Decreto Semplificazioni ed esclusione automatica delle offerte anomale: si applica a prescindere da clausola in lex specialis.

Decreto Semplificazioni ed esclusione automatica delle offerte anomale: si applica a prescindere da clausola in lex specialis.

Decreto Semplificazioni ed esclusione automatica delle offerte anomale: si applica a prescindere da clausola in lex specialis.Esclusione automatica delle offerte anomale come prevista dal decreto Semplificazioni, clausola ad hoc in lex specialis si o no? Continua il giro d’Italia sull’altalena dell’applicazione dell’art. 1, comma 3, del decreto Semplificazioni. Ora è la volta del TAR Calabria.

Facciamo un breve riepilogo.

Secondo il TAR Piemonte, sentenza del 17.11.2020, n. 736, l’esclusione automatica delle offerte anomale nelle gare sotto soglia da aggiudicarsi al prezzo più basso di cui al Decreto Semplificazioni prescinde dall’indicazione in lex specialis di una clausola ad hoc (a differenza di quanto invece prescrive l’art. 97, comma 8, d.lgs. 50/2016) – clicca qui per leggere la notizia.

Qualche settimana dopo il TAR Puglia, sentenza del 22.1.2021, n. 113, andando in contrasto con la pronuncia di poco precedente del TAR Piemonte, ritiene che in presenza di una lex specialis che nulla dispone quanto all’automatismo espulsivo, disporlo in via diretta e immediata significherebbe porre ingiustificati ostacoli al principio di massima partecipazione alle gare, da sempre predicato dal giudice eurounitario – clicca qui per leggere la notizia.

Secondo il TAR Lazio, sentenza del 19.2.2021, n. 2104, la lex specialis viene eterointegrata dalla legge (nella specie, decreto Semplificazioni) anche laddove il bando preveda che alla procedura va applicata la disciplina generale dell’esclusione automatica dell’art. 97, comma 8, d.lgs. 50/2016 – clicca qui per leggere la notizia.

Di qualche giorno fa è la sentenza del TAR Calabria, 2.3.2021, che, allineandosi a quanto statuito dal TAR Piemonte e TAR Lazio, conferma l’operatività della esclusione automatica delle offerte anomale nelle procedure negoziate sotto soglia, criterio del prezzo più basso, ancorché la lex specialis non preveda, al suo interno, una tale conseguenza.

Questi, in estrema sintesi, i fatti. Un’impresa prendeva parte ad una procedura negoziata per l’assegnazione di lavori di ripristino di una strada e di una rete idrica, da aggiudicarsi con il criterio del prezzo più basso. All’esito delle procedure di gara, detta impresa veniva automaticamente esclusa in quanto l’offerta presentata risultava essere anormalmente bassa.

Per tale motivo l’operatore escluso adiva il TAR, lamentando la scorrettezza dell’operato dell’amministrazione che, nonostante la lex di gara stabiliva la possibilità di presentare giustificazioni in merito all’anomalia dell’offerta, si limitava a disporre l’esclusione senza consentire all’operatore di fornire prova della bontà della propria offerta.

Sennonché, il Collegio rigettava il ricorso evidenziando che:

- l’articolo 1, comma 3, del d.l. 76/2020 prevede che per le procedure indicate dal semplificazioni art. 1, comma2, lett. b), bandite fino al 31.12.2021, da aggiudicarsi con il criterio del prezzo più basso, si procederà all’esclusione automatica di tutte le offerte che presentino una percentuale di ribasso pari o maggiore alla soglia di anomalia individuata ex articolo 97, commi 2, 2bis e 2ter del d.lgs. 50/2016, anche nel caso in cui il numero delle offerte sia pari o superiore a cinque;

- tale previsione – che, per la sua natura semplificatoria, rende automatici alcuni passaggi ha efficacia, in virtù del suo rango legislativo, anche nel caso in cui la lex specialis non ne preveda espressamente l’utilizzo (c.d. eterointegrazione degli atti di gara cui fa riferimento il TAR Lazio citato);

- non è convincente la posizione assunta dal TAR Puglia – anch’esso citato – secondo cui l’articolo 1, comma 3, decreto Semplificazioni non può essere applicato se non espressamente richiamato dalla lex di gara “in quanto i principi di trasparenza e di parità di trattamento (…) richiedono che le condizioni sostanziali e procedurali relative alla partecipazione ad un appalto siano chiaramente definite in anticipo e rese pubbliche, in particolare gli obblighi a carico degli offerenti, affinché questi ultimi possano conoscere esattamente i vincoli procedurali ed essere assicurati sul fatto che gli stessi requisiti valgano per tutti i concorrenti”.

Tale affermazione, conclude il TAR calabrese, non merita condivisione, atteso che “l’art. 1, comma 3, d.l. n. 76 del 2020 non pone una condizione sostanziale o procedurale relativa alla partecipazione dell’appalto, ma fissa una regola per l’amministrazione, che deve escludere automaticamente gli operatori la cui offerta si ponga oltre alla soglia di anomalia”.

(TAR Calabria Catanzaro, Sez. I, 2.3.2021, n. 449)


Appalti pubblici appaltatore non paga prodotti forniti perché ritenuti difettosi, sub fornitore accesso a documenti esecuzione e riserve

Appalti pubblici: l’appaltatore non paga i prodotti perché ritenuti difettosi, il sub fornitore propone accesso a documenti e riserve per dimostrare che alla consegna i prodotti erano funzionanti e lo ottiene.

Appalti pubblici appaltatore non paga prodotti forniti perché ritenuti difettosi, sub fornitore accesso a documenti esecuzione e riserve L’appaltatore non paga i prodotti perché ritenuti difettosi, il sub fornitore propone accesso alla committente per visionare atti dell’esecuzione, tra questi anche le riserve apposte in contabilità dall’appaltatore.

Nei fatti, nell’appalto per la realizzazione dell’acquedotto, l’appaltatore utilizzava nell’esecuzione anche prodotti forniti da altra società (che chiameremo sub fornitore) e tuttavia non provvedeva al pagamento delle forniture.

Il sub fornitore, a fronte del mancato pagamento di fatture emesse nel corso dei relativi rapporti commerciali, chiedeva e otteneva dal Tribunale l’emissione di un decreto ingiuntivo nei confronti dell’appaltatore. Quest’ultimo proponeva opposizione chiedendo la revoca del decreto ingiuntivo e, in via riconvenzionale, l’accertamento dell’inadempimento del sub fornitore, lamentando alcuni vizi delle apparecchiature da esso fornite e, di conseguenza, domandandone la condanna al risarcimento del danno.

Nella pendenza del giudizio civile, il sub fornitore chiedeva alla committente l’accesso ad alcuni documenti della fase di gara e della successiva fase di esecuzione dell’appalto.

La committente acconsentiva ad un accesso parziale alla documentazione richiesta.

Il sub fornitore ricorre così al TAR impugnando le note con cui la committente aveva espresso un diniego sulle sue richieste di accesso.

In particolare l’amministrazione, da un lato, aveva accolto l’accesso con riferimento, ad esempio, ai certificati/verbali di collaudo parziali.

Dall’altro lato, aveva invece negato l’accesso: 1) a talune riserve formulate dall’impresa appaltatrice; 2) a taluni stati di avanzamento dei lavori – SAL; 3) alla copia del bonifico effettuato a fronte di taluni stato avanzamento lavori - SAL; 4) alla copia dello stato finale dell’opera.

Nelle more del giudizio al TAR, il Tribunale ordinario con sentenza ha accolto l’opposizione e la domanda riconvenzionale spiegate dall’appaltatore AFMC, accertando l’esistenza di alcuni difetti nei prodotti forniti all’impresa appaltatrice.

Il TAR accoglie il ricorso.

L’interesse fatto valere dalla richiedente (sub fornitore) è quello di acquisire gli elementi conoscitivi essenziali, anche sul piano tecnico, per valutare le eventuali attività difensive e giudiziarie da intraprendere a tutela dei propri diritti patrimoniali, attivati con il ricorso per decreto ingiuntivo e sviluppatisi nel successivo giudizio d’opposizione (con la domanda formulata, in via riconvenzionale, dall’appaltatore).

La tesi difensiva sostenuta dal sub fornitore nel giudizio civile è volta difatti a dimostrare che le apparecchiature fornite erano correttamente funzionanti (al momento della consegna), e si sono successivamente danneggiate per eventi estranei e per i numerosi errori posti in essere dall’appaltatore.

Da qui sorge l’interesse - e dunque la legittimazione – del sub fornitore a ottenere la documentazione richiesta (verbali consegna, stati di avanzamento lavori, riserve, ecc.), dalla quale eventualmente dimostrare che le valvole erano già state installate, consegnate e collaudate, e che nessun rilievo era stato effettuato dall’appaltatore in relazione alla fornitura. Dall’esame della documentazione potrebbe ricostruirsi anche l’andamento complessivo dell’appalto, con gli eventuali accadimenti che possano aver inciso sul funzionamento delle apparecchiature stesse.

Ad avviso del Collegio, si tratta di richieste che vanno qualificate come istanze di accesso difensivo ai sensi dell’art. 24, comma 7, l. n. 241/1990, in quanto dichiaratamente dirette <<alla tutela della propria posizione giuridica>>, con la conseguenza che si esula da ogni altra fattispecie di accesso documentale amministrativo (quali l’accesso procedimentale o l’accesso civico).

Viene anche osservato che il sub fornitore– pur dinanzi all’esito per sè infausto del giudizio innanzi al Tribunale ordinario - conserva un interesse concreto e attuale all’accesso, per l’eventuale predisposizione dell’atto di gravame avverso la sentenza a sé sfavorevole del Tribunale.

La conoscenza dei documenti in questione potrebbe consentirle, più ampiamente, di approntare con maggior efficacia le necessarie strategie difensive nel giudizio d’appello, nell’ambito del quale è ammessa la produzione di documenti nel caso in cui la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile, ai sensi dell’art. 345, comma 3, c.p.c. (Cass., SSUU, 4 maggio 2017, n. 10790).

Quanto all’accesso alle riserve, la committente lo ha negato sostenendo tra l’altro che le riserve non sarebbero un atto amministrativo né entrerebbero a far parte del procedimento amministrativo, consistendo in atti privati che in alcun modo possono impegnare l’amministrazione e che non sussisterebbe alcun interesse del sub fornitore alla conoscenza di mere pretese economiche dell’appaltatrice.

Il TAR non condivide.

La natura del documento detenuto dall’amministrazione, come pure la circostanza che lo stesso afferisca alla fase di esecuzione del contratto d’appalto (a valle della procedura ad evidenza pubblica), non integrano ragioni idonee a fondare un diniego d’accesso: anche nella fase di esecuzione del contratto persiste, infatti, una rilevanza pubblicistica dovuta alla compresenza di fondamentali interessi pubblici, ivi compreso il principio di trasparenza che informa tutta l’attività della P.A., anche quella di natura privatistica.

Del resto, è stato più volte affermato che <<l’amministrazione non può […] negare l’accesso agli atti riguardanti la sua attività di diritto privato solo in ragione della loro natura privatistica>> (Cons. Stato, Ad. Plen., 22 aprile 1999, n. 5), essendo ormai pacifico che l’istituto dell’accesso trovi applicazione anche in relazione ad atti concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale.

Per altro verso, e più nello specifico, la giurisprudenza amministrativa ha già chiarito che non v’è ragione di precludere l’accessibilità al testo delle riserve apposte dall’impresa appaltatrice sugli atti dell’appalto, e alle relative controdeduzioni del direttore dei lavori, atteso che le riserve non sono atti assimilabili a valutazioni defensionali, integrando esse piuttosto un dato storico che fotografa il contrasto tra le parti intercorso nella fase di esecuzione dell’appalto.

Ciò che rileva è il contenuto della riserva stessa, in particolare, il punto se siano stati indicati eventuali vizi e difformità delle apparecchiature oggetto di fornitura oppure eventi di forza maggiore che potrebbero aver ritardato l’esecuzione dei lavori e danneggiato le apparecchiature.

Il ricorso è fondato, anche in relazione alla richiesta di accesso alla copia del bonifico effettuato a fronte di taluni SAL, atteso che dalle voci liquidate nel bonifico si potrebbe evincere se la stazione appaltante/committente abbia eseguito dei pagamenti richiesti dall’appaltatore per i danneggiamenti subiti dalle valvole oggetto di fornitura.

(TAR Molise, Sez. I, 16.2.2021, n. 52)


Cristallizzazione della soglia di anomalia: l’annullamento dell’aggiudicazione non la pregiudica.

Cristallizzazione della soglia di anomalia: l’annullamento dell’aggiudicazione non la pregiudica.

Cristallizzazione della soglia di anomalia: l’annullamento dell’aggiudicazione non la pregiudica.Cosa accade se la stazione appaltante dispone l’annullamento dell’aggiudicazione divenuta definitiva? Si procederà alla riapertura della gara e, di conseguenza, al ricalcolo della soglia di anomalia?

Una stazione appaltante annullava l’aggiudicazione definitiva disposta a margine di una gara d’appalto per l’assegnazione di lavori e, anziché limitarsi a scorrere la graduatoria, riapriva la procedura e ricalcolava le medie, una volta depennata l’offerta della concorrente esclusa. Da ciò veniva ad esistenza una graduatoria di gara del tutto nuova – con la conseguenza che aggiudicatario dell’appalto era un operatore diverso da quello in precedenza classificatosi secondo.

Sicché quest’ultimo – lamentando l’illegittimità dell’agire dell’amministrazione – adiva il TAR davanti al quale lamentava che, ove la stazione appaltante avesse correttamente applicato il principio di invarianza della soglia di anomalia di cui all’art. 95 Codice, avrebbe dovuto limitarsi a scorrere la graduatoria – e quindi a disporre l’aggiudicazione in suo favore.

L’amministrazione, costituendosi, sosteneva invece la correttezza del proprio operato, motivando tale assunto con il fatto che il ricalcolo delle medie era naturale conseguenza dell’annullamento in autotutela dell’aggiudicazione definitiva e dell’esclusione dell’operatore aggiudicatario – provvedimento che, a detta dell’amministrazione, avrebbe inciso anche sulle fasi precedenti di gara.

Il Collegio, tuttavia, accoglieva il ricorso, osservando che:

- l’art.95, comma 15, Codice – a mente del quale “Ogni variazione che intervenga, anche in conseguenza di una pronuncia giurisdizionale, conseguentemente alla fase di ammissione, regolarizzazione o esclusione delle offerte non rileva ai fini del calcolo di medie nella procedura, né per l’individuazione di soglie di anomalia delle offerte” – ha sempre ricevuto una interpretazione molto restrittiva in giurisprudenza;

- tale principio, infatti, da un lato non può costituire ostacolo al diritto, costituzionalmente garantito, della tutela giurisdizionale; dall’altro che il momento dal quale il calcolo delle medie sarà cristallizzato (e quindi insensibile all’eventuale esclusione di alcuni partecipanti alla gara) viene ad identificarsi con quello dell’aggiudicazione definitiva.

Da quanto sopra deriva, conclude il Collegio, che il principio di invarianza della soglia di anomalia, disciplinato dall’art.95, comma 15, Codice, costituisce “un limite alla retroazione degli effetti dell’annullamento della aggiudicazione”: ne deriva che la media, come calcolata in prima istanza,  non subirà modifiche, nemmeno nel caso in cui alcuni partecipanti siano destinatari di provvedimento di esclusione (anche in conseguenza di pronuncia giurisdizionale).

Ne consegue, quindi, che “la volontà del legislatore è stata quella di rendere applicabile la regola dell’invarianza a qualunque ipotesi (anche stragiudiziale) di “variazione” successiva alla fase di ammissione e regolarizzazione delle offerte che, come sopra chiarito, deve ritenersi definitivamente conclusa con la aggiudicazione definitiva”.

(TAR Toscana Firenze, Sez. I, 22.2.2021, n. 286)


Decreto Semplificazioni ed esclusione automatica delle offerte anomale: non è necessaria la clausola nella lex specialis. TAR che vai, orientamento che trovi.

Decreto Semplificazioni ed esclusione automatica delle offerte anomale: eterointegrazione della lex specialis. TAR che vai, orientamento che trovi.

Decreto Semplificazioni ed esclusione automatica delle offerte anomale: eterointegrazione clausola nella lex specialis. TAR che vai, orientamento che trovi.Esclusione automatica come prevista dal decreto Semplificazioni, clausola ad hoc in lex specialis si o no? Stiamo facendo il giro d'Italia, da nord a sud, sull'altalena dell'applicazione dell'art. 1, comma 3, del decreto Semplificazioni mancava il centro con il richiamo al principio dell'eterointegrazione.

Secondo il TAR Piemonte, sentenza del 17.11.2020, n. 736, l’esclusione automatica delle offerte anomale nelle gare sotto soglia da aggiudicarsi al prezzo più basso di cui al Decreto Semplificazioni prescinde dall’indicazione in lex specialis di una clausola ad hoc (a differenza di quanto invece prescrive l’art. 97, comma 8, d.lgs. 50/2016) – clicca qui per leggere la notizia.

Qualche settimana dopo il TAR Puglia, sentenza del 22.1.2021, n. 113, andando in contrasto con la pronuncia di poco precedente del TAR Piemonte, ritiene che in presenza di una lex specialis che nulla dispone quanto all’automatismo espulsivo, disporlo in via diretta e immediata significherebbe porre ingiustificati ostacoli al principio di massima partecipazione alle gare, da sempre predicato dal giudice eurounitario – clicca qui per leggere la notizia.

Di qualche giorno fa è la sentenza del TAR Lazio, 19.2.2021, che ancora un volta va contro quanto statuito da un altro TAR in precedenza.

Nei dettagli, la società aggiudicataria di una procedura indetta con lettera di invito del 23.9.2020 indirizzata a dieci imprese, cinque delle quali determinatesi a presentare offerta, da assegnare con il criterio del prezzo più basso, si è   vista annullare l'aggiudicazione poiché la stazione appaltante ha effettuato subito dopo il ricalcolo della soglia di anomalia a causa di un asserito “errore” relativo alla mancata applicazione delle “innovazioni introdotte dall’art. 1, comma 3, del d.l. 76/2020” (decreto Semplificazioni).

La ricorrente, estromessa dalla procedura a causa della riscontrata anomalia dell’offerta, censura la scelta della stazione appaltante di non aver tenuto conto dell’art. 24 della lettera di invito, a tenore del quale “La procedura di esclusione automatica delle offerte individuate come anomale, sempre che il numero delle stesse sia pari o superiore a dieci, è quella fissata ai sensi dell’art. 97 comma 8 del Codice”, per fare invece applicazione, nonostante il mancato recepimento da parte della lex specialis (e anzi in presenza di clausola che espressamente faceva applicazione della disciplina generale dell'art. 97, comma 8, del Codice) , dell’art. 1, co. 3, d.l. 76/2020 - decreto Semplificazioni.

Ad avviso del TAR Lazio, che sulla questione si esprime con sentenza breve - quasi a sottolineare che la questione è pacifica - il ricorso è infondato.

A mente del decreto Semplificazioni, art. 1, comma 3, che introdure una disciplina temporanea (efficace dal 17.7.2020, data di entrata in vigore del d.l. n. 76/2020, fino al 31.12.2021) e derogatoria del d.lgs. n. 50/2016 per le finalità indicate in apertura del comma 1 (“incentivare gli investimenti pubblici nel settore delle infrastrutture e dei servizi pubblici” e “far fronte alle ricadute economiche negative a seguito delle misure di contenimento e dell’emergenza sanitaria globale del COVID-19”), “Nel caso di aggiudicazione con il criterio del prezzo più basso, le stazioni appaltanti procedono all’esclusione automatica dalla gara delle offerte che presentano una percentuale di ribasso pari o superiore alla soglia di anomalia individuata ai sensi dell’articolo 97, commi 2, 2-bis e 2-ter, del decreto legislativo n. 50 del 2016, anche qualora il numero delle offerte ammesse sia pari o superiore a cinque”.

A differenza di quanto sostenuto dalla ricorrente, nelle procedure prese in considerazione da quest’ultima previsione il meccanismo di esclusione automatica opera obbligatoriamente, senza necessità di inserimento nella lex specialis; tale meccanismo non è infatti oggetto di una facoltà liberamente esercitabile dalla stazione appaltante, come si desume dal chiaro tenore letterale della norma.

A questo punto, il TAR facendo leva sul principio dell’eterointegrazione della lex specialis a opera del ridetto art. 1, comma 3, d.l. n. 76/2020, richiama la recente pronuncia del TAR Piemonte 736/2020, alla stregua della quale, in caso di procedura negoziata “in deroga” (ex art. 1 d.l. n. 76/2020), il tenore dell’art. 1, comma 3, d.l. cit. non lascia “margine di scelta alla stazione appaltante”, obbligata a procedere all’esclusione automatica (anche perché “se l’intero obiettivo della disciplina è quello di semplificare l’andamento delle gare […], l’esclusione automatica sottosoglia risulta certamente coerente con tale obiettivo”) pure in mancanza di enunciazione negli atti gara, trattandosi di una soluzione che “oltre a non trovare riscontro nel dato letterale di legge, che pare piuttosto idonea, ove necessario, ad eterointegrare la disciplina di gara, non risulterebbe nuovamente funzionale all’obiettivo di celerità delle procedure.

Ma il TAR Lazio non si ferma qui.

Consapevole della ancor più recente pronuncia - di segno contrario - del TAR Puglia 113/2021, richiamata dalla ricorrente, che afferma l’inoperatività dell’esclusione automatica se non prevista negli atti di indizione della gara, sulla base dei principi espressi da Corte giust. UE 2 giugno 2016, C-27/15, e 10 novembre 2016, C-162, il TAR Lazio osserva che "di fatto nel caso in esame la lex specialis comunque ne prevedeva l’operatività, cfr. art. 24 lett. inv.".

In buona sostanza, ad avviso di questo orientamento, la lex specialis viene eterointegrata dalla legge (nella specie, decreto Semplificazioni) anche laddove il bando preveda che alla procedura va applicata la disciplina generale dell'esclusione automatica dell'art. 97, comma 8, d.lgs. 50/2016.

(TAR Lazio Roma, Sez. I, 19.2.2021, n. 2104)

 


Smart mobility. Sharing monopattini elettrici concessione servizi discriminatorio requisito partecipazione servizio analogo esclusivamente in città italiane.

Smart mobility. Sharing monopattini elettrici come concessione di servizi: discriminatorio il requisito di partecipazione che prevede di aver espletato il servizio analogo esclusivamente in città italiane.

Smart mobility. Sharing monopattini elettrici concessione servizi discriminatorio requisito partecipazione servizio analogo esclusivamente in città italiane.

In tema di Smart mobility, una recente pronuncia del TAR Veneto, definendola come concessione di servizi, si chiede se possa essere definito discriminatorio il requisito di partecipazione che prevede di aver espletato il servizio analogo esclusivamente in città italiane nell’ambito di una procedura di selezione di operatori interessati a svolgere il servizio di sharing monopattini elettrici.

La sentenza del TAR Lombardia sull'ordine di arrivo delle domande come criterio di selezione

In tema di smart mobility, in particolare di sharing monopattini elettrici, la giurisprudenza amministrativa era ferma alla sentenza del TAR Lombardia n. 1274/2020 che ha avuto modo di affrontare la questione della illegittimità del criterio cronologico adottato dal Comune di Milano per la selezione degli operatori interessati a svolgere in via sperimentale, ai sensi del d.m. 229/2019, servizi di mobilità in sharing con dispositivi per la micromobilità elettrica (hoverboard, segway, monopattini e monowheel) cui associare il logo del Comune. Criterio che il Tribunale ha definito inadeguato.

La pronuncia, come avevamo anticipato, era destinata a produrre effetti in tutta Italia giacché il Collegio ha affermato che, sebbene non sia compito dei giudici suggerire criteri di scelta alternativi, questi criteri alternativi sono possibili. In sostanza, il TAR ha evidenziato che, anziché affidare la selezione degli operatori al caso, il Comune di Milano avrebbe potuto individuare un criterio qualitativo, un po’ come accade negli appalti pubblici quando si valuta l’offerta tecnica.

Il TAR Veneto sul requisito di partecipazione "discriminatorio"

E, infatti, è della scorsa settimana la sentenza del TAR Veneto che si esprime sulla legittimità delle condizioni di partecipazione previsti dal Comune di Venezia in relazione all’avviso pubblico di manifestazione d'interesse per l'individuazione di soggetti interessati a svolgere in via sperimentale il servizio di mobilità in sharing a flusso libero con monopattini elettrici, nel territorio del Comune.

Nel dettaglio, uno dei partecipanti esclusi ricorre al TAR impugnando non solo la sua esclusione ma anche lo stesso avviso che prevede, quale requisito soggettivo di partecipazione, di “aver già fornito analogo servizio in città italiane con almeno 100.000 abitanti per un periodo non inferiore a 6 mesi”.

In via preliminare, il Collegio ritiene infondata l’eccezione, dedotta da entrambe le resistenti, secondo cui, riguardando una c.d. clausola escludente, il ricorso in esame sarebbe tardivo in quanto l’impugnazione avrebbe dovuto essere proposta entro trenta giorni dalla pubblicazione dell’avviso ai sensi dell’art. 120 c.p.a..

Ad avviso del Collegio, come configurato nel caso di specie dalla lex specialis di gara (selezione dei candidati, assunzione del servizio da parte dell’Amministrazione, inserimento dello stesso come strumento complementare nel servizio di trasporto urbano, regolazione delle tariffe, imposizione di obblighi di servizio), il rapporto in questione deve essere ricondotto nell’ambito della concessione di servizi, istituto sottoposto, per quanto riguarda la procedura di affidamento, alla giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo e al rito speciale di cui agli artt. 120 e ss. c.p.a..

Tuttavia per costante giurisprudenza “La parte che eccepisce la decadenza della controparte da un termine (processuale o sostanziale) è tenuta a dimostrare tutti gli elementi costitutivi dell’eccepito fatto estintivo, tra cui la data di decorrenza del termine medesimo” (Cons. St., Sez. VI, 29 giugno 2015, n. 405).

Nel caso di specie tale prova non è stata fornita.

L’impostazione del rapporto con il gestore dello sharing come concessione di servizi, per cui ha optato il Comune di Venezia, non è l’unica ipotesi nella sia pur limitata prassi che è dato ad oggi esaminare. Nel caso del Comune di Milano appena richiamato, infatti, l’oggetto dell’avviso era più che altro ascrivibile alla figura dell’autorizzazione contingentata.

La rettifica dell’avviso pubblico di manifestazione di interesse - pubblicata sul profilo del committente in data 28 maggio 2020, con cui si è stabilito che ai fini della partecipazione era necessario aver svolto un servizio analogo in città italiane di almeno centomila abitanti per un periodo non inferiore a mesi 6, anziché ad un anno, come previsto nel testo originario dell’avviso - richiedeva il rispetto delle medesime forme di pubblicità dell’atto di indizione della procedura.

E non essendo indicato il valore dell’affidamento, doveva ritenersi applicabile la disciplina generale in tema di pubblicazione degli atti di indizione delle procedure di gara di cui agli artt. 129 e 130 del d.lgs. n. 50/2016.

A ciò si aggiunga, che mancando negli atti di gara un preciso richiamo al d.lgs. n. 50/2016, doveva in ogni caso riconoscersi il beneficio dell’errore scusabile ai sensi dell’art. 37 c.p.a..

Nel merito, il TAR Veneto accoglie il ricorso nella parte in cui la ricorrente lamenta la violazione dei principi, nazionali e comunitari, di concorrenza e di non discriminazione, anche indiretta, in base alla nazionalità.

Invero, i principi di parità di trattamento e di divieto di discriminazione in base alla nazionalità (artt. 49 e 56 TFUE) sono principi cardine – c.d. super principi o valori di sistema – dell’intera disciplina euro unitaria in materia di contratti pubblici.

Ed è di tutta evidenza che l’avere richiesto come requisito di partecipazione lo svolgimento di analogo servizio esclusivamente in una città italiana, con esclusione delle attività svolte in città appartenenti ad altri Paesi dell’Unione, determina una surrettizia restrizione – una discriminazione indiretta – all’acceso alla procedura per gli operatori comunitari non italiani o che non operano in Italia.

Del resto, in materia di contratti pubblici, è frequente che la giurisprudenza amministrativa dichiari illegittime clausole dei bandi di gara che valorizzino, in modo irragionevole, il radicamento dell’operatore in un dato territorio.

Inoltre, non colgono nel segno i rilievi avanzati dal Comune secondo cui la Direttiva servizi non sarebbe applicabile nel settore dei trasporti.

Sin dalla Comunicazione interpretativa della Commissione sulle concessioni nel diritto comunitario del 12 aprile 2000 e dalla Comunicazione interpretativa relativa al diritto comunitario applicabile alle aggiudicazioni di appalti non o solo parzialmente disciplinate dalle direttive appalti pubblici, oggi recepite nelle attuali direttive nn. 23/2014/UE e 24/2014/UE nonché nel d.lgs. n. 50/2016, si è chiarito che anche per i contratti esclusi dal raggio di applicazione delle direttive, le stazioni appaltanti che li stipulano sono comunque tenute a rispettare i principi fondamentali del Trattato in generale, ed il principio di non discriminazione in base alla nazionalità in particolare (Cons. St., Ad. Plen., 30 gennaio 2014, n. 7).

A ciò si aggiunga che ai sensi dell’art. 1, comma 1, della legge n. 241/1990 detti principi sono stati recepiti nel nostro ordinamento e devono pertanto ritenersi applicabili anche agli ambiti non specificamente oggetto della disciplina comunitaria.

Né risultano convincenti le motivazioni postume, dedotte dalla resistente a sostegno della scelta di circoscrivere la partecipazione alle imprese che hanno svolto analogo servizio in una città italiana.

A prescindere dal fatto che sono principalmente gli utenti del servizio a dover conoscere le norme del Codice della Strada, è chiaro che anche gli operatori comunitari non italiani devono essere in grado di acquisire una adeguata conoscenza delle norme e delle modalità di circolazione dei veicoli.

Anche le specificità del servizio elencate dall’Amministrazione (la scarsità di zone 30, la scarsità di zone residenziali e di corsie ciclabili, la presenza non sporadica di interruzioni della rete ciclabile, la mancanza ovvero comunque la scarsità di corsie riservate per i bus e la mancanza ovvero comunque la scarsità di elementi di agevolazione della mobilità urbana per le biciclette/monopattini) non consentono di ritenere proporzionata la prevista compromissione del super principio- valore di non discriminazione in base alla nazionalità.

Ciò in considerazione della natura sperimentale del servizio e dell’esigenza di beneficiare delle migliori esperienze maturate nelle diverse città europee, anziché delle (allo stato) limitate esperienze locali.

Da ultimo, precisa il collegio che l’interesse fatto valere dal ricorrente che impugna la sua esclusione è volto a concorrere per l’aggiudicazione nella stessa gara, dunque, anche nel caso di gara da aggiudicare con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, in presenza del giudicato di annullamento dell’esclusione sopravvenuto alla formazione della graduatoria, il rinnovo degli atti deve consistere nella sola valutazione dell’offerta illegittimamente pretermessa, da effettuarsi ad opera della medesima commissione preposta alla procedura (Cons. St., Ad. Plen., 26 luglio 2012, n. 30).

(TAR Veneto, Sez. I, 8.2.2021, n. 177)


Il principio di immodificabilità dell’offerta tra ricerca della volontà negoziale ed errore materiale: quando il soccorso istruttorio non è la panacea di tutti i mali.

Il principio di immodificabilità dell’offerta tra ricerca della volontà negoziale ed errore materiale: quando il soccorso istruttorio non è la panacea di tutti i mali.

Il principio di immodificabilità dell’offerta tra ricerca della volontà negoziale ed errore materiale: quando il soccorso istruttorio non è la panacea di tutti i mali.Torniamo a parlare di un tema sempre caldo in materia di appalti pubblici: principio di immodificabilità dell’offerta e soccorso istruttorio. La rettifica dell’errore materiale è ammissibile quando l’errore sia riconoscibile, ovvero sia palese sia il fatto che l’offerente è incorso in una svista, sia l’effettiva volontà negoziale che lo stesso ha inteso manifestare.

In una gara telematica da aggiudicarsi secondo il criterio del prezzo più basso per la fornitura urgente di dispositivi di protezione individuale per l’emergenza Covid-19, in 12 lotti, veniva espressamente prevista nei documenti di gara che, in considerazione della situazione emergenziale e al fine di ampliare la platea dei potenziali offerenti, la possibilità per gli operatori economici di formulare offerte anche per un quantitativo di dispositivi inferiore rispetto al fabbisogno indicato per i singoli lotti.

Il disciplinare prevedeva che l’offerta economica avrebbe dovuto essere formulata utilizzando il file denominato “SchemaOfferta_.xls”, generato e scaricato dalla piattaforma, nel quale per ciascun lotto di interesse, l’offerente avrebbe dovuto indicare il prezzo unitario, sulla cui base la stazione appaltante avrebbe stilato la graduatoria (con la precisazione che l’Amministrazione avrebbe considerato «valido solo il prezzo unitario indicato alla corrispondente voce dell’offerta economica»).

Una concorrente presentava offerte per alcuni ma veniva esclusa per aver compilato il file “SchemaOfferta_.xls” inserendo i prezzi complessivi riferiti all’intera fornitura per ciascun bene anziché il prezzo unitario del singolo dispositivo.

L’operatore escluso proponeva ricorso avverso l’esclusione e le aggiudicazioni disposte in favore di altri concorrenti.

A sostegno dell’impugnazione, la società ricorrente deduceva che, nel disporre l’esclusione, la stazione appaltante sarebbe venuta meno al dovere di ricercare l’effettiva volontà negoziale dell’offerente, superando le eventuali ambiguità dell’offerta, attraverso la semplice operazione matematica di divisione dell’importo complessivo indicato nella stessa per il numero dei dispositivi che ne costituivano oggetto.

La società rilevava infatti che la formulazione dell’offerta era stato il frutto di un mero errore formale pertanto la stazione appaltante avrebbe dovuto riammetterla in gara, previa attivazione del soccorso istruttorio qualora lo stesso ente non avesse ritenuto di poter ricavare l’importo del prezzo unitario attraverso la divisione dell’importo totale per il numero dei dispositivi offerti.

A più riprese la giurisprudenza amministrativa ha chiarito che “nella materia degli appalti pubblici vige il principio generale della immodificabilità dell’offerta, che è regola posta a tutela della imparzialità e della trasparenza dell’agire della stazione appaltante, nonché ad ineludibile tutela del principio della concorrenza e della parità di trattamento tra gli operatori economici che prendono parte alla procedura concorsuale», e pertanto «nelle gare pubbliche è ammissibile un’attività interpretativa della volontà dell’impresa partecipante alla gara da parte della stazione appaltante, al fine di superare eventuali ambiguità nella formulazione dell’offerta, purché si giunga ad esiti certi circa la portata dell’impegno negoziale con essi assunti; evidenziandosi, altresì, che le offerte, intese come atto negoziale, sono suscettibili di essere interpretate in modo tale da ricercare l’effettiva volontà del dichiarante, senza peraltro attingere a fonti di conoscenza estranee all’offerta medesima né a dichiarazioni integrative o rettificative dell’offerente (Cons. Stato, sez. V., 11 gennaio 2018, n. 113; Id., sez. IV, 6 maggio 2016, n. 1827; Id., sez. VI, 2 marzo 2017, n. 978).

La rettifica dell’errore materiale da parte della stazione appaltante è ammissibile soltanto quando l’errore sia riconoscibile, ovvero sia ex ante palese sia il fatto che l’offerente è incorso in una svista, sia l’effettiva volontà negoziale che lo stesso ha inteso manifestare.

Quanto all’errore (svista riconoscibile) non può da solo valere a rende ammissibile l’offerta perché, in tal caso, per comprenderne il contenuto, la stazione appaltante dovrebbe attivare l’istituto del soccorso istruttorio e chiedere chiarimenti all’impresa che la ha formulata, operazione non consentita dall’art. 83, c. 9, del d.lgs. n. 50/2016 quando la carenza riguardi l’offerta economica.

L’errore materiale della offerta deve essere tale da poter essere rettificato d’ufficio senza ausili esterni.

Nella specie, la modalità con cui la ricorrente ha formulato l’offerta non consentiva alla stazione appaltante di individuare ex ante, con la dovuta certezza, quale fosse la sua reale intenzione, e ciò perché, secondo quanto stabilito dalla legge di gara, la formazione della graduatoria secondo il criterio del prezzo più basso sarebbe avvenuta sulla base dei prezzi unitari indicati nel file “SchemaOfferta_.xls” firmato digitalmente, mentre l’operazione matematica di divisione del prezzo complessivo indicato dall’operatore per il numero dei dispositivi avrebbe potuto essere effettuata soltanto conoscendo il numero dei dispositivi concretamente offerti dall’operatore economico.

In questo caso, il bando consentiva ai partecipanti di formulare offerte anche per un quantitativo di dispositivi inferiore rispetto al fabbisogno regionale semestrale indicato per i singoli lotti.

Inoltre, il numero dei dispositivi offerti non era evincibile dal file “SchemaOfferta_.xls”, quindi la stazione appaltante non avrebbe potuto procedere con l’operazione matematica di divisione indicata dalla ricorrente, se non accedendo ad un documento, il “Dettaglio di offerta economica”, diverso da quello destinato a contenere l’indicazione del prezzo sulla base del quale sarebbe stata stilata la graduatoria.

Peraltro, pure a seguito di verifica e interpretazione, la rettifica del valore dell’offerta, stante il principio generale della immodificabilità, non avrebbe potuto prescindere dal coinvolgimento dell’offerente mediante l’attivazione del soccorso istruttorio, strada preclusa dall’art. 83, c. 9, d.lgs. n. 50/2016 in relazione all’offerta economica.

Quanto sopra senza considerare che, nel bilanciamento tra i due principi del favor partecipationis e della par condicio, il primo è da considerarsi recessivo rispetto al secondo salvo che l’errore commesso dall’offerente sia indotto da un comportamento della stazione appaltante, perché in tal caso la prevalenza del principio del favor partecipationis trae forza dalla necessità di rispettare anche il principio del legittimo affidamento maturato dal partecipante alla gara.

Nel caso di specie, però, la regola secondo cui l’offerta doveva essere formulata mediante indicazione del prezzo unitario dei dispositivi era chiara e adeguatamente evidenziata (tramite caratteri in grassetto) nel disciplinare di gara, con la conseguenza che l’errore della ricorrente deve essere imputato solo a quest’ultima e che il principio del favor partecipationis non può che soccombere rispetto a quello della par condicio dei partecipanti e, soprattutto, a quello di autoresponsabilità dell’operatore economico.

(TAR Umbria, Sez. I, 8.2.2021, n. 41)


Appalti pubblici e Self-cleaning: obbligo di fornire spontaneamente la prova di ravvedimento operoso alla presentazione della domanda/offerta? Le incertezze interpretative dell’art. 80 alla luce di una recente pronuncia della Corte di Giustizia.

Appalti pubblici e Self-cleaning: obbligo di fornire spontaneamente la prova di ravvedimento operoso alla presentazione della domanda/offerta? Le incertezze interpretative dell’art. 80 alla luce di una recente pronuncia della Corte di Giustizia.

Appalti pubblici e Self-cleaning: obbligo di fornire spontaneamente la prova di ravvedimento operoso alla presentazione della domanda/offerta? Le incertezze interpretative dell’art. 80 alla luce di una recente pronuncia della Corte di Giustizia.Una recente pronuncia della Corte di Giustizia UE (Sez. IV, 14.1.2021) avente ad oggetto l’istituto del self-cleaning negli appalti pubblici, si interroga sulla corretta interpretazione dell’art. 57, par. 6, direttiva comunitaria 2014/24, norma secondo cui, in presenza di un motivo facoltativo di esclusione dalla gara, l’operatore economico può fornire la prova che le misure di ravvedimento operoso adottate siano sufficienti a dimostrare la sua affidabilità.

Ricordiamo cosa prevede l'art. 57 della direttiva in commento: "4. Le amministrazioni aggiudicatrici possono escludere, oppure gli Stati membri possono chiedere alle amministrazioni aggiudicatrici di escludere dalla partecipazione alla procedura d’appalto un operatore economico in una delle seguenti situazioni:

c) se l’amministrazione aggiudicatrice può dimostrare con mezzi adeguati che l’operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, il che rende dubbia la sua integrità;
(...)
g) se l’operatore economico ha evidenziato significative o persistenti carenze nell’esecuzione di un requisito sostanziale nel quadro di un precedente contratto di appalto pubblico, di un precedente contratto di appalto con un ente aggiudicatore o di un precedente contratto di concessione che hanno causato la cessazione anticipata di tale contratto precedente, un risarcimento danni o altre sanzioni comparabili;
h) se l’operatore economico si è reso gravemente colpevole di false dichiarazioni nel fornire le informazioni richieste per verificare l’assenza di motivi di esclusione o il rispetto dei criteri di selezione, non ha trasmesso tali informazioni o non è stato in grado di presentare i documenti complementari di cui all’articolo 59; (...)
(...)

6. Un operatore economico che si trovi in una delle situazioni di cui ai paragrafi 1 e 4 può fornire prove del fatto che le misure da lui adottate sono sufficienti a dimostrare la sua affidabilità nonostante l’esistenza di un pertinente motivo di esclusione. Se tali prove sono ritenute sufficienti, l’operatore economico in questione non è escluso dalla procedura d’appalto".

La questione nasce da una controversia insorta in una procedura di gara soggetta alla legge belga, nel corso della quale alcuni operatori economici venivano esclusi per aver commesso gravi illeciti professionali.

Nel ricorso avverso l’esclusione, gli operatori evidenziavano che, prima di essere esclusi, essi avrebbero dovuto avere la possibilità di dimostrare di aver posto rimedio alle conseguenze di tali illeciti attraverso l’istituto del self-cleaning.

L’Amministrazione, da parte sua, contestava quanto affermato dagli operatori poiché, a suo avviso, a mente dell’articolo 70 della legge belga 17 giugno 2016 sugli appalti pubblici, l’operatore interessato deve dichiarare di propria iniziativa i provvedimenti di ravvedimento operoso adottati.

A questo punto, il giudice del rinvio si chiede se l’art. 57 della direttiva comunitaria 2014/24 vada interpretato nel senso che un operatore economico possa essere escluso da una gara per gravi illeciti professionali senza essere stato preventivamente invitato dall’Amministrazione a fornire la prova del ravvedimento operoso.

Secondo il giudice del rinvio, il quale rimetteva la questione dinanzi alla Corte di Giustizia, non ci si può aspettare che un operatore economico si autoaccusi – fornendo un elenco di comportamenti classificabili come gravi illeciti, tali da giustificarne l’esclusione dalle procedure cui dovesse partecipare; di contro, sarebbe più corretto – e connotato da maggiore trasparenza – consentire all’operatore economico di fornire prova dell’avvenuto ravvedimento operoso.

Nell'affrontare la questione, il giudice del rinvio chiede se, stante l’art. 57, par. 6, possa uno Stato membro prevedere che l’operatore economico sia tenuto a fornire spontaneamente al momento della presentazione della domanda o offerta la prova del ravvedimento operoso nonostante l’esistenza di un motivo di esclusione facoltativo quando tale obbligo non sia previsto né dalla normativa nazionale né dai documenti di gara.

Si badi bene, l’art. 57, paragrafo 6, come anche il considerando n. 102, non precisano in che modo o in quale fase della procedura possa essere fornita la prova del ravvedimento operoso.

Il che porterebbe a ritenere che, alla luce del solo tenore letterale dell’art. 57, paragrafo 6, la possibilità lasciata agli operatori economici di fornire la prova dei provvedimenti di ravvedimento operoso adottati può essere esercitata su iniziativa di questi ultimi o su iniziativa dell’amministrazione aggiudicatrice, così come può essere esercitata al momento della presentazione della domanda di partecipazione o dell’offerta o in una fase successiva della procedura.

Detta interpretazione è altresì avvalorata dal contesto in cui si inserisce la norma.

In forza dell’art. 57, par. 7, le condizioni di applicazione di tale articolo e, pertanto, del par. 6 di quest’ultimo devono essere specificate dagli Stati membri nel rispetto del diritto dell’Unione. Quindi, nell’ambito del margine di discrezionalità di cui dispongono nella determinazione delle modalità procedurali di cui all’art. 57, paragrafo 6, gli Stati membri possono prevedere che la prova dei provvedimenti di ravvedimento operoso debba essere fornita spontaneamente dall’operatore economico interessato al momento della presentazione della domanda o dell’offerta, così come essi possono anche prevedere che tale prova possa essere fornita dopo che detto operatore economico sia stato formalmente invitato a farlo dall’amministrazione aggiudicatrice in una fase successiva della procedura.

Ne deriva che, qualora uno Stato membro preveda che la prova dei provvedimenti di ravvedimento operoso possa essere fornita solo spontaneamente dall’operatore economico al momento della presentazione della domanda o dell’offerta, senza possibilità di fornire tale prova in una fase successiva della procedura, i principi di trasparenza e di parità di trattamento richiedono che gli operatori economici siano informati in via preventiva, in maniera chiara, precisa e univoca, dell’esistenza di un siffatto obbligo, vuoi che tale informazione risulti direttamente dai documenti di gara, vuoi che essa risulti da un rinvio, in tali documenti, alla normativa nazionale pertinente.

Nel caso di specie, sebbene la normativa nazionale belga abbia precisato che la prova dei provvedimenti di ravvedimento operoso deve essere fornita su iniziativa dell’operatore economico, i documenti di gara non indicavano espressamente che tale prova dovesse essere fornita spontaneamente dall’operatore economico interessato.

In tali circostanze, e fatto salvo l’obbligo che incombeva alle ricorrenti di informare l’amministrazione aggiudicatrice dei gravi illeciti professionali, tali ricorrenti potevano ragionevolmente attendersi, sul solo fondamento dell’art. 57, par. 6, che esse sarebbero state successivamente invitate dall’amministrazione aggiudicatrice a fornire la prova dei provvedimenti di ravvedimento operoso adottati per porre rimedio a qualsivoglia motivo di esclusione facoltativo che tale amministrazione potesse rilevare.

Orbene, riferendoci a una normativa nazionale che non precisava se la prova dei provvedimenti di ravvedimento operoso dovesse essere o meno fornita spontaneamente dall’operatore economico, né in quale fase della procedura dovesse essere fornita, emerge che, sebbene incomba agli operatori economici informare l’amministrazione, sin dal momento della presentazione della loro domanda di partecipazione o della loro offerta, dei gravi illeciti professionali, l’amministrazione, qualora concluda che sussiste un motivo di esclusione derivante da tale circostanza, deve nondimeno dare agli operatori interessati la possibilità di fornire la prova dei provvedimenti di ravvedimento operoso adottati.

Alla luce di tanto, ad avviso della Corte l’art. 57, par. 6, della direttiva 2014/24 deve essere interpretato nel senso che esso contrasta con una prassi in forza della quale un operatore economico è tenuto a fornire spontaneamente, al momento della presentazione della sua domanda di partecipazione o della sua offerta, la prova dei provvedimenti di ravvedimento operoso adottati per dimostrare la sua affidabilità nonostante l’esistenza, nei suoi confronti, di un motivo di esclusione facoltativo, qualora un simile obbligo non risulti né dalla normativa nazionale applicabile né dai documenti di gara.

Di contro, è legittimo un siffatto obbligo qualora esso sia previsto in modo chiaro, preciso e univoco nella normativa nazionale applicabile e sia portato a conoscenza dell’operatore economico interessato mediante i documenti di gara.

Le incertezze dell’art. 80, comma 7, d.lgs. 50/2016

 Venendo ora alla normativa codicistica italiana, il principio espresso dalla Corte di Giustizia dà conto di come anche nella normativa dei contratti pubblici italiana vi sia una incertezza interpretativa sull’art. 80, in particolare, sul comma 7.

A mente di tale disposizione, infatti: “Un operatore economico, o un subappaltatore, che si trovi in una delle situazioni di cui al comma 1, limitatamente alle ipotesi in cui la sentenza definitiva abbia imposto una pena detentiva non superiore a 18 mesi ovvero abbia riconosciuto l'attenuante della collaborazione come definita per le singole fattispecie di reato, o al comma 5, è ammesso a provare di aver risarcito o di essersi impegnato a risarcire qualunque danno causato dal reato o dall'illecito e di aver adottato provvedimenti concreti di carattere tecnico, organizzativo e relativi al personale idonei a prevenire ulteriori reati o illeciti.

A ben vedere, la norma italiana non prevede quando (e se trattasi di obbligo) l’operatore sia tenuto a fornire prova del ravvedimento operoso.

Non sembra che un “siffatto obbligo” sia previsto in modo chiaro, preciso e univoco nella normativa nazionale.

Non è affatto chiaro infatti se l'amministrazione sia tenuta ad invitare l'operatore a fornire la prova, in quale momento della procedura e se trattasi di obbligo.

Ancora, si potrebbe ragionevolmente ritenere contrastante con la normativa comunitaria la prassi (e quindi quella lex specialis che lo preveda) in forza della quale l'operatore economico è tenuto a fornire spontaneamente in un dato momento della procedura (giacché la norma codicistica nulla dice con riferimento al momento) la prova dei provvedimenti di ravvedimento operoso adottati per dimostrare la sua affidabilità nonostante l’esistenza, nei suoi confronti, di un motivo di esclusione facoltativo

(CGUE, C-387/19 del 14.1.2021)


Decreto Semplificazioni ed esclusione automatica delle offerte anomale: necessaria la clausola nella lex specialis. Un ulteriore contrasto annunciato.

Poche settimane fa abbiamo commentato sul nostro sito la sentenza del TAR Piemonte del 17.11.2020, n. 736 secondo la quale, tradotto in soldoni, l’esclusione automatica delle offerte anomale nelle gare sotto soglia da aggiudicarsi al prezzo più basso di cui al Decreto Semplificazioni prescinde dall'indicazione in lex specialis di una clausola ad hoc (a differenza di quanto invece prescrive l'art. 97, comma 8, d.lgs. 50/2016) - clicca qui per leggere la notizia.

Qualche settimana dopo (22.1.2021), il TAR Puglia, chiamato a pronunciarsi sulla violazione dell’art. 1 d.l. n. 76/2020, convertito con l. n. 120/2020, che prevede una causa di esclusione automatica  dalla gara delle offerte anomale, torna sull’applicabilità del decreto semplificazioni andando in contrasto con la pronuncia di poco precedente del TAR Piemonte.

In dettaglio, il Collegio, consapevole che il recente Decreto Semplificazioni ha previsto che: “Nel caso di aggiudicazione al prezzo più basso, le stazioni appaltanti procedono all'esclusione automatica dalla gara delle offerte che presentano una percentuale di ribasso pari o superiore alla soglia di anomalia individuata ai sensi dell'articolo 97, commi 2, 2bis e 2ter del D. lgs. n. 50 del 2016, anche qualora il numero delle offerte ammesse sia pari o superiore a cinque”, ritiene in ogni caso pacifico che tale automatismo non era previsto dalla lettera d’invito.

Interessante notare l'interrogativo che si pongono i giudici: possiamo esigere dall’impresa partecipante alla gara un grado di conoscenza della normativa di riferimento, anche quando la stessa non sia stata previamente richiamata nel bando di gara?

E sul punto, rileva il Collegio che la Corte di Giustizia (sentenza 2 giugno 2016, C-27/15, Pippo Pizzo), sia pure su altra questione, ha enunciato il seguente principio di diritto: “Il principio di parità di trattamento e l'obbligo di trasparenza devono essere interpretati nel senso che ostano all'esclusione di un operatore economico da una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico in seguito al mancato rispetto, da parte di tale operatore, di un obbligo che non risulta espressamente dai documenti relativi a tale procedura o dal diritto nazionale vigente, bensì da un'interpretazione di tale diritto e di tali documenti nonché dal meccanismo diretto a colmare, con un intervento delle autorità o dei giudici amministrativi nazionali, le lacune presenti in tali documenti. In tali circostanze, i principi di parità di trattamento e di proporzionalità devono essere interpretati nel senso che non ostano al fatto di consentire all'operatore economico di regolarizzare la propria posizione e di adempiere tale obbligo entro un termine fissato dall'amministrazione aggiudicatrice”.

In motivazione la sentenza della Corte di Giustizia ha evidenziato che il principio di parità di trattamento impone che tutti gli offerenti dispongano delle stesse possibilità nella formulazione delle loro offerte e implica, quindi, che tali offerte siano soggette alle medesime condizioni per tutti gli offerenti. Dall'altro lato, prosegue la Corte di giustizia, l'obbligo di trasparenza ha come scopo quello di eliminare i rischi di favoritismo e di arbitrio da parte dell'Amministrazione aggiudicatrice. Tale obbligo implica che tutte le condizioni e le modalità della procedura di aggiudicazione siano formulate in maniera chiara, precisa e univoca nel bando di gara o nel capitolato d'oneri, così da permettere, da un lato, a tutti gli offerenti ragionevolmente informati e normalmente diligenti di comprenderne l'esatta portata e d'interpretarle allo stesso modo e, dall'altro, all'amministrazione aggiudicatrice di essere in grado di verificare effettivamente se le offerte degli offerenti rispondano ai criteri che disciplinano l'appalto in questione.

Il TAR Puglia richiama anche quanto statuito dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 19/16 che ha aderito al citato orientamento del giudice sovranazionale, rimarcando che i principi di trasparenza e di parità di trattamento richiedono che le condizioni sostanziali e procedurali relative alla partecipazione ad un appalto siano chiaramente definite in anticipo e rese pubbliche, in particolare gli obblighi a carico degli offerenti, affinché questi ultimi possano conoscere esattamente i vincoli procedurali ed essere assicurati del fatto che gli stessi requisiti valgono per tutti i concorrenti.

Ciò anche sulla base dell'ulteriore considerazione che subordinare la partecipazione ad una procedura di aggiudicazione ad una condizione derivante dall'interpretazione del diritto nazionale (o dalla prassi di un'autorità) sarebbe particolarmente sfavorevole per gli offerenti stabiliti in altri Stati membri, il cui grado di conoscenza del diritto nazionale e della sua interpretazione può non essere comparabile a quello degli offerenti nazionali.

Tanto chiarito, reputa il Collegio che, in presenza di una lex specialis che nulla disponeva quanto all’automatismo espulsivo, disporlo in via diretta e immediata significherebbe porre ingiustificati ostacoli al principio di massima partecipazione alle gare, da sempre predicato dal giudice eurounitario.

 

(TAR Puglia Lecce, Sez. II, 22/1/2021, n. 113)


Articolo 54 d.P.R. 1092/1973 militari

Pensioni militari e art. 54. Arrivano le prime sentenze dopo le Sezioni Riunite. 

Sono in aArticolo 54 d.P.R. 1092/1973 militarirrivo le prime sentenze delle sezioni regionali della Corte dei Conti sul diritto al ricalcolo delle pensioni militari ai sensi del d.P.R. 1092/1973 subito dopo la pronuncia delle Sezioni Riunite 4 gennaio 2021, n. 1 e non mancano le sorprese.

Come noto, con la nota sentenza, le Sezioni Riunite della Corte dei Conti hanno fornito una nuova interpretazione dell’art. 54 del d.P.R. 1092/1973. Esse hanno stabilito la inapplicabilità dell’aliquota intera del 44% al 15esimo anno di servizio per coloro che sono andati in pensione con oltre venti anni di contributi. Sotto un altro aspetto, confermando l’errore nel calcolo delle pensioni adottato sino ad oggi dall’INPS, esse hanno individuato nel 2,44% il corretto coefficiente di ricalcolo. Sul punto abbiamo già pubblicato un approfondimento che invitiamo a consultare al seguente link.

A seguito della suddetta pronuncia sono dunque state depositate le prime sentenze a definizione dei giudizi pensionistici pendenti presso le sezioni giurisdizionali regionali della Corte dei Conti e si sono materializzate le prime contraddizioni.

Da una parte infatti la Corte dei Conti della Emilia Romagna, con sentenza del 25.1.2021 ha stabilito il diritto al ricalcolo del pensionato individuando nel 2,44% annuale la corretta aliquota applicabile, aderendo alla interpretazione delle Sezioni Riunite.

Dall’altra, la Corte dei Conti del Veneto, già nota per un orientamento giurisprudenziale piuttosto restrittivo, ha invece sostenuto che per potersi pronunciare sulla applicazione della aliquota del 2,44% necessita avviare un nuovo procedimento amministrativo ex art. 153 c.g.c.

Al riguardo, occorre fare alcune osservazioni circa la ragione della difformità delle suddette pronunce. Infatti, nessuno dei due Magistrati aditi ha dissentito dalla interpretazione fornita dalle Sezioni Riunite. Tuttavia il contrasto si è materializzato sulla possibilità di ottenere già nei giudizi pendenti aventi ad oggetto l’applicazione dell’art. 54 d.P.R. 1092/1973, il ricalcolo con applicazione del coefficiente del 2,44%.

Sul punto, giova evidenziare che a nostro avviso l’interpretazione più corretta è quella fornita dalla pronuncia della Corte dei Conti Emilia Romagna già richiamata.

Infatti, oggetto delle istanze avanzate nei riguardi dell’INPS e dei pedissequi giudizi pensionistici radicati è la domanda di accertamento del diritto al ricalcolo della pensione del militare a causa dell’erronea applicazione della disciplina vigente da parte dell’Ente previdenziale. Non vi è dubbio invero che, a prescindere dalla corretta individuazione della aliquota, la disciplina delle pensioni militari non può trovare fondamento nell’art. 44 d.P.R. 1092/1973 come sostenuto dall’INPS, ma è stabilita dal combinato disposto degli articoli 52 e 54 del medesimo decreto come sancito dalla più volte richiamata pronuncia delle Sezioni Riunite.

Ne consegue che la domanda di accertamento del diritto al ricalcolo sulla base della corretta normativa presuppone la successiva corretta individuazione della aliquota applicabile in funzione di tali norme (44% ovvero 2,44%) la quale dovrebbe essere stabilita dal Giudice adito.

Per tale ragione, pur ritenendo che l’art. 54 d.P.R. 1092/1973 possa ancora essere interpretato estensivamente con applicazione dell’aliquota del 44%, riteniamo la pronuncia della Corte dei Conti Emilia Romagna citata più conforme ai principi ispiratori del giudizio pensionistico in quanto idonea a garantire il  esonerando il pensionato già gravato da ingiuste decurtazioni della propria pensione da ulteriori aggravi procedimentali.

Avv. Rosamaria Berloco

Avv. Michele Trotta


Facciamo chiarezza sulla localizzazione del Deposito Nazionale dei rifiuti radioattivi. La disciplina degli impianti di produzione di energia elettrica nucleare.

Facciamo chiarezza sulla localizzazione del Deposito Nazionale dei rifiuti radioattivi. La disciplina degli impianti di produzione di energia elettrica nucleare.

Facciamo chiarezza sulla localizzazione del Deposito Nazionale dei rifiuti radioattivi. La disciplina degli impianti di produzione di energia elettrica nucleare.Negli ultimi giorni la pubblicazione di Sogin S.p.A. dell’avviso concernente l’“avvio della procedura per la localizzazione, costruzione ed esercizio del Deposito Nazionale dei rifiuti radioattivi e Parco Tecnologico, ex D.lgs. n. 31/2010” ha suscitato non poche polemiche e indignazione tra l’opinione pubblica.

L’interrogativo che ci si è posti è quello relativo al motivo per il quale improvvisamente in Italia si è tornati a discutere di un tema, quello degli impianti di energia nucleare e dei rifiuti radioattivi e la loro localizzazione, che molti pensavano fosse ormai definitivamente archiviato e che ha sempre originato un vivace dibattito ideologico, sia a livello politico, sia a livello amministrativo.

Il tema, infatti, pone una riflessione congiunta su molteplici aspetti della vita quotidiana: lo sviluppo economico ed energetico del Paese, la difesa dell’ambiente, la tutela della salute e, non da ultimo, la pianificazione sociale delle generazioni future.

Certamente, il legislatore nazionale, nel rispetto degli accordi internazionali circa l’uso pacifico dell’energia nucleare, ha dovuto fronteggiare la questione energetica, specie all’indomani della dismissione degli impianti esistenti ma non più in uso e che costituiscono un problema non più differibile.

Nel frattempo, si è dovuto rimediare all’incapacità pregressa e individuare dei siti idonei ove poter costruire l’importante complesso impiantistico e poter correttamente gestire i rifiuti cd. radioattivi che rappresentano, certamente, un’ulteriore problema di non facile soluzione.

Sul piano legislativo, con il d.lgs. 31/2010, il legislatore nazionale ha introdotto una speciale disciplina per la localizzazione, realizzazione ed esercizio nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia elettrica nucleare.

Si tratta di una disciplina, poi successivamente riformata, che attualmente prescrive un iter complesso per il rilascio dell’autorizzazione propedeutica alla costruzione ed esercizio dell’impianto che stabilisce:

  • il soggetto pubblico protagonista dell’iniziativa ed attuatore dell’investimento, Sogin, nonché le autorità preposte al controllo dell’operato svolto;
  • gli aspetti tecnici dell’investimento, distinguendo il Deposito nucleare dal Parco Tecnologico;
  • la procedura preliminare di individuazione dei siti potenzialmente idonei alla localizzazione dell’impianto;
  • la fase consultiva delle Autorità pubbliche (Ministeri, Regioni, Province, Comuni e popolazione) interessate all’investimento;
  • la fase informativa/divulgativa dei “vantaggi” del realizzando investimento, comprese le ricadute economiche nel territorio;
  • ed infine, la vera e propria fase di autorizzazione alla costruzione ed esercizio dell’impianto presso il sito prescelto.

La pubblicazione dell’avviso relativo all’avvio della procedura per la localizzazione, costruzione ed esercizio del Deposito nazionale dei rifiuti radioattivi e del Parco Tecnologico costituisce, quindi, il primo tassello verso la realizzazione dell’investimento infrastrutturale – energetico, un investimento certamente importante da un punto di vista economico ed ambientale.

Sul piano normativo, la pubblicazione della Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee (CNAPI) rappresenta il primo step della procedura di autorizzazione prevista dal d.lgs. 31/2010 e segna l’avvio della localizzazione del sito che ospiterà l’impianto.

La Carta, in realtà, contiene l’elenco dei 67 luoghi potenzialmente idonei (che non sono tutti equivalenti tra di essi ma presentano differenti gradi di priorità a seconda delle caratteristiche) ad ospitare il Deposito Nazionale ed il Parco Tecnologico; con la pubblicazione si dà avvio alla fase di consultazione dei documenti, all’esito della quale si terrà, successivamente, il seminario nazionale per il dibattito pubblico vero e proprio.

Durante il dibattito è prevista la partecipazione di enti locali, associazioni di categoria, sindacati, università ed enti di ricerca, durante il quale saranno approfonditi tutti gli aspetti, inclusi i possibili “benefici” economici e di sviluppo territoriale connessi alla realizzazione delle opere.

L’iniziativa e la gestione è stata affidata ex lege alla società pubblica Sogin S.p.A., definita ai sensi dell’art. 26 quale “soggetto responsabile degli impianti a fine vita, del mantenimento in sicurezza degli stessi, nonché della realizzazione e dell’esercizio del Deposito Nazionale e del Parco Tecnologico”.

Le aree interessate dalla Carta sono il risultato di un complesso processo di selezione effettuato su scala nazionale svolto da Sogin in conformità ai criteri di localizzazione stabiliti dall’ISIN, ovvero l’ente preposto al controllo dell’operato svolto dalla società pubblica, che ha permesso di scartare le aree che non soddisfacevano determinati requisiti di sicurezza per la tutela dell’uomo e dell’ambiente.

A fronte di tale primo screening di aree potenzialmente idonee, la disciplina normativa prevede che i soggetti portatori di interessi qualificati possano formulare osservazioni e proposte tecniche: si tratta, in tal caso, dei cd. “enti esponenziali”, titolari di una posizione giuridica differenziata e portatori di interessi collettivi, rappresentativi del territorio secondo la classificazione operata dalla giurisprudenza amministrativa.

Visto l’attuale caos che caratterizza la questione, abbiamo realizzato un paper di approfondimento con il quale si vuol illustrare il quadro normativo vigente, ponendo l’attenzione, tra gli altri, sugli strumenti giuridici che possono consentire a chiunque sia titolare di un interesse legittimo di poter esprimere le proprie osservazioni relativamente all’attuale fase di individuazione delle aree potenzialmente idonee ad ospitare il complesso industriale.

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