contratto, ivi comprese quelle relative alle cause di sospensione di cui alla lett. c) del comma 1 dell’art. 5 del d.l. n. 76/2020, sono “determinazioni” a carattere dispositivo, direttamente attributive di diritti o costitutive di obblighi in capo alle parti, attesa l’efficacia tipica del lodo contrattuale irrituale.

Il punto 5.1.4. inoltre precisa che la volontà manifestata anche da una soltanto delle parti è sufficiente ad escludere la natura di lodo contrattuale delle determinazioni del CCT e va indicata al più tardi nel verbale di insediamento; le parti precisando che non intendono riconoscere alle determinazioni del CCT la natura di lodo contrattuale ai sensi dell’art. 808 ter c.p.c. aggiungono che non intendono rinunciare a far valere le riserve a mezzo di accordo bonario o altro rimedio.

In tale ultimo caso restano, comunque, fermi gli effetti delle decisioni del CCT, previsti dall’art. 5 e dall’art. 6, comma 3, relativi alle conseguenze dell’osservanza o dell’inosservanza delle determinazioni del CCT in ordine alla responsabilità delle parti.

Rapporti tra il CCT e gli altri rimedi per la risoluzione delle controversie

Le nuove Linee guida chiariscono che, in caso di attribuzione della natura di lodo contrattuale, ex art. 808 ter c.p.c., la decisione del CCT è da ritenersi alternativa all’accordo bonario.

Il punto 6.1.6. precisa che il RUP, con riferimento a questioni insorte durante lo svolgimento delle procedure di gara, può decidere di acquisire il parere del CCT che sia stato costituito facoltativamente ante operam. L’acquisizione del suddetto parere non pregiudica il ricorso della stazione appaltante o delle altre parti al parere di precontenzioso ANAC ai sensi dell’art. 211 del Codice.

Compensi del Collegio e conseguenze del mancato pagamento dell’operatore economico

Il paragrafo 7 è dedicato agli onorari e compensi dei componenti del CCT.

Anzitutto viene precisato che i compensi di tutti i membri del Collegio sono dovuti senza vincolo di solidarietà e, non possono complessivamente superare gli importi fissati dall’art. 6-quater del d.l.  152/2021, convertito in l. n. 233/2021 (norma che ha introdotto dopo il comma 7 all’art. 6  del decreto Semplificazioni 2020 il comma 7 –bis come di seguito).

Art. 6, comma 7-bis, d.l. 76/2020. In ogni caso, i compensi dei componenti del CCT, determinati ai sensi del comma 7, non possono complessivamente superare:

  1. in caso di CCT composto da tre componenti, l’importo corrispondente allo 0,5% del valore dell’appalto, per gli appalti di valore non superiore a 50 milioni di euro; tale percentuale è ridotta allo 0,25% per la parte eccedente i 50 milioni di euro e fino a 100 milioni di euro e allo 0,15% per la parte eccedente i 100 milioni di euro;
  2. in caso di CCT composto da cinque componenti, l’importo corrispondente allo 0,8% del valore dell’appalto, per gli appalti di valore non superiore a 50 milioni di euro; tale percentuale è ridotta allo 0,4% per la parte eccedente i 50 milioni di euro e fino a 100 milioni di euro e allo 0,25% per la parte eccedente i 100 milioni di euro.

Rinviandosi al testo del provvedimento per ciò che riguarda le previsioni specifiche sui compensi, si evidenzia che al punto 7.7.6. viene chiarito che, in caso di mancato o ritardato pagamento da parte dell’operatore economico, la stazione appaltante trattiene la quota a carico dell’operatore economico stesso, provvedendo direttamente alla relativa corresponsione.

(Linee guida CCT 17.1.2022)


Appalti pubblici: le novità del 2022.

Appalti pubblici: le novità del 2022.

Appalti pubblici: le novità del 2022. L’anno appena trascorso si è concluso con l’introduzione di alcune importanti novità del settore degli appalti pubblici.

1. Compensi dei componenti del Collegio Consultivo Tecnico

Iniziamo dalla legge 29 dicembre 2021, n. 233, di conversione del d.l. 6 novembre 2021, n. 152, recante disposizioni urgenti per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e per la prevenzione delle infiltrazioni mafiose.

In particolare, l’art. 6-quater apporta delle modifiche all’art. 6, comma 7 del d.l. 76/2020 che disciplina il Collegio Consultivo Tecnico, imponendo delle soglie massime per i compensi dei membri del collegio, espresse in percentuali in relazione al valore dell’appalto. Nella sua precedente formulazione, infatti, l’art. 6, comma 7 prevedeva che “i componenti hanno diritto a un compenso a carico delle parti e proporzionato al valore dell’opera, al numero, alla qualità e alla tempestività delle determinazioni”. La norma risolve così le difficoltà che erano state riscontrate negli operatori nello stabilire l’onorario dei singoli componenti del CCT.

Dopo il comma 7 è inserito il comma 7 -bis secondo il quale "In ogni caso, i compensi dei componenti del collegio consultivo tecnico, determinati ai sensi del comma 7, non possono  complessivamente superare: a) in caso di collegio consultivo tecnico composto da tre componenti, l’importo corrispondente allo 0,5 per cento del valore dell’appalto, per gli appalti di valore non superiore a 50 milioni di euro; tale percentuale è ridotta allo 0,25 per cento per la parte eccedente i 50 milioni di euro e fino a 100 milioni di euro e allo 0,15 per cento per la parte eccedente i 100 milioni di euro; b) in caso di collegio consultivo tecnico composto da cinque  componenti, l’importo corrispondente allo 0,8 per cento del valore dell’appalto, per gli appalti di valore non superiore a 50 milioni di euro; tale percentuale è ridotta allo 0,4 per cento per la parte eccedente i 50 milioni di euro e fino a 100 milioni di euro e allo 0,25 per cento per la parte eccedente i 100 milioni di euro”.

2. Linee guida art. 47 decreto Semplificazioni bis

Con il decreto 7 dicembre 2021, pubblicato in G.U. il 30 dicembre 2021 sono state invece adottate le note Linee guida di attuazione dell’art.  47 del d.l. 77/2021, che ha introdotto una serie di disposizioni volte a favorire le pari opportunità di genere e generazionali, nonché' l'inclusione lavorativa delle persone con disabilità nelle procedure ad evidenza pubblica finanziate, in tutto o in parte, con le risorse del PNRR.

Con l’introduzione dell’art. 47, infatti, il legislatore ha incluso il tema della parità di genere e generazionale non solo nell’ambito delle politiche sociali, ma lo ha reso funzionale all’ottenimento delle risorse economiche previste dal PNRR e dal PNC.

A tal fine, il comma 8 dell’art. 47 aveva affidato a specifiche linee guida (da adottarsi entro 60 giorni dall'entrata in vigore del decreto) la definizione delle modalità e dei criteri applicativi delle disposizioni di cui allo stesso articolo, con l'indicazione di misure premiali e modelli di clausole da inserire nei bandi di gara differenziati per settore, tipologia e natura del contratto o del progetto.

Sebbene giunte in ritardo, le Linee guida appena pubblicate costituiscono un importante tassello per la redazione dei futuri bandi di gara, nonché per gli aspetti premiali che gli operatori economici potranno conseguire.

3. Compensazione prezzi aumento costi materiali da costruzione: entro il 31 marzo altro decreto.

La legge di bilancio 2022 interviene invece sul noto tema delle compensazioni per aumento prezzi. Più precisamente, i commi 398 e 399 dell’art. 1 prevedono che la compensazione prevista all'art. 1-septies del d.l. 73/2021 non sia più riferita al primo semestre del 2021, ma a tutto l’anno 2021.

Per far fronte alla suddetta estensione, il Fondo compensazioni è stato ampliato per ulteriori 100 milioni di euro per il 2022.

Le rilevazioni dei prezzi per tutto l’anno saranno rilevate dal MIMS entro il 31 marzo 2022 che, con proprio decreto, indicherà le variazioni percentuali, in aumento o in diminuzione, superiori all'8%, verificatesi dell'anno 2021.

Di conseguenza, cambia anche il periodo entro il quale le lavorazioni per cui si richiede la compensazione devono essere state contabilizzate o allibrate, che diviene così dal 1° gennaio 2021 al 31 dicembre 2021.

Non risultano cambiate, invece, le regole procedimentali per accedere alla compensazione, sicché resta ferma la possibilità di presentare istanza di compensazione alle stazioni appaltanti entro 15 giorni dalla pubblicazione del nuovo decreto variazioni.

4. Il subappalto.

Con atto di indirizzo del 4 gennaio 2022, il MIMS ha precisato alcune delle disposizioni riferite al subappalto, modificate con il recente decreto Semplificazioni bis (d.l. 77/2021).

In estrema sintesi, il MIMS impone alle proprie stazioni appaltanti di vigilare sull’applicazione del comma 16 dell’art. 105 del Codice dei contratti pubblici in materia di “Durc di Congruità” (e relativo decreto MLPS n. 143/2021) e del comma 14 dell’art. 105 in relazione alla parità di trattamento economico e normativo, nonché all’applicazione dei medesimi CCNL sia per l’appaltatore che per il subappaltatore.

Il rispetto delle disposizioni citate permea non solo la fase dell’esecuzione, ma diviene parte integrante anche della determina a contrarre e dei documenti di gara, per cui il rispetto della stessa diviene “condizione essenziale per l’esecuzione del contratto”.

5. Appalto sul preliminare.

Il MIMS è poi intervenuto con il parere n. 1058/2021 fornendo dei chiarimenti sulle Linee guida del PFTE, ossia sull’applicazione delle Linee guida per la redazione del progetto di fattibilità tecnica ed economica da porre a base dell’affidamento di contratti pubblici di lavori del PNRR e del PNC, adottate come previsto dall’art. 48, comma 7 del d.l. 77/2021.

Più precisamente, il MIMS ha specificato che l’organo consultivo a cui le stesse Linee guida demandano il compimento della verifica preventiva di primo livello è lo stesso CSLP e che la verifica preventiva di primo livello di cui si parla nelle Linee guida rappresenta un meccanismo per facilitare l’esame dei membri esperti del CSLP ed è finalizzata a verificare “preventivamente”, quindi prima dell’esame di merito, quanto indicato nei sette punti elencati nella Linea guida. La predetta verifica non deve tuttavia essere confusa con la verifica eseguita ai sensi dell’art. 26 del d.lgs. 50/2016, ossia la verifica preventiva della progettazione, che deve comunque essere svolta in una fase successiva.

Il settore degli appalti sembra tuttavia destinato ad essere toccato da altre importanti riforme.

All’orizzonte, infatti, si intravede l’imminente pubblicazione della Legge Europea 2019-2020, che tenta di risolvere la nota Procedura di infrazione aperta dalla Commissione europea nel 2018 sul tema del subappalto, e non solo.

L’attesa è anche per il c.d. d.d.l. Concorrenza, che dovrebbe implementare nel nostro ordinamento le politiche europee in materia di concorrenza e apertura del mercato, toccando, sebbene in via parziale, anche il settore degli appalti.

Da ultimo, ma evidentemente non per importanza, il nuovo Codice dei contratti pubblici. Nell’estate del 2021, infatti, in attuazione del PNRR, il Parlamento ha conferito al Governo una delega per il riordino della materia degli appalti mediante la predisposizione di un nuovo codice. Che il 2022 passi alla storia per aver dato alla luce il terzo codice degli appalti? Non ci resta che aspettare.

 


Concessioni demaniali: la Plenaria mette fine alle proroghe?”

Concessioni demaniali: la Plenaria mette fine alle proroghe?”

Concessioni demaniali: la Plenaria mette fine alle proroghe?”Si è discusso molto, nell’ultimo periodo, di concessioni demaniali e proroghe: il dibattito, in particolare, si è concentrato sulla decisione del legislatore di prorogare più volte la scadenza delle concessioni originariamente rilasciate – ultima, quella al 2033 (disposta con art. 1, commi 682 e 683, legge 30.12.2018 n. 145). La ricordata decisione è, peraltro, stata oggetto di un vivace dibattito in giurisprudenza: i TAR, infatti, si sono divisi tra chi riteneva corretta la decisione del legislatore (ritenendo prevalente la norma interna rispetto a quanto previsto dalla c.d. direttiva Bolkestein, 2006/123/CE) e chi, ritenendo illegittima la indiscriminata proroga posta in essere dal legislatore interno (mostrando, cioè, di favorire la disposizione comunitaria), annullava i provvedimenti di proroga emessi dalle amministrazioni locali.

Nell’indifferenza del legislatore, il quale non dava seguito alle ripetute sollecitazioni degli organismi comunitari (che richiedevano una riforma organica del settore delle concessioni demaniali, rispettosa dei principi contenuti nella citata direttiva Bolkestein), la Commissione UE istruiva, nel dicembre 2020, una procedura di infrazione nei confronti dello Stato italiano per violazione della predetta direttiva.

Con tale procedura – promossa con lettera di messa in mora del 3.12.2020 – la Commissione riteneva che la legislazione italiana in tema di proroga delle concessioni demaniali fosse in contrasto sia con l’art. 49 TFUE (disciplinante la libertà di stabilimento all’interno dell’Unione) sia con l’art. 12 direttiva Bolkestein.

Le difformi posizioni createsi intorno alla correttezza della scelta del legislatore italiano di prorogare sino al 2033 le concessioni esistenti hanno indotto il Presidente del Consiglio di Stato a investire della questione l’Adunanza Plenaria: questi, con proprio decreto (n. 160 del 24.5.2021), ha, infatti, ritenuto necessario un pronunciamento della Plenaria, in primo luogo, sulla doverosità o meno della disapplicazione di quelle previsioni contenenti la proroga automatica delle concessioni demaniali (ritenute in contrasto con l’art. 12 direttiva 2006/123/CE).

In secondo luogo, e in caso di risposta affermativa al quesito appena sopra formulato (ossia nel caso in cui fosse doverosa la disapplicazione delle norme interne confliggenti con l’art. 12 della citata direttiva), era necessario determinare se l’amministrazione potesse annullare ex officio i provvedimenti in contrasto con la direttiva Bolkestein ovvero se si dovesse procedere ad un riesame del provvedimento concessorio (in ossequio a quanto previsto dall’art. 21 octies L. 241/1990).

Il Consiglio di Stato – ricordato che la direttiva Bolkestein ha natura self executing (circostanza, questa, espressamente affermata dalla sentenza Promoimpresa della CGUE) – chiarisce che l’art. 12 della predetta direttiva si applica anche alle concessioni demaniali (in quanto “il provvedimento che riserva in via esclusiva un’area demaniale (marittima, lacustre o fluviale) ad un operatore economico consentendo a quest’ultimo di utilizzarlo come asset aziendale e di svolgere, grazie ad esso, un’attività d’impresa erogando servizi turistico-ricreativi va considerata, nell’ottica della direttiva 2006/123, un’autorizzazione a servizi contingentata e, come tale, da sottoporre a procedura di gara”).

Dovendosi, quindi, disapplicare la norma interna – contrastante con la disposizione comunitaria (art. 12 direttiva Bolkestein) – la Plenaria, con le sentenze gemelle n. 17 e 18 del 9.11.2021, asserisce che la norma confliggente – ossia l’art. 1, commi 682 e 683 – non può formare oggetto di valutazioni discrezionali da parte della P.A. né essere oggetto di pronunce giurisdizionali (la norma andrebbe, infatti, ritenuta tamquam non esset)

Fermi, in conclusione, gli arresti cui è pervenuta l’Adunanza Plenaria (indipendentemente, cioè, dal fatto che si possa essere in accordo o meno con quanto sostenuto dal Supremo Consesso Amministrativo), ad aver rilievo, in questa sede, è la circostanza secondo cui la proroga sino al 2033 delle concessioni demaniali (disposta con il sopra richiamato art. 1, commi 682 e 683, Legge 30.12.2018 n. 145) non è da ritenersi legittima. In particolare, la Plenaria, sostituendosi ad un legislatore inerte, ha dichiarato che “Al fine di evitare il significativo impatto socio-economico che deriverebbe da una decadenza immediata e generalizzata di tutte le concessioni in essere (…) nell’auspicio che il legislatore intervenga a riordinare la materia (…) le concessioni demaniali per finalità turistico-ricreative già in essere continuano ad essere efficaci sino al 31 dicembre 2023”.

Con la precisazione che, in assenza di un apposito intervento legislativo di riordino della materia, a far data dal 1° gennaio 2024 le concessioni si intenderanno come scadute e che un eventuale nuovo provvedimento di proroga dovrà intendersi come privo di effetto, in quanto contrastante con le norme comunitarie in materia.

In altri termini, tali conclusioni – lungi da voler essere punitive nei confronti dei gestori degli stabilimenti – intendono censurare l’operato del legislatore nazionale, come detto colpevolmente inerte di fronte alle contestazioni provenienti dalle istituzioni UE e sordo al dibattito giurisprudenziale venutosi a creare a fronte della volontà dei gestori degli stabilimenti balneari di avere una risposta chiara alle loro legittime aspettative.

Cons. St., A.P., 9.11.2021 n. 17 e Cons. St., A.P., 9.11.2021 n. 18


ricalcolo pensioni polizia di stato penitenziaria

Polizia di Stato e Penitenziaria. Ricalcolo pensioni. L’art. 54 è legge per tutte le forze di polizia.

La notizia circolava da tempo nei corridoi della politica. L’enorme mole di cause avviate dal personale delle forze di polizia, militari e non, alla fine ha prodotto i suoi frutti. Con la legge 30 dicembre 2021, n. 234 (c.d. legge di bilancio) è stata infatti riconosciuta l’applicazione dell’art. 54 d.P.R. 1091/1973 a tutto il personale delle forze di polizia anche ad ordinamento civile rientrante nel sistema c.d. misto.

Come noto, infatti, da molti anni il personale delle forze di polizia ha avviato una battaglia per conseguire il ricalcolo dei trattamenti di quiescenza in applicazione dell’art. 54 d.P.R. 1092/1973 in luogo della errata aliquota applicata dall’INPS di cui all’art. 44 del medesimo decreto.

Se in una prima fase della campagna molte sezioni regionali della Corte dei Conti hanno riconosciuto il diritto alla rideterminazione della pensione in applicazione della aliquota più favorevole ex art. 54 ai soli militari, per il personale delle forze di polizia ad ordinamento civile la giurisprudenza si è mostrata prima ondivaga e poi nettamente contraria. Ciò sulla base del presupposto che l’art. 54 in commento è disposto nel capo del d.P.R. dedicato al personale militare, così ritenendosi che il personale ad ordinamento civile dovesse essere destinatario del medesimo trattamento di tutti gli altri dipendenti civili dello Stato.

Ciononostante la nostra posizione è sempre stata contraria alla impostazione fornita dalla giurisprudenza maggioritaria relativa al personale delle forze di polizia ad ordinamento civile. Abbiamo infatti più volte osservato, anche sollevando una questione incidentale di legittimità costituzionale, che anche per i trattamenti di quiescenza deve valere il principio della equità di trattamento economico a parità di funzioni. Sicché tutte le forze di polizia rientranti nel c.d. comparto sicurezza devono essere destinatarie della medesima disciplina pensionistica.

Tale principio, è stato fatto proprio dalla legge 30 dicembre 2021, n. 234 (c.d. legge di bilancio). L’art. 1 comma 101 prevede infatti che: “al personale delle Forze di polizia ad ordinamento civile,  in possesso,  alla  data  del  31  dicembre   1995,   di   una anzianità contributiva inferiore a diciotto anni, effettivamente  maturati,  si applica,  in  relazione  alla  specificità  riconosciuta  ai   sensi dell'articolo 19 della legge 4 novembre 2010, n. 183,  l'articolo  54 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica  29 dicembre 1973, n. 1092, ai fini del calcolo della  quota  retributiva della pensione da liquidare con il sistema  misto,  con  applicazione dell'aliquota del 2,44 per cento per ogni anno utile”.

Alla luce della nuova disposizione normativa, pertanto, dovrà essere rideterminata ai sensi dell’art. 54 d.P.R. 1092/1973 secondo la aliquota annuale del 2,44% la quota retributiva del trattamento pensionistico di tipo misto del personale delle forze di polizia rientranti nella specificità riconosciuta dall’art. 18 della legge 4 novembre 2010, ossia: delle forze armate, delle Forze di polizia e del  Corpo nazionale dei vigili del fuoco.

In conclusione anche in ragione delle indicazioni fornite dall’INPS del 14.7.2021, tutti coloro che hanno maturato al 31.12.1995 meno di 18 anni di contributi e che sono stati arruolati e/o impiegati in uno dei corpi appartenenti alle forze di polizia hanno la possibilità di richiedere la rideterminazione della propria pensione con pagamento degli arretrati sui ratei pensionistici degli ultimi cinque anni.

A questo punto, i ritardi dell’INPS non sono più in alcun modo scusabili. Dopo oltre un anno dalla pubblicazione della storica sentenza delle Sezioni Riunite 4 gennaio 2021, n. 1, che per la prima volta aveva individuato l’aliquota del 2,44% annuo da applicare per il ricalcolo delle pensioni delle forze di polizia, e nonostante le molteplici circolari con le quali l’Istituto ha manifestato l’intenzione di adeguarsi a tale orientamento, moltissime pensioni non sono ancora state rideterminate, con il rischio di maturazione della prescrizione sui ratei oltre i cinque anni.

Per tale ragione è fondamentale interrompere la decorrenza della prescrizione avviando il procedimento di ricalcolo della pensione e, in caso di ulteriore inerzia dell’Istituto, adire la Corte dei Conti per la tutela dei diritti riconosciuti dalla legge.


Tutela paesaggistica ed energie rinnovabili. La caratterizzazione agricola e l'incidenza dei progetti di energie rinnovabili.

Torniamo sul tema della tutela paesaggistica ed energie rinnovabili.

La disciplina relativa alle fonti di energie rinnovabili, così come introdotta nel 2003, ha subìto negli anni una lenta ma progressiva evoluzione interpretativa e giurisprudenziale che ha visto prima riconoscere i benefici economici ed ambientali di queste nuove fonti di produzione alternativa, e poi estendere una forma di tutela privilegiata all'impatto ambientale genericamente inteso, agli aspetti culturali e paesaggistici del territorio in particolare.

In precedenza, a questo link, abbiamo affrontato il tema della tutela dei beni paesaggistici rispetto a quei progetti aventi dimensioni considerevoli e l'apparente contrasto con le forme di tutela previste dall'ordinamento giuridico.

Il caso che qui si affronta grazie ad una recente pronuncia resa dal Giudice amministrativo pugliese, consente di esaminare l'incidenza in termini di impatto ambientale che genera la realizzazione di un impianto in un territorio a forte vocazione agricola.

Si tratta di una controversia alquanto particolare, in quanto si conclude favorevolmente per la Pubblica amministrazione provinciale resistente, quale ente preposto al rilascio del titolo abilitativo.

La vicenda trae origine dall'impugnativa proposta da una società avverso la determina conclusiva di diniego del procedimento di valutazione di impatto ambientale per un presunto vizio di motivazione e procedimentale rispetto all'iter autorizzativo.

La società ricorrente, in particolare, lamentava la sussistenza di una serie di vizi contenuti nei pareri espressi dagli enti coinvolti nell'iter autorizzativo, alcuni dei quali riferiti espressamente alle caratteristiche proprie del territorio interessato alla realizzazione del progetto quali, a titolo esemplificativo, l'impatto visivo, le interferenze storico-archeologiche, la qualità paesaggistica propria dell'area e, da ultimo, la caratterizzazione agricola.

Avverso le criticità evidenziate dalla ricorrente, il TAR pugliese, preliminarmente, ha rigettato le dedotte motivazioni circa la sussistenza di presunti margini di illogicità sull’operato dell'Ente provinciale, "il cui diniego va riguardato non già attraverso una “caccia all’errore” nello scrutinio reso sui vari aspetti del progetto ... ma con riferimento all’esame che ... ha condotto sul progetto considerato nella sua interezza, per l’incidenza che esso genera sul territorio".

Si potrebbe asserire, dunque, che l'illegittimità dell'iter istruttorio idonea e sufficiente a consentire un vaglio critico da parte dell'Autorità giudiziaria non può essere riferita ad un singolo elemento, bensì alla valutazione complessiva del progetto.

Secondariamente, il Giudice amministrativo si sofferma sugli aspetti sostanziali della vicenda, valutando le modalità e gli effetti  che il progetto, qualora fosse realizzato, determinerebbe nella zona d'interesse: "... la Provincia ha ragionevolmente ritenuto che il progetto incide significativamente sulla caratterizzazione agricola della zona ... senza che risultino, come invece previsto dall’articolo 12, comma 7, secondo periodo, D. Lgs, n. 387/2003, misure volte alla tutela del patrimonio culturale, del paesaggio rurale e delle tradizioni agroalimentari locali ivi specificamente identificate e individuate anche nel loro rapporto di forte concentrazione in prossimità del sito di intervento per la realizzazione del Parco in questione. Trattasi di carenza senz’altro rilevante, considerato che, per ormai pacifiche acquisizioni, il favor legislativo per le fonti rinnovabili di energia non è senza limiti, essendo anzi controbilanciato dall’onere per i proponenti di prevedere forme di contemperamento, tutela o riparazione tendenti a favorire il sostegno nel settore agricolo (…), tanto più a fronte dell’assenza ... di misure specifiche a sostegno del settore agricolo con i relativi valori normativamente individuati, ivi compresa la tutela del paesaggio rurale nelle sue plurime componenti ed estrinsecazioni".

Si tratta, come è agevole rilevare, di una pronuncia significativa in quanto pone l'attenzione sulla tutela del paesaggio e del patrimonio culturale, dell'ambiente nella sua complessità, individuando quella che è una vera e propria limitazione di tali tipologie di progetti ovvero il patrimonio paesaggistico e storico - culturale del territorio, stabilendo espressamente che tali iniziative necessitano di misure compensative tese a migliorare e salvaguardare l'eco sistema.

E' lo stesso Giudice amministrativo ad affermare infatti che una torre eolica di 117 metri "... per 20 anni condizionerà proprio l’aspetto della qualità visiva dei luoghi ...".

(TAR Puglia Lecce, Sez. II, 9.12.2021, n. 1799)