accreditamento consorziata esecutrice appalti

Accreditamento della cooperativa consorziata esecutrice negli appalti pubblici

accreditamento consorziata esecutrice appaltiL’accreditamento, oltre a costituire il titolo abilitativo indispensabile per l’erogazione di servizi sanitari da parte di privati inseriti continuativamente e sistematicamente nell’organizzazione della pubblica amministrazione e con costi a carico della collettività, può essere anche richiesto come requisito di partecipazione negli appalti pubblici nel settore socio-sanitario.

In tali casi, con particolare riferimento alla partecipazione dei consorzi, si pone la questione se possa essere accreditato solo il consorzio, o se debbano esserlo anche le consorziate esecutrici del servizio.

Sulla questione si è espresso di recente il TAR Campania, che ha innanzitutto sottolineato che l’accreditamento  consente di verificare che le prestazioni rese dal soggetto siano appropriate e coerenti con gli indirizzi della programmazione regionale, soddisfacendo le esigenze di un utilizzo efficiente e razionale delle risorse pubbliche e di elevati livelli prestazionali di tutela della salute e di cura.

Pertanto, nei settori di riferimento, l’accreditamento si configura quale presupposto di un rapporto contrattuale conformato da finalità pubblicistiche e, pertanto, anche come requisito di partecipazione ineludibile agli appalti pubblici e deve essere posseduto dalle consorziate indicate come effettive esecutrici del servizio.

Il TAR non ha ritenuto rilevante la circostanza che il consorzio in questione fosse un consorzio di cooperative sociali ai sensi dell’art. 45, co. 2, lett. b, del Codice dei contratti pubblici. I princìpi giurisprudenziali per cui concorrente è solo il consorzio e non le consorziate esecutrici, che all’occorrenza possono anche essere estromesse o sostituite, sono infatti pacificamente affermati per i requisiti di capacità tecnico-professionale, mentre nel caso di specie rileverebbe un requisito di natura soggettiva che si consegue con il rilascio del titolo abilitativo all’esercizio di attività di assistenza e di cura e dunque relativo alla idoneità professionale degli operatori (art. 83, co. 1, lett. a del Codice dei contratti pubblici).

Pertanto, conclude il TAR, in ragione della natura stessa dell’accreditamento, questo deve essere posseduto da tutte le imprese partecipanti all’effettiva esecuzione dell’appalto e dunque dalle consorziate esecutrici.

TAR Campania, Napoli, 21/09/2020, n. 3945


Appalti al Volo

Appalti al volo – Aggiudicazioni, comunicazioni, pubblicazioni e impugnazioni

Nella nuova puntata del podcast Appalti al volo si parla degli obblighi di comunicazione e pubblicazione dell’aggiudicazione da parte delle stazioni appaltanti e della decorrenza del termine di impugnazione dopo la sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 12/2020.

L’ospite della puntata è Veronica Varone, avvocato amministrativista che si occupa di terzo settore, appalti e trasparenza.

Per suggerire nuovi temi e possibili ospiti per le prossime puntate è possibile scrivere a appaltialvolo@legal-team.it

Il podcast si può ascoltare comodamente accedendo al sito Legal Team nella sezione “Appalti al volo” oppure dal proprio smartphone nelle app Spreaker, Apple Podcasts, Spotify o semplicemente cliccando sulle icone in basso:

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semplificazioni terzo settore appalti

Decreto Semplificazioni: finalmente il Codice dei contratti pubblici si relaziona con il Codice del Terzo settore

semplificazioni terzo settore appaltiIl rapporto fra Codice dei contratti pubblici e Codice del Terzo settore è stato oggetto di un’ampia discussione negli ultimi anni. In particolare, si è dibattuto circa l’utilizzo di istituti quali la co-progettazione (art. 55 CTS) o le convenzioni (art. 56 CTS), con i quali l’amministrazione può coinvolgere i soggetti del privato sociale nella gestione di servizi – solitamente servizi sociali – che avrebbero altresì potuto essere affidati con procedure ai sensi del Codice dei contratti pubblici e delle direttive dell’Unione europea da questo recepite.

Dopo una fase in cui gli istituti collaborativi con gli enti del Terzo settore erano stati guardati con sospetto, in seguito al parere del Consiglio di Stato che, nel 2018, aveva ritenuto dovesse prevalere sempre la disciplina sugli appalti pubblici, più di recente si sono susseguiti alcuni segnali di apertura nei confronti dell’autonomia della disciplina del Codice del Terzo settore, a partire dal parere del Consiglio di Stato sullo schema di Linee guida ANAC sugli affidamenti di servizi sociali (Sez. atti norm., n. 3235/2019), cui aveva fatto seguito la previsione nel decreto Cura Italia della possibilità di utilizzare la co-progettazione nell’ambito della rimodulazione dei servizi sociali nel corso dell’emergenza sanitaria causata dal Covid-19 e, da ultimo, la sentenza della Corte costituzionale che, in un lungo inciso, valorizza lo spirito collaborativo che caratterizza i rapporti degli enti del Terzo settore con la pubblica amministrazione e gli istituti di cui all’art. 55 del Codice del Terzo settore (Corte costituzionale, 26/06/2020, n. 131).

In tale contesto, la legge di conversione del decreto Semplificazioni (l. 11/09/2020, n. 120) inserisce alcuni riferimenti al Titolo VII del Codice del Terzo settore – quello appunto che disciplina i rapporti con gli enti pubblici – nel corpo del Codice dei contratti pubblici (cfr. art. 8, co. 5, del decreto-legge come modificato dalla legge di conversione).

In particolare:

  • Il co. 8 dell’art. 30, che reca i “principi per l’aggiudicazione e l’esecuzione di appalti e concessioni” precisa oggi che, per quanto non espressamente previsto dal Codice stesso, “alle procedure di affidamento e alle altre attività amministrative in materia di contratti pubblici nonché di forme di coinvolgimento degli enti del Terzo settore previste dal titolo VII del decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117 si applicano le disposizioni di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241”;
  • Al co. 1, dell’art. 59, che disciplina le procedure di scelta del contraente, affermando che “nell’aggiudicazione di appalti pubblici, le stazioni appaltanti utilizzano le procedure aperte o ristrette”, viene premessa la precisazione “fermo restando quanto previsto dal titolo VII del decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117”;
  • Analoga clausola viene inserita al co. 1 dell’art. 140, che disciplina gli appalti di servizi sociali, principale settore di utilizzo degli istituti in questione.

In realtà, quando da più parti si auspicava un raccordo tra i due Codici, presumibilmente si prefigurava un intervento più organico di quello appena descritto. Peraltro, i tre inserimenti non appaiono a prima lettura del tutto coerenti fra loro: la nuova formulazione dell’art. 30 potrebbe essere intesa nel senso di un’applicazione del Codice dei contratti pubblici agli istituti collaborativi del CTS, mentre le modifiche agli artt. 59 e 140 tutelano l’autonomia della disciplina di tali diverse modalità di relazione fra pubblico e privato (“fermo restando”).

Anche tali formule più pregnanti, comunque, lasciano aperti alcuni interrogativi, fra cui quelli relativi alle concrete modalità di svolgimento delle procedure e agli affidamenti sopra soglia.

Ciononostante, la modifica innegabilmente riconosce la possibile sovrapposizione delle due discipline e al contempo l’autonomia del Codice del Terzo settore, superando la posizione del parere del Consiglio di Stato dell’automatica prevalenza della disciplina degli appalti pubblici.

Alla luce degli sviluppi degli ultimi mesi, sia apre ora una nuova primavera per l’utilizzo degli istituti in questione, con l’auspicio che questa sia anche l’occasione per perfezionarli e che l’approccio delle pubbliche amministrazioni non sia quello della ricerca di soluzioni più facili o economiche, ma che si comprenda il peculiare significato del coinvolgimento degli enti del Terzo settore, confrontandosi con la sfida della misurabilità del valore apportato dagli enti stessi.

L. 11/09/2020, n. 120 


requisiti appalti centri antiviolenza

I requisiti soggettivi per la partecipazione agli appalti pubblici per la gestione dei centri antiviolenza

requisiti appalti centri antiviolenzaGli appalti pubblici per la gestione dei centri antiviolenza e le case rifugio per le donne vittime di violenza sono disciplinati, oltre che dal Codice dei contratti pubblici e dalla normativa di settore dei servizi sociali, da alcune disposizioni specifiche, volte a garantire l’adozione di un corretto approccio al fenomeno della violenza di genere.

In tale contesto sono previsti, fra l’altro, specifici requisiti soggettivi per gli operatori che ambiscano a gestire i centri antiviolenza e le case rifugio, che devono innanzitutto “operare nel settore del sostegno e dell’aiuto alle donne vittime di violenza”, aver “maturato esperienze e competenze specifiche in materia di violenza contro le donne” e utilizzare “una metodologia di accoglienza basata sulla relazione tra donne, con personale specificamente formato” (così l’art. 5-bis, co. 3, d.l. 14 agosto 2013, n. 93, conv. con mod. dalla l. 15 ottobre 2013, n. 119).

In attuazione del d.P.C.M. 24 luglio 2014 (confermato sul punto dal d.P.C.M. 4 novembre 2019), i requisiti minimi che i centri antiviolenza e le case rifugio devono possedere, anche per poter accedere al riparto delle risorse finanziarie di cui al d.l. n. 93/2013, sono stati stabiliti con l’intesa della Conferenza unificata del 27 novembre 2014, che ha precisato che i soggetti gestori dei centri antiviolenza e delle case rifugio debbano essere iscritti agli albi o registri regionali del Terzo settore o ad albi regionali appositi e “avere nel loro Statuto i temi del contrasto alla violenza di genere, del sostegno, della protezione e dell’assistenza delle donne vittime di violenza e dei loro figli quali finalità esclusive o prioritarie, coerentemente con quanto indicato con gli obiettivi della Convenzione di Istanbul” ovvero “dimostrare una consolidata e comprovata esperienza almeno quinquennale nell’impegno contro la violenza alle donne”. La richiamata Convenzione di Istanbul è la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, adottata a Istanbul l’11 maggio 2011 e ratificata dall’Italia nel 2013.

In tale contesto, devono essere considerate anche alcune sfumature presenti nella disciplina a livello regionale, in quanto, ad esempio, alcune regioni hanno precisato i requisiti previsti dall’Intesa oppure istituito appositi albi regionali (fra queste ultime, la Lombardia e il Piemonte).

I requisiti in questione devono assumere rilevanza, evidentemente, anche nella redazione dei bandi di gara con cui le amministrazioni locali affidano la gestione dei centri di propria titolarità a soggetti privati.

Infatti, quella in esame costituisce una delle ipotesi in cui, nell’individuazione da parte della stazione appaltante dei requisiti di partecipazione – rimessa alla discrezionalità dell’amministrazione, purché i requisiti risultino “attinenti e proporzionati all’oggetto dell’appalto” ai sensi dell’art. 83 del Codice dei contratti pubblici – è necessario considerare anche quanto previsto dalla normativa di settore applicabile in base all’oggetto dell’appalto, dovendo il gestore del servizio soddisfare tutti i presupposti necessari per svolgere la relativa attività.

Nel caso di specie, la disciplina sui requisiti per la partecipazione agli appalti per l’affidamento della gestione di centri antiviolenza e case rifugio risulta senz’altro meritevole di un ulteriore rafforzamento, anche per garantire una effettiva attuazione della Convenzione di Istanbul. In particolare, l’Intesa risulta poco efficace ove sembra porre quale alternativi il possesso dell’oggetto statutario e della consolidata e comprovata esperienza almeno quinquennale, fermo restando che esperienze e competenze specifiche in materia di violenza contro le donne sono comunque richieste dal d.l. n. 93/2013.

Anche nel quadro normativo vigente, in ogni caso – alla luce del contesto descritto, oltre che dei princìpi generali in materia di partecipazione agli appalti pubblici – è doveroso che la stazioni appaltanti formulino in modo adeguato e consapevole la richiesta dei requisiti per la partecipazione alle gare nel settore in questione, anche nel solco della giurisprudenza sugli appalti di servizi sociali sulla questione della richiesta ai concorrenti di esperienza in servizi identici (e non meramente analoghi) a quelli oggetto della gara, giurisprudenza che valorizza aspetti di “particolarità del servizio” senz’altro ricorrenti nel caso dei centri antiviolenza e delle case rifugio (TAR Lazio, Roma, Sez. II-bis, 3 luglio 2019, n. 8721; cfr. anche ANAC, parere 23 marzo 2011, n. 55).


geologo sottoscrizione

Mancata sottoscrizione del programma di indagine da parte del geologo: può comportare l’esclusione dalla gara d’appalto?

geologo sottoscrizione La figura del geologo negli appalti pubblici pone una serie di questioni specifiche, con particolare riferimento alle gare per l’affidamento di indagini, studi e progettazione.

Una di tali questioni è stata di recente affrontata dal TAR Catania, che si è confrontato con la mancata sottoscrizione del programma delle indagini geognostiche e geotecniche e dei rilievi necessari alla redazione del progetto – regolarmente sottoscritto dalla società di ingegneria concorrente – anche dal geologo iscritto all’albo professionale, come richiesto dal bando di gara a pena di esclusione.

Il TAR Catania, pur richiamando l’orientamento giurisprudenziale in base al quale, ove il progetto rappresenti un elemento costitutivo dell’offerta tecnica, il difetto di sottoscrizione da parte del tecnico abilitato lo priva di rilevanza giuridica, traducendosi nella carenza un elemento essenziale dell’offerta stessa, ha tuttavia ritenuto che, nel caso di specie, la previsione di un’esclusione espressa e diretta per il difetto di sottoscrizione da parte del geologo risultasse irragionevole e sproporzionata, risolvendosi in un rigido formalismo non necessario e non adeguato al perseguimento di interessi meritevoli di tutela. Sul punto, la sentenza richiama il principio di proporzionalità, in base al quale gli atti amministrativi non debbono andare oltre quanto sia opportuno e necessario per conseguire lo scopo prefissato.

Infatti, secondo il TAR Catania, l’esigenza che l’offerta tecnica sia redatta e fatta propria, oltre che dal concorrente, anche da un geologo abilitato, a garanzia della correttezza delle soluzioni individuate, potrebbe essere adeguatamente soddisfatta mediante l’assegnazione di un termine al concorrente per comprovare, anche tramite una dichiarazione del geologo stesso, la “paternità” del documento tecnico presentato, procedendo all’esclusione solo nel caso della mancata produzione nel termine. Ciò a maggior ragione in casi, come quello oggetto della sentenza, in cui l’offerta tecnica sia stata sottoscritta dal legale rappresentante e il nominativo e l’iscrizione all’albo del geologo in questione risultino comunque dalla documentazione di gara.

Come sempre, in ogni caso, pur in presenza di precedenti giurisprudenziali poco restrittivi come quello in esame, è sempre opportuna la massima cautela con riferimento alle prescrizioni poste dal bando per l’offerta tecnica.

TAR Sicilia, Catania, Sez. I, 29.06.2020, n. 1566


decreto semplificazioni stipula processo

Decreto Semplificazioni: niente più sospensione “prudenziale” della stipula del contratto pubblico in attesa della sentenza

decreto semplificazioni stipula processoIl c.d. Decreto Semplificazioni (d.l. 16 luglio 2020, n. 76, al momento in cui si scrive in attesa di conversione) contiene anche alcune novità relative al rapporto fra appalti pubblici e processo amministrativo.

Fra queste, vi è una disposizione volta a limitare la prassi per cui, ove sia stato proposto un ricorso giurisdizionale avverso l’aggiudicazione di un appalto pubblico, le stazioni appaltanti talora attendono – anche dopo l’esaurimento del periodo di standstill e in assenza di un provvedimento cautelare di sospensione del provvedimento – la conclusione del giudizio (di primo e/o di secondo grado) prima di stipulare il contratto con l’aggiudicatario ed avviare l’esecuzione della prestazione.

Tale prassi si fonda, evidentemente, su una scelta prudenziale diretta ad evitare il consolidarsi di situazioni che, ove travolte da un successivo provvedimento del giudice, potrebbero risultare difficili da ripristinare, determinando anche l’insorgere di profili risarcitori nei confronti del soggetto che, all’esito del giudizio, dovesse venire individuato quale legittimo vincitore della selezione.

La previsione in esame viene inserita dal Decreto Semplificazioni all’art. 32, co. 8, del Codice dei contratti pubblici nell’ambito di una più generale modifica che introduce una generale richiesta di una motivazione rafforzata per le ipotesi di differimento della stipula del contratto oltre il termine previsto di 60 giorni (“con specifico riferimento all’interesse della stazione appaltante e a quello nazionale alla sollecita esecuzione del contratto”), unitamente all’avvertimento – in linea con altre disposizioni nell’ambito del Decreto Semplificazioni – che la decisione di ritardare la stipula sarà valutata ai fini della responsabilità erariale e disciplinare del dirigente preposto (art. 4, co. 1, d.l. n. 76/2020).

Con riferimento alla motivazione per le ipotesi di mancata stipula del contratto nel termine previsto, viene dunque fra l’altro previsto che non costituisce una giustificazione adeguata di tale decisione la pendenza di un ricorso giurisdizionale nel cui ambito non sia stata disposta o inibita la stipulazione del contratto con un provvedimento del giudice. Pertanto, la mera pendenza di un giudizio non potrà essere più addotta quale motivazione per differire la stipula del contratto oltre il termine di 60 giorni e il dirigente che dovesse agire in contrasto con tale previsione potrà incorrere nelle fattispecie di responsabilità sopra richiamate (con una formulazione a ben vedere non molto precisa e meritevole di ulteriore approfondimento).

L’art. 32, co. 8, come modificato dal Decreto Semplificazioni, fa espressamente salvo il termine di standstill sostanziale e processuale, in base al quale il contratto non può comunque essere stipulato prima di 35 giorni dall’invio dell’ultima delle comunicazioni dell’aggiudicazione o del provvedimento adottato all’esito della camera di consiglio o, infine, della camera di consiglio stessa, in assenza di una decisione sull’istanza per le ragioni previste.

Oltre alle ipotesi di rigetto dell’istanza cautelare proposta dal ricorrente, la nuova previsione potrebbe assumere rilievo anche nelle ipotesi di accoglimento dell’istanza cautelare ai soli fini della sollecita fissazione dell’udienza di merito (quindi senza sospensione del provvedimento, ai sensi dell’art. 55, co. 10, C.P.A.) e in quelle di rinuncia all’istanza cautelare, nell’ottica di “rinviare al merito” la discussione, che nella prassi attuale vede sovente anche le stazioni appaltanti impegnarsi, più o meno formalmente, a non procedere nelle more alla stipula contratto.

Tali ipotesi, tuttavia, dovrebbero divenire meno frequenti alla luce dell’ultimo comma dello stesso art. 4 del Decreto Semplificazioni, che reca invece modifiche all’art. 120 del Codice del processo amministrativo e, in particolare, la previsione che la definizione del giudizio nel rito appalti avvenga, di norma, all’esito dell’udienza cautelare.

Permangono, però, una serie di scenari nei quali tale definizione anticipata non è possibile (ad esempio, nel caso di dichiarazione da parte del controinteressato dell’intenzione di proporre ricorso incidentale). Lo stesso Decreto Semplificazioni, del resto, sembra mostrarsi consapevole della possibile insorgenza di profili risarcitori, in quanto consente alle stazioni appaltanti di stipulare contratti di assicurazione della propria responsabilità civile derivante dalla conclusione del contratto e dalla prosecuzione o sospensione della sua esecuzione.


interpolazione lineare

L’interpolazione lineare negli appalti pubblici tra effetti distorsivi e contenimento dei costi

interpolazione lineare

L’interpolazione lineare è un metodo per calcolare il punteggio da attribuire agli elementi quantitativi delle offerte in una gara d’appalto, ad esempio con riferimento all’elemento prezzo e, quindi, all’offerta economica dei concorrenti. Si tratta di una tipologia di formula di calcolo c.d. interdipendente, ovverosia di una formula in cui il punteggio attribuito a un concorrente dipende da quello attribuito agli altri, a differenza di quanto accade, invece, nelle formule c.d. indipendenti.

L’interpolazione lineare, rispetto ad altre formule interdipendenti, valorizza in modo particolarmente incisivo lo scarto fra un’offerta e l’altra. Anche l’ANAC, nelle proprie linee guida sull’offerta economicamente più vantaggiosa (Linee guida n. 2), ha sottolineato che tale metodo di calcolo presenta l’inconveniente di poter condurre a differenze elevate tra i punteggi assegnati anche a fronte di differenze marginali tra i valori assoluti.

Su tale metodo si è espressa, da ultimo, una sentenza del Consiglio di Stato relativa a una gara l’affidamento del servizio di trasporto e conferimento ad impianti di smaltimento di rifiuti derivanti da attività sanitarie.

Il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado censurava l’utilizzo di tale formula per attribuire il punteggio relativo all’offerta economica, sostenendo che tale metodo avrebbe determinato un effetto distorsivo del criterio di aggiudicazione adottato, riducendo eccessivamente il peso attribuito alla valutazione dell’offerta tecnica.

Il Consiglio di Stato, innanzitutto, ha ricordato che la scelta circa le modalità di attribuzione del punteggio all’offerta economica costituisce una manifestazione di ampia discrezionalità dell’amministrazione. In particolare, il meccanismo dell’interpolazione lineare è volto a premiare in maniera decisa e significativa il ribasso economico offerto e, pertanto, quella di adottarlo è una legittima facoltà per le stazioni appaltanti nei casi in cui queste intendano privilegiare – sin dall’indizione del bando – l’aspetto del contenimento dei costi.

La sentenza sottolinea, infine, che, nel caso di specie, la ricorrente aveva offerto un ribasso minimo dello 0,011% (con uno scarto incisivo rispetto a quanto offerto dall’aggiudicatario, ovverosia l’8,80%). Poiché, come si è visto, l’interpolazione lineare ha effetti particolarmente incisivi quando lo scarto fra le offerte è ridotto, il Consiglio di Stato ha ritenuto non sussistente nel caso concreto il rischio – riconosciuto comunque come insito nel meccanismo in questione – di sovrastimare il peso dell’offerta economica,

Cons. Stato, Sez. IV, 10/07/2020, n. 4413


co-progettazione corte costituzionale

La co-progettazione convince la Corte costituzionale

co-progettazione corte costituzionaleLa co-progettazione dei servizi con gli enti del Terzo settore è stata negli ultimi anni al centro di un acceso dibattito, incentrato, in particolare, sul suo rapporto con gli istituti di cui al Codice dei contratti pubblici. Dopo il parere del Consiglio di Stato che, nel 2018, aveva ritenuto prevalesse sempre la disciplina sugli appalti pubblici, negli ultimi mesi vi erano stati alcuni segnali di apertura verso un riconoscimento dell’autonomia degli istituti collaborativi del Codice del Terzo settore (il parere Cons. Stato, Sez. atti norm., n. 3235/2019) e anche un riconoscimento del ruolo della co-progettazione nell’ambito della rimodulazione dei servizi sociali nel corso dell’emergenza sanitaria causata dal Covid-19 prevista dal decreto Cura Italia.

Un ulteriore passo in tale direzione è stato compiuto con una recente sentenza della Corte costituzionale che coglie l’occasione della questione di legittimità costituzionale di una norma della Legge della Regione Umbria sulle cooperative di comunità per svolgere un lungo excursus sugli istituti di coinvolgimento degli enti del Terzo settore.

La norma sottoposta al vaglio della Corte costituzionale prevede che la Regione disciplini le modalità di attuazione nei confronti delle cooperative di comunità della co-programmazione, della co-progettazione e dell’accreditamento previste dall’art. 55 del Codice del Terzo settore, adottando appositi schemi di convenzione-tipo tra tali peculiari soggetti e le amministrazioni pubbliche. Le cooperative di comunità, secondo la definizione della stessa legge regionale, hanno quale obiettivo la produzione di vantaggi a favore di una comunità territoriale definita, alla quale i soci promotori appartengono o che eleggono come propria. Si tratta di una tipologia di soggetto che, di per sé, non si colloca fra le tipologie di enti del Terzo settore rientranti nell’ambito di applicazione del Codice. Infatti, non sorprendentemente, la Corte costituzionale ha concluso – ritenendo possibile un’interpretazione della norma regionale conforme alla Costituzione – che, ove le cooperative di comunità assumano la forma di ETS (e, in particolare, quella di cooperativa sociale o di altra impresa sociale), allora queste rientrano nell’ambito di applicazione dell’art. 55 del Codice, essendone invece escluse negli altri casi.

La questione, a ben vedere, poteva forse essere risolta anche senza approfondire la tematica degli istituti di cui all’art. 55 del Codice del Terzo settore, ma, in ogni caso, è innegabile che la lunga parentesi contenuta nella sentenza avrà un peso significativo nell'effettiva applicazione futura di tali istituti e, in particolare, della co-progettazione.

Con un linguaggio denso di immagini e con molti richiami a precedenti della stessa Corte, la sentenza ricollega l’art. 55 del Codice del Terzo settore, sul coinvolgimento degli ETS da parte delle pubbliche amministrazioni, al c.d. principio di sussidiarietà orizzontale. In tale contesto, la sentenza valorizza l’attitudine degli ETS a partecipare insieme ai soggetti pubblici alla realizzazione dell’interesse generale, arrivando a parlare dell’instaurazione, grazie all’art. 55, di “un canale di amministrazione condivisa, alternativo a quello del profitto e del mercato” e di un modello che “non si basa sulla corresponsione di prezzi e corrispettivi dalla parte pubblica a quella privata, ma sulla convergenza di obiettivi”.

Sicuramente la sentenza è un positivo passo avanti nel riconsolidare l'utilizzo della co-progettazione. Dopo una presa di posizione di questo tenore da parte della Corte costituzionale, infatti, diventa difficile sostenere, come era stato fatto nel richiamato parere del Consiglio di Stato del 2018, che l’art. 55 vada disapplicato per incompatibilità con il diritto dell’Unione europea, anche in ragione del richiamo ad alcuni precedenti della Corte di giustizia UE contenuto nella stessa sentenza.

Al contempo, sicuramente le pubbliche amministrazioni – e gli enti locali in particolare – saranno sicuramente rassicurate nell’adoperare un istituto come la co-progettazione che, per quanto era previsto da norme vigenti, per un periodo di tempo è stato guardato con ingiustificato sospetto.

Al di là del linguaggio immaginifico e dei giusti richiami allo spirito collaborativo che caratterizza i rapporti degli enti del Terzo settore con la pubblica amministrazione, però, è importante sottolineare anche il valore concreto del ruolo di tali enti nella progettazione e nella gestione di servizi, del contributo di professionalità e know how che viene apportato a vantaggio degli enti pubblici e della rilevanza di tali servizi per gli utenti coinvolti e per i lavoratori impiegati. Probabilmente la prossima sfida per la co-progettazione è proprio quella di rendere misurabile tale valore, con modalità confacenti alla peculiarità del settore.

Corte costituzionale, 26/06/2020, n. 131


in house motivazione

La motivazione rafforzata per gli affidamenti in house per la Corte costituzionale non è gold plating

in house motivazione Per procedere all’affidamento in house di un contratto che abbia ad oggetto servizi disponibili sul mercato in regime di concorrenza, le stazioni appaltanti devono – ai sensi dell’art. 192, co. 2, del Codice dei contratti pubblici – dare conto nella motivazione del provvedimento di affidamento delle ragioni del mancato ricorso al mercato e dei benefici per la collettività della forma di gestione prescelta, anche con riferimento agli obiettivi di universalità e socialità, di efficienza, di economicità e qualità del servizio e di ottimale impiego delle risorse pubbliche.

Tale previsione, che richiede un onere motivazionale specifico a sostegno della decisione di affidare un servizio in house, anziché bandire una gara di appalto pubblica aperta al mercato, è stata sottoposta al vaglio della Corte costituzionale per violazione del criterio direttivo dettato dalla legge delega (e dunque dell’art. 76 della Costituzione) sul c.d. divieto di gold plating. Infatti, la legge delega in attuazione della quale è stato adottato il Codice dei contratti pubblici prevede il divieto di introduzione o mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive dell'Unione europea in materia (art. 1, co. 1, l. n. 11/2016).

Secondo il TAR che ha sollevato la questione di legittimità costituzionale, l’onere di specifica motivazione delle ragioni del mancato ricorso al mercato non sarebbe previsto dalle direttive e, quindi, violerebbe tale divieto. La Corte costituzionale ha ritenuto tale questione infondata, in quanto l’art. 192, co. 2, del Codice dei contratti pubblici sarebbe espressione di una linea restrittiva del ricorso all’affidamento diretto costante nel nostro ordinamento da oltre dieci anni. Sul punto, la Corte richiama l’art. 23-bis, d.l. n. 112/2008 sui servizi pubblici locali, che è stato in realtà abrogato dal referendum popolare svoltosi nel 2011 e, dunque, evoca un indice che difficilmente può essere assunto come espressivo di una tendenza dell’ordinamento.

La Corte richiama poi l’art. 34, co. 20, d.l. n. 179/2012, che richiede alle amministrazioni di redigere un’apposita relazione sulle modalità di affidamento dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, che dia conto delle ragioni e della sussistenza dei requisiti previsti dall'Unione europea per la forma di affidamento prescelta e che definisca i contenuti specifici degli obblighi di servizio pubblico e di servizio universale. In effetti, la relazione di cui all’art. 34 è richiesta con riferimento a tutte le tipologie di affidamento e non differenzia, quindi, la gestione in house, considerandola una modalità ordinaria al pari del ricorso al mercato, a differenza della motivazione richiesta dall’art. 192, solo per l’ipotesi di affidamento in house.

D’altro canto, si può ritenere anche che, nel ricondurre l’onere motivazionale in questione a quello di cui all’art. 34, la sentenza in questione ne ammorbidisca in parte quantomeno il valore simbolico, fermo restando che il richiamo alla disciplina dei servizi pubblici locali abrogata con referendum popolare, così come alla giurisprudenza costituzionale che si era formata sulla stessa, risulta poco comprensibile, anche considerando l’orientamento della Corte sull’illegittimità del ripristino da parte del legislatore della normativa abrogata dal referendum stesso (sent. n. 199/2012).

Corte costituzionale, 27/05/2020, n. 100


Appalti al Volo

Appalti al volo - Il soccorso istruttorio: un anno dopo

Nella nuova puntata del podcast Appalti al volo si festeggia il primo anniversario del podcast tornando sul tema della prima puntata: il soccorso istruttorio. Si parla di alcune delle questioni affrontate di recente dalla giurisprudenza, ma anche, con la nostra ospite, di come questo istituto ha cambiato i rapporti fra gli operatori che partecipano alle gare.

L'ospite della puntata è Anna Maria Di Rienzo, responsabile ufficio gare di una primaria società che opera nel mercato degli appalti pubblici servizi e forniture.

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