Gara illegittima se i criteri motivazionali sono successivi all’apertura delle buste delle offerte tecniche.

Il Tar Abruzzo con sentenza del 7 febbraio 2019 n. 88 , ha stabilito l’ illegittimità della procedura di gara qualora la fissazione dei criteri motivazionali avvenga dopo l' apertura delle buste delle offerte tecniche, con la conseguenza per la P.A. dell' obbligo di rinnovare la gara, ai sensi dell' articolo 122 c.p.a..

Il caso affrontato riguarda una gara di servizi; la S.A. aveva fissato i criteri motivazionali di valutazione delle offerte in data successiva all' apertura delle buste contenenti l' offerta tecnica.

Con una prima sentenza, il Tar investito della questione, ha ritenuto illegittima la procedura di gara disponendo la rinnovazione della stessa a partire dalla fase di presentazione delle offerte.

La stessa S.A. ha investito nuovamente il Giudice amministrativo della questione per ottenere chiarimenti in ordine alle modalità di ottemperanza della sentenza resa nel giudizio di merito.

I giudici abruzzesi hanno  chiarito che la corretta ottemperanza alla sentenza non consente di procedere ad un nuovo esame, da parte della Commissione, delle offerte tecniche già presentate dalle concorrenti, dovendo essere, invece, consentita una nuova valutazione delle offerte non condizionata dalla conoscenza delle offerte tecniche e delle offerte economiche. Ciò allo scopo di evitare il rischio che, in astratto, la commissione possa "plasmare e modulare" opportunamente i criteri di valutazione in favore di talune offerte già conosciute.

La specificazione dei sub-criteri dopo l' apertura delle buste contenenti le offerte tecniche inficia alla radice l’intera procedura di gara.  Al fine di garantire la trasparenza, l' imparzialità delle operazioni e la par condicio competitorum , infatti, è necessaria la preventiva conoscibilità dei criteri di ponderazione delle offerte, al fine di rendere trasparente ed immediatamente percepibile l' attribuzione dei punteggi, anche allo scopo di scongiurare il rischio che, in astratto, la commissione possa premiare, plasmando e modulando opportunamente i sub-punteggi, talune offerte, già conosciute, al fine di valorizzarne le specifiche caratteristiche.

Il divieto di specificazione e/o integrazione dei criteri di valutazione dopo l' apertura delle offerte tecniche, costituisce principio generale delle procedure a evidenza pubblica, la cui violazione determina l' illegittimità della gara indipendentemente dalla dimostrazione - pari ad una probatio diabolica - che essa ne abbia in qualche modo condizionato l' esito.

Tale  interpretazione rappresenta, quindi, una declinazione del principio di segretezza dell' offerta, il quale comporta, nei casi in cui la procedura di gara sia caratterizzata da una netta separazione tra la fase della valutazione dell' offerta tecnica e quella dell' offerta economica, che le offerte economiche rimangano segrete fino alla conclusione della fase relativa alla valutazione di quelle tecniche.

(Tar Abruzzo, L’Aquila, sez. I, 7/2/2019, n. 88)


Raggruppamenti di imprese: il Consiglio di Stato torna sulla distinzione tra ATI verticale e orizzontale

Un raggruppamento di imprese impugna l’ammissione alla gara degli altri due raggruppamenti, deducendo tra i vari motivi anche la violazione dell’art. 48, comma 2, del d.lgs. n. 50/2016, sostenendo che i due raggruppamenti avrebbero partecipato in forma di ATI verticale, avendo indicato, mandante e mandataria, l’esecuzione di servizi tra loro diversi per tipologia, nonostante la lex specialis di gara non avesse identificato le prestazioni principali e quelle secondarie.

il Tar per la Toscana accoglie il ricorso in primo grado ritenendo fondate tutte le doglianze proposte.

Avverso tale decisione viene proposto appello.  L’appellante, nello specifico, rileva che il primo giudice avrebbe affermato la natura verticale dell’ATI sulla base di un mero ragionamento deduttivo.

La decisione impugnata, si baserebbe su una lettura puramente formale della norma dell’art. 48, comma 2 del d.lgs. n. 50/2016 senza tener conto della sua ratio e senza considerare neanche l’ espressa prescrizione contenuta nel disciplinare di gara secondo cui “L’Operatore economico dovrà specificare le parti del servizio che saranno eseguite dai singoli operatori economici riuniti o consorziati”: la lex specialis, quindi, richiedeva l’indicazione delle “parti” del servizio (che avrebbero potuto non essere omogenee) e non delle “quote di esecuzione” del servizio (che presuppongono, al contrario, la ripartizione percentuale della stessa prestazione), come preteso dal TAR.

Il Consiglio di Stato condivide le doglianze dell’appellante accogliendo il ricorso.

Nella sua pronuncia ribadisce l’orientamento giurisprudenziale formatosi in tema di distinzione tra ATI verticale e ATI orizzontale, secondo il quale ciò che caratterizza il raggruppamento di tipo verticale è la disomogeneità e la differenziazione delle capacità e dei requisiti posseduti dai componenti del raggruppamento medesimo, portatori – nel caso di ATI verticali – di competenze distinte e differenti (che vengono riunite ai fini della qualificazione per una determinata gara).

L’oggetto dell’appalto deve riguardare prestazioni e tipologie di servizi effettivamente autonome e specifiche, differenziabili e scorporabili, tanto da poter essere svolte da soggetti distinti, dotati di determinati requisiti di qualificazione, idonei allo svolgimento di quelle particolari prestazioni che costituiscono secondo la stazione appaltante, valore secondario.

Nel caso di ATI verticale, la stazione appaltante deve individuare le prestazioni principali e secondarie da ripartire all’interno dell’associazione tra i suoi componenti, non potendo consentire all’autonomia delle parti privati la scelta delle prestazioni da svolgere, tenuto conto del differente regime relativo alla responsabilità che si applica alle ATI verticali.

Nel caso di specie, nessuno dei due aspetti ricorre: non sussiste il requisito della disomogeneità e della differenziazione delle capacità e dei requisiti posseduti dai componenti del raggruppamento, in quanto i due soggetti che ne fanno parte dispongono entrambi dei requisiti di qualificazione richiesti.

Neppure ricorre l’autonomia delle prestazioni oggetto di gara: la procedura in questione attiene ad un’unica ed unitaria tipologia di servizio “il noleggio, con gestione full service di dispositivi” come indicato nel Capitolato Speciale di Appalto, la cui esecuzione richiede la sommatoria di varie operazioni, che non sono però suscettibili di dar luogo ad autonomi servizi o ad attività prestazioni differenziabili, tra le quali individuare una gerarchia di valore ed una diversificazione in termini di principalità ed accessorietà.

L’oggetto del contratto è unitario e l’indicazione delle parti materiali dell’unico complesso servizio oggetto di gara costituisce la mera risposta fornita dalle ditte partecipanti al raggruppamento alla prescrizione contenuta nel disciplinare di gara che imponeva ai partecipanti al raggruppamento di indicare le “parti” (e non le “quote” come correttamente rilevato dall’appellante) del servizio che concretamente avrebbero svolto.

In sostanza, quindi, la ripartizione dichiarata dalle componenti dell’ATI appellante non integra i presupposti per la qualificazione del raggruppamento come “verticale”, ma costituisce soltanto la risposta alla richiesta contenuta nel disciplinare di indicazione delle parti di servizio svolte da ciascuna di esse.

 

(Cons.St.,sez. III, 21/01/2019 n. 517)


La validità del contratto di avvalimento va accertata!

La Quinta sezione del Consiglio di Stato con sentenza del 30 gennaio 2019 afferma il principio per cui la validità di un contratto di avvalimento va accertata in concreto dalla Stazione Appaltante applicando le regole civilistiche delle clausole contrattuali. Il contratto è nullo se reca clausole generiche o meramente riproduttive del dato normativo o degli atti di gara.

La pronuncia affronta la questione della indeterminatezza di un contratto di avvalimento che in primo grado, secondo il ricorrente, sarebbe stato erroneamente qualificato come avvalimento operativo (avente cioè a oggetto requisiti diversi rispetto a quelli di capacità economico-finanziaria) mentre avrebbe dovuto essere considerato come mero avvalimento di garanzia e quindi non dichiarato come indeterminato.

Nell’avvalimento di garanzia, l’impresa ausiliaria si limita a mettere a disposizione il suo valore aggiunto in termini di solidità finanziaria e di acclarata esperienza di settore; non è conseguentemente necessario che la dichiarazione negoziale costitutiva dell’impegno contrattuale si riferisca a specifici beni patrimoniali o a indici materiali atti a esprimere una certa e determinata consistenza patrimoniale.

E’ sufficiente che dalla ridetta dichiarazione emerga l’impegno contrattuale a prestare e a mettere a disposizione dell’ausiliata la complessiva solidità finanziaria e il patrimonio esperienziale, così garantendo una determinata affidabilità e un concreto supplemento di responsabilità

I giudici, tuttavia, richiamano la consolidata giurisprudenza secondo la quale al fine di evitare che il rapporto di avvalimento si trasformi in una sorta di “scatola vuota”, è necessario che l’ausilio contrattualmente programmato e prefigurato sia effettivo e concreto, essendo inidonei impegni del tutto generici, che svuoterebbero di significato l’essenza dell’istituto.

Per questo motivo il ricorso  viene rigettato, con la precisazione che al di là della tipologia di requisito prestato (capacità economico-finanziaria o capacità tecnico-professionale), per comprendere se un contratto di avvalimento sia nullo per indeterminatezza, occorre avere riguardo al contenuto specifico del singolo contratto (natura e tipologia delle prestazioni, oggetto delle obbligazioni concretamente assunte dall' impresa ausiliaria). Il contratto sarà nullo se reca «formule contrattuali del tutto generiche, ovvero meramente riproduttive del dato normativo o contenenti parafrasi della clausola della lex specialis descrittiva del requisito oggetto dell'avvalimento stesso».

In caso contrario la Stazione Appaltante non sarebbe messa in grado né di comprendere quali siano gli impegni concretamente assunti dall' ausiliaria nei confronti della concorrente, né di verificare e controllare, in sede di gara e di esecuzione, che la messa a disposizione del requisito non sia meramente cartolare, bensì corrisponda a una prestazione effettiva di attività e di mezzi da una impresa all' altra.

Sia nel caso di avvalimento cosiddetto di garanzia, che in quello di avvalimento cosiddetto tecnico o operativo, è necessario che l'indagine circa l'efficacia del contratto allegato sia effettuata «sulla base delle generali regole sull' ermeneutica contrattuale, e, segnatamente, secondo i canoni enunciati dal codice civile di interpretazione complessiva e secondo buona fede delle clausole contrattuali.

(Cons. St., Sez. V, 30/2/2019, n.755)


Difetto parziale di sottoscrizione: sì al soccorso istruttorio!

Con sentenza del 22 gennaio, il Tar Sardegna ha ritenuto che il difetto parziale di sottoscrizione possa essere sanato mediante soccorso istruttorio e, quindi, non costituisce causa di immediata esclusione del concorrente interessato.

Nel caso affrontato, il ricorrente, secondo classificato, impugna il provvedimento di aggiudicazione, ritenendo che l'impresa aggiudicataria dovesse essere esclusa dalla gara per avere presentato l’offerta tecnica e quella economica recanti la sottoscrizione di uno solo dei propri due amministratori.

Una siffatta carenza doveva determinare l’esclusione immediata del concorrente perché relativa ad un elemento dell’offerta non meramente formale ma essenziale e non sanabile mediante il soccorso istruttorio, che trova un ostacolo insuperabile nell’art. 83 del D. Lgs. n. 50/2016, ribadito peraltro dallo stesso disciplinare di gara.

Per il giudice amministrativo, invece, la fattispecie in esame non integra nessuna delle ipotesi in cui il soccorso istruttorio è vietato dalla legge, in particolare né quella dei “vizi dell’offerta”, essendo la stessa compiutamente formulata e sottoscritta da uno degli amministratori della società, il che è sufficiente a comprovarne la riconducibilità a quest’ultima, ma nemmeno l’ipotesi di vizi inficianti “l’individuazione del soggetto responsabile”, per la stessa ragione.

L’offerta recante la sottoscrizione di uno solo degli amministratori deve essere correttamente inquadrata non tra le ipotesi di omessa sottoscrizione in senso proprio, ma nella meno grave fattispecie di “non corretta spendita del potere rappresentativo”, che opera sul piano della efficacia e non su quello della validità.

Ne consegue che si è in presenza di mera incompletezza della sottoscrizione, la quale non preclude la riconoscibilità della provenienza dell’offerta e non comporta un’incertezza assoluta sulla stessa, inducendo a ritenere il vizio sanabile mediante il soccorso istruttorio e non idoneo a determinare l’immediata ed automatica esclusione dalla procedura selettiva.

(Tar Sardegna,Cagliari, sez. I, 22/01/2019 n. 34)


Concessione del servizio di distribuzione del gas: ammesso l’accorpamento di due ambiti territoriali in un'unica procedura.

Il Consiglio di Stato, con una recentissima sentenza, si esprime sulla possibilità di accorpare, in un’unica procedura per l’affidamento della concessione del servizio di distribuzione del gas due ambiti territoriali.

Nel caso affrontato, la provincia di Cremona aveva pubblicato un bando di gara relativamente alla procedura aperta “per l'affidamento della concessione del servizio di distribuzione del gas negli ambiti territoriali confinanti aggregati Cremona 2 e Cremona 3”, in attuazione a quanto previsto dall’art. 46-bis della legge n. 222 del 2007, il quale ha innovato la regolamentazione del settore della distruzione del gas naturale, passando da un sistema di affidamento del servizio mediante gara disposta dai singoli Comune ad uno incentrato sulle cd. gare d’ambito, aventi una dimensione necessariamente sovracomunale.

La società G.E.I. s.p.a. propone prima ricorso al Tribunale amministrativo della Lombardia, deducendo l’illegittimità del bando specificamente per il fatto che la gara fosse stata indetta congiuntamente da due ambiti, in asserita violazione dell’obbligo di affidare il servizio per ciascun singolo bacino e poi  in appello, eccependo tra i vari motivi che il potere di individuazione degli ambiti sarebbe riservato dalla legge all’esclusiva competenza ministeriale, ai sensi dell’art. art. 46-bis, comma 2, del d.l. n. 159 del 2007.

Secondo i Giudici del Consiglio di Stato l’art. 46-bis, comma 2, del d.l. 1° ottobre 2007, n. 159, da un lato, devolve alla competenza ministeriale solamente l’individuazione degli ambiti territoriali “minimi” (questione diversa rispetto all’oggetto del ricorso), dall’altro non contiene alcuna previsione ostativa all’aggregazione tra ambiti, previo accordo tra enti locali. Piuttosto, all’opposto, dispone che i predetti Ministri determinino anche le “misure per l’incentivazione delle relative operazioni di aggregazione

La ratio dell’art. 46-bis del d.l. n. 159 del 2007- disciplinante la creazione degli ambiti territoriali minimi per lo svolgimento delle gare di affidamento del servizio di distribuzione del gas, definiti come “bacini ottimali di utenza, in base a criteri di efficienza e riduzione dei costi” – è  proprio quello di incentivare le operazioni di aggregazione per meglio perseguire lo scopo indicato dal preambolo del d.m. 19 gennaio 2011, che tende alla rimozione degli ostacoli posti allo sviluppo della concorrenza mediante l’ampliamento dell’area di gestione del servizio di distribuzione del gas naturale rispetto alle attuali concessioni e prevede che ciascun ambito territoriale minimo rappresenti “un insieme minimo di Comuni i cui relativi impianti di distribuzione, a regime, dovranno essere gestiti da un unico gestore”.

Ne consegue che, nel caso trattato è legittimo l’operato della provincia che ha accorpato in un’unica procedura per l’affidamento della concessione del servizio di distribuzione del gas – e con assegnazione di un unico lotto – due dei tre ambiti territoriali della provincia in questione.

(Cons. St. sez. V, 17/01/2019, n. 427)

 

 


Società in house e affidamenti diretti: il Consiglio di Stato interroga la Corte di Giustizia.

Con ordinanza, i Giudici di Palazzo Spada hanno sottoposto al vaglio della Corte di Giustizia UE due questioni pregiudiziali concernenti la normativa italiana sulle società in house e l’affidamento diretto a questi organismi anche dei servizi disponibili sul mercato in concorrenza.

Il Consiglio di stato, in sostanza, chiede ai Giudici europei se la disciplina nazionale sia o meno in contrasto con i principi del trattato e con le direttive appalti del 2014.

La sentenza di primo grado appellata aveva dichiarato legittimo l'affidamento diretto, da parte di un Comune, del servizio di igiene urbana in favore della società in house pluripartecipata dal Comune e sotto controllo analogo congiunto.

L’appellante, tra i vari motivi, eccepiva la violazione dell'articolo 192, comma 2 del d.lgs 50/2016 in quanto «non sembravano avere avuto rilievo né le ragioni del mancato ricorso al mercato, né gli specifici benefìci per la collettività connessi alla forma di affidamento prescelta» (in house) di cui all'articolo 192 del codice dei contratti pubblici.

L’articolo 192, comma 2, del Codice degli appalti pubblici, impone che l’affidamento in house di servizi disponibili sul mercato (come riguardati dalla presente controversia) sia assoggettato a una duplice condizione:

  1. l’obbligo di motivare le condizioni che hanno comportato l’esclusione del ricorso al mercato, condizione che, a dire dei Giudici, muove dal ritenuto carattere secondario e residuale dell’affidamento in house, che appare poter essere legittimamente disposto soltanto in caso dimostrato ‘fallimento del mercato’  rilevante a causa di prevedibili mancanze in ordine a “gli obiettivi di universalità e socialità, di efficienza, di economicità e di qualità del servizio, nonché di ottimale impiego delle risorse pubbliche” (risultando altrimenti tendenzialmente precluso), cui la società in house invece supplirebbe;
  2. la seconda condizione consiste nell’obbligo di indicare, a quegli stessi propositi, gli specifici benefìci per la collettività connessi all’opzione per l’affidamento in house.

I Giudici si soffermano sullo sfavore riservato dalla normativa italiana all'affidamento in house rispetto alle usuali forme di appalto.

L’altro dubbio sollevato dai Giudici riguarda il contrasto con l'art. 4, comma 1 del Testo unico sulle società partecipate, ai sensi del quale «le amministrazioni pubbliche non possono, direttamente o indirettamente, costituire società aventi per oggetto attività di produzione di beni e servizi non direttamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, né acquisire o mantenere partecipazioni, anche di minoranza, in tali società».

Ciò premesso, il Consiglio di stato, dubitando, che le disposizioni del diritto interno, nel subordinare gli affidamenti in house a condizioni aggravate e a motivazioni rafforzate rispetto alle altre modalità di affidamento, siano autenticamente compatibili con le pertinenti disposizioni e principi del diritto primario e derivato dell’Unione europea, ha rimesso gli atti alla decisione della Corte di giustizia europea.

(Cons. St., Sez. V, 7/1/2019, n.138)

 


L'omessa comunicazione di vicende inerenti contratti con altre amministrazioni non determina necessariamente l'esclusione.

Con una recente sentenza, il Consiglio di Stato si è pronunciato in tema di conseguenze dell'omessa comunicazione di vicende sfavorevoli relative a precedenti contratti con altre amministrazioni pubbliche.

I Giudici di Palazzo Spada ritengono che non sarebbe giustificata l'esclusione del partecipante che non abbia comunicato alla Stazione Appaltante alcune vicende a sé sfavorevoli relative a precedenti  contratti con altre amministrazioni pubbliche, quando comunque la stazione appaltante ne sia venuta a conoscenza prima ancora di determinarsi sulla valutazione di anomalia dell'offerta e prima dell'aggiudicazione della gara e abbia ritenuto tali vicende non rilevanti al fine di elidere l'affidabilità o l'integrità dell'offerente.

Nel caso specifico, l'impresa appellante, seconda classificata, aveva contestato la mancata esclusione dell'impresa aggiudicataria della procedura di gara per l'omessa dichiarazione di un precedente provvedimento di esclusione da un'altra gara dovuto ad una irregolarità fiscale. La stazione appaltante, quindi, ne era venuta a conoscenza, perché informata dall'appellante.

La causa di esclusione di cui all’art. 80, comma 5, lett. c) del d.lgs. n. 50 del 2016 trova applicazione nel caso in cui, per effetto del silenzio serbato dall’offerente, la stazione appaltante viene messa nella condizione di non aver conoscenza di uno o più precedenti significativi in grado di orientarne il giudizio.

In questi termini, viene considerata condotta idonea ad integrare la dimostrazione, ad opera della stazione appaltante, che l’operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali l’aver fornito, anche per negligenza, informazioni false o fuorvianti suscettibili di influenzare le decisioni sull'esclusione, la selezione o l’aggiudicazione ovvero l'omettere le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione.

Ciò non si verifica quando l’amministrazione abbia ritenuto, all’esito di una valutazione eminentemente discrezionale e, in ogni caso, completa, che tali circostanze non rilevassero in danno dell’offerta della concorrente prima graduata. Valutazione che non risulta affetta da palesi vizi di erroneità, contraddittorietà o abnormità, vizi peraltro che la stessa appellante neppure ha denunziato.

(Cons. St., Sez. V, 9/1/2019, n. 196)

 


Appalti pubblici: necessaria la dichiarazione di opere e servizi che si intendono subappaltare.

Con sentenza recentissima, il TAR Lazio rileva la necessità, ex art. 105, comma 4, del d.lgs. n. 50/2016 , che in sede di offerta venga dichiarata la parte di servizi che il concorrente intenda subappaltare e tale dichiarazione deve risultare specifica soprattutto qualora si tratti di un' ipotesi di subappalto necessario.

Va peraltro esclusa, in caso di mancata dichiarazione, nell'ipotesi di subappalto necessario, la possibilità di ricorrere all'istituto del soccorso istruttorio ex articolo 83, comma 9 del codice dei contratti pubblici.

In tal modo, infatti, si consentirebbe all'impresa non di sanare un vizio formale ma sostanzialmente di modificare l'offerta, integrandola con la previsione di un subappalto necessario (indispensabile  per il possesso dei requisiti di gara) inizialmente non previsto.

L'incompletezza dell'offerta, in caso di  mancata indicazione specifica delle opere o servizi che si intendono subappaltare, deriverebbe dal fatto che non si specificherebbe in che modo  venga eseguita la parte per la quale l'azienda offerente è carente dei requisiti.

Per questo motivo il Tar rigetta il ricorso presentato dall'impresa che si era limitata a dichiarare l’intenzione di ricorrere al subappalto genericamente per i lavori o le parti di opere appartenenti alla categoria prevalente OS28, senza alcuna specificazione sull'intenzione di affidare in subappalto il ruolo di Terzo Responsabile.

(TAR Lazio Roma, Sez. I bis, 7/1/2019, n. 146)


Le gare come regola nelle concessioni: l’AGCM invia segnalazione al Governo.

L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, nella propria riunione del 12 dicembre 2018, ha deliberato di inviare una segnalazione a Governo e Parlamento sullo stato attuale delle concessioni amministrative in Italia, sottolineando le principali criticità concorrenziali riscontrate in alcuni mercati a seguito dell’utilizzo distorto dello strumento concessorio.

I settori analizzati sono: Autostrade, aeroporti, distribuzione del gas, grandi derivazioni d’acqua per uso idroelettrico, concessioni portuali e marittime, concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative, posteggio per commercio su aree pubbliche, Poste – Servizio Postale Universale, radiotelevisione, frequenze della banda 700 MHz per i servizi di telecomunicazione mobile (5G) e rinnovo dei diritti d’uso.

L’Autorità segnala che le gare devono costituire la regola nell’affidamento delle concessioni; la loro ampiezza e durata devono essere limitate e giustificate dalle esigenze di natura tecnica ed economica e dalle caratteristiche degli investimenti; andrebbero eliminati i casi di preferenza per i gestori uscenti o per l’anzianità acquisita, nonché evitati rinnovi automatici e proroghe.

La segnalazione contiene proposte di modifica della normativa vigente, raccomandazioni alle amministrazioni concedenti, finalizzate a garantire un maggiore confronto concorrenziale tra gli operatori del mercato e a migliorare la qualità, anche in termini di sicurezza, del servizio reso alla collettività.

( AGCM, S3470)

 


Ambiente: l’UE dichiara guerra alla plastica.

Dopo le scoraggianti notizie diffuse dagli scienziati Onu sul cambiamento climatico e l’appello ai Governi di tutto il mondo, affinché si intervenga al più presto per evitare il collasso globale, qualcosa in Europa si è mosso.

Stop a cotton-fioc, posate, piatti, cannucce e tutti i prodotti monouso di plastica, che da soli rappresentano il 70% dell’inquinamento delle spiagge e degli oceani. Tali prodotti saranno vietati nell’Unione Europea, a partire dal 2021.

Inoltre le bottiglie in PET dovranno essere fatte per il 25% da materiale riciclato dal 2025, percentuale che sale al 30% dal 2030. L’obiettivo di raccolta delle bottiglie di plastica sale al 90% entro il 2029.

L’accordo con il Consiglio è stato raggiunto dopo mesi di negoziati e la relazione del Parlamento europeo di ottobre, dopo che la Commissione aveva depositato la propria proposta a fine maggio.

Sul testo la Commissione Ambiente voterà a gennaio 2019. Entro due anni dalla pubblicazione sulla Gazzetta UE, i Paesi membri dovranno recepire la direttiva.

Secondo il Parlamento Europeo tali misure permetteranno di evitare l’emissione di 3,4 milioni di tonnellate di equivalente Co2 e di far risparmiare 6,5 miliardi di euro ai consumatori.

Il prossimo obiettivo è quello di tassare i produttori di plastica con un’applicazione rafforzata del principio chi inquina paga. Una guerra dichiarata quindi, alla quale le imprese si spera prenderanno parte al più presto, schierandosi dalla parte giusta.