Illeciti professionali: l’operatore deve dichiarare tutto quanto a propria conoscenza, anche se oggetto di transazione.

Il gestore uscente del servizio di vigilanza ricorre al TAR dolendosi dell’illegittimità dell’aggiudicazione del medesimo servizio ad altra società sia per motivi attinenti all’ammissione di quest’ultima alla gara, che per ragioni inerenti la propria esclusione.

In particolare, i fatti e gli accadimenti che hanno condotto all’esclusione della ricorrente dalla gara sono scaturiti da un contenzioso tra la ricorrente e propri dipendenti in relazione alla edizione precedente del medesimo servizio in appalto.

Lamenta la ricorrente che le contestazioni insorte rispetto ai propri dipendenti avevano ad oggetto pretese afferenti la conclusione del rapporto di lavoro (come ferie non godute e TFR), per un valore complessivo minimo rispetto a quello dell’appalto (circa 100.000 euro rispetto ad un valore della commessa pari a circa 5.000.000 di euro), e che, comunque, erano state definite con un accordo transattivo stipulato con le parti interessate (“a meri fini conciliativi e senza riconoscimento” di alcuna pretesa o fondamento di pretese altrui) e con la stessa SA (che adottava il provvedimento espulsivo immediatamente dopo aver siglato l’accordo).

Secondo la ricorrente, non sussisterebbero i presupposti per l’esclusione in quanto a) non si tratta di inadempimenti contrattuali accertati con sentenza passata in giudicato o comunque contestati in giudizio e comunque si tratta di vertenze definite alla data dell’adozione del provvedimento di esclusione; b) non si tratta di inadempimenti gravi, né di inadempimenti riferibili all’appalto, durante lo svolgimento del quale non ci sono state contestazioni di alcun genere; c) non sussistono condanne alla risoluzione o al risarcimento.

Osserva il Collegio che le valutazioni che l’Ordinamento rimette alla S.A. circa la rilevanza dell’errore professionale ai fini dell’esclusione di una concorrente da una gara di appalto, costituiscono oggetto di una riserva di giudizio molto ampia, che il giudice non può sostituire con proprie valutazioni.

Per questa ragione, non spetta al concorrente operare un filtro sui fatti e sugli elementi che possono avere rilievo in ordine alla valutazione dell’esistenza o meno di gravi illeciti professionali, avendo l’obbligo di dichiarare tutto quanto a propria conoscenza in modo da consentire alla PA di operare le necessarie valutazioni, senza poter escludere pregresse risoluzioni contrattuali neppure sulla base della “natura della risoluzione in termini di “bonaria”, o “amichevole”… posto il fatto che vi è un inadempimento riscontrato e contestato formalmente ed in ogni caso non incide sulla portata del combinato disposto dell’ art. 8, commi 2, lett. p), e 4 d.P.R. n. 207 del 2010 , che onera le “amministrazioni aggiudicatrici” a segnalare all’ANAC gli “episodi di grave negligenza o errore grave nell’esecuzione dei contratti ovvero gravi inadempienze contrattuali”, a prescindere dalla tipologia di risoluzione contrattuale scaturitane…”.

In giurisprudenza è stato anche ritenuto che “la transazione stipulata a seguito della risoluzione contrattuale disposta dalla stazione appaltante per grave inadempimento impedisce l’accertamento giudiziale circa la legittimità o meno della risoluzione stessa, ma determina definitivamente il consolidamento del fatto storico costituito dalla risoluzione per inadempimento disposta dalla stazione appaltante, che richiede, ai sensi dell’art. 1455 c.c., l’importanza e quindi la gravità dell’inadempimento. Tale circostanza (risoluzione contrattuale composta mediante transazione), integra comunque il presupposto del grave errore nell’esecuzione della prestazione, rilevante ai sensi dell’art. 38, comma 1, lett. f) del D.Lgs. n. 163/06. Pertanto deve essere dichiarata in sede di partecipazione, potendo rilevare potenzialmente come grave illecito professionale, la risoluzione di un contratto d’appalto seppur poi si è giunti a transazione, non potendo il concorrente dichiarante omettere di rendere la dichiarazione facendo riferimento ad una propria valutazione di non gravità della vicenda (Cons. St., Sez. III, 13/06/2018, n. 3628).

Ritiene inoltre il Collegio che non sussistono i presupposti di rilevanza della questione per sospendere il giudizio in attesa della pronuncia della Corte di giustizia UE; all’evidenza, infatti, nella fattispecie in esame non sussiste un contenzioso giudiziario; né è prevedibile che esso possa insorgere, essendo intervenuta una transazione; inoltre, la fattispecie è relativa al rapporto pregresso tra Amministrazione procedente e ricorrente, non tra quest’ultima ed Enti terzi con istruttoria condotta direttamente dalla stessa Amministrazione sulla base di elementi di fatto e documentali che la S.A. ha autonomamente acquisito (su indicazioni di dipendenti della ricorrente e su iniziativa di questi ultimi).

Viene invece in rilievo quell’orientamento, sia pure allo stato minoritario, secondo cui “l’ art. 80, comma 5, lett. c), d.lg. 18 aprile 2016, n. 50 non comporta una preclusione automatica della valutazione discrezionale da parte della stazione appaltante della gravità di inadempienze che, pur non immediatamente riconducibili a quelle tipizzate, quanto agli effetti prodotti, siano tuttavia qualificabili come «gravi illeciti professionali» e siano perciò ostative alla partecipazione alla gara perché rendono dubbie l’integrità o l’affidabilità del concorrente; piuttosto, in tale eventualità — vale a dire quando esclude dalla partecipazione alla gara un operatore economico perché considerato colpevole di un grave illecito professionale non compreso nell’elenco dell’art. 80, comma 5, lett. c) — la stazione appaltante dovrà adeguatamente motivare in merito all’esercizio di siffatta discrezionalità (che concerne la gravità dell’illecito, non la conseguenza dell’esclusione, che è dovuta se l’illecito è considerato grave) e dovrà previamente fornire la dimostrazione della sussistenza e della gravità dell’illecito professionale contestato con «mezzi adeguati»; ne consegue chein relazione a quanto previsto dall’ art. 80, comma 5, lett. c ), del decreto legislativo n. 50 del 18 aprile 2016, il pregresso inadempimento rileva a fini escludenti, qualora assurga al rango di «grave illecito professionale», tale da rendere dubbia l’integrità e l’affidabilità dell’operatore economico, anche se non abbia prodotto gli effetti risolutivi, risarcitori o sanzionatori tipizzati dalla norma stessa. Pertanto, è rimessa alla discrezionalità della stazione appaltante la valutazione della portata di pregressi inadempimenti che non abbiano (o non abbiano ancora) prodotto questi effetti specifici; in tale eventualità, però, i correlati oneri di prova e di motivazione sono ben più rigorosi ed impegnativi rispetto alle ipotesi esemplificate nel testo di legge e nelle linee guida. Non appare incompatibile con la direttiva 2014/24/UE (art. 57, comma 4) la scelta compiuta dal legislatore italiano che ha disciplinato l’esclusione per grave illecito professionale in termini di obbligatorietà ed ha costruito la figura come un genus (pressoché coincidente con la causa di esclusione individuata dalla lett. c ) di detto art. 57, comma 4) all’interno della quale è possibile collocare le più diverse fattispecie, alcune delle quali sono esemplificate nello stesso art. 80, comma 5 (con inclusione nell’elenco di ipotesi che la direttiva ha considerato separatamente”.

(TAR Lazio Roma, Sez. II ter, 19/11/2018, n. 11172)