accesso atti intera offerta tecnica segreti

Accesso agli atti di gara: intera offerta tecnica coperta da segreto e impugnazione dell’aggiudicazione

accesso atti intera offerta tecnica segretiL’accesso agli atti nell’ambito degli appalti pubblici continua a essere oggetto di pronunce giurisprudenziali altalenanti, soprattutto con riferimento alla nozione di segreti tecnici o commerciali – che ai sensi dell’art- 53, co. 5, lett. a del Codice dei contratti pubblici giustifica l’esclusione dall’accesso di alcune informazioni – e al rapporto di tale diritto con l’impugnativa degli atti di gara.

Nella seconda metà del 2020 vi sono state in materia ben due pronunce dell’Adunanza Plenaria (nn. 12 e 19), che però non hanno posto fine ai contrasti sul punto, né alla prassi di molte stazioni appaltanti di accogliere le opposizioni all’accesso dei contro interessati, senza effettuare alcuna valutazione circa la fondatezza di quanto ivi sostenuto.

Una recente sentenza del Consiglio di Stato si è confrontata con un caso in cui la Stazione appaltante aveva negato l’accesso all’intera offerta tecnica dell’aggiudicatario, in quanto questo aveva comunicato che tutti i dati e le informazioni ivi contenuti avrebbero costituito segreti tecnici commerciali e in quanto, comunque, il richiedente non aveva impugnato il provvedimento di aggiudicazione della procedura.

Con riferimento al profilo dell’omessa impugnazione dell’aggiudicazione, il Consiglio di Stato (richiamando le due sentenze dell’Adunanza Plenaria appena citate) ha ritenuto che non sarebbe lecito pretendere che un operatore economico, per essere legittimato all’accesso all’offerta tecnica dell’operatore vincitore, debba proporre un c.d. ricorso al buio, dovendo la necessità della conoscenza del documento essere valutata in relazione alla pertinenza solo astratta della documentazione rispetto all’oggetto della res controversa.

Ciò a maggior ragione in un caso, come quello oggetto della sentenza in esame, in cui l’intera offerta tecnica è stata sottratta all’accesso, pur in assenza di una specifica e puntuale motivazione circa la presenza di un segreto tecnico o commerciale esteso ad ogni suo aspetto.

Il Consiglio di Stato, infatti, ha ritenuto illegittima anche l’integrale sottrazione all’accesso dell’intera offerta tecnica quale atto sottoposto a segreto tecnico e commerciale, con particolare riferimento al contesto di una gara in cui, ai sensi del bando, tale offerta doveva evidenziare le caratteristiche tecniche della fornitura e la sua idoneità ai fini dell’utilizzo previsto, rilevanti ai fini della sua valutazione qualitativa, ma che non richiedeva necessariamente di fare riferimento a specifiche caratteristiche produttive e costruttive non già note o di dominio pubblico e fatte espressamente oggetto di tutela brevettuale o comunque di privativa industriale o commerciale.

Pertanto, sottolinea la sentenza, le esigenze di segretezza tecnica o commerciale avrebbero potuto essere fatte valere solo per le singole informazioni, da oscurare, sottoposte a tutela brevettuale o a privativa industriale o commerciale puntualmente e motivatamente indicate dalla stessa impresa controinteressata, che si era invece limitata ad una generica dichiarazione riferita all’intera offerta tecnica, acriticamente recepita dall’Amministrazione.

La Stazione appaltante, infatti – conclude condivisibilmente il Consiglio di Stato – è obbligata a controllare la fondatezza della dichiarazione dell’impresa controinteressata circa la sussistenza di specifici ambiti di segretezza industriale e commerciale.

Cons. Stato, Sez. III, 16/02/2021, n. 1428


Appalti al Volo

Appalti al volo - La vita nell’ufficio gare

Nella nuova puntata del podcast Appalti al volo si parla della vita di chi lavora in un ufficio gare, soffermandoci sulle sfide e sulle criticità del lavorare con gli appalti pubblici, ma anche sulle soddisfazioni e su alcune best practice, con degli utili consigli del nostro ospite.

L'ospite della puntata è Sacha Emiliani, tender manager che ha avviato su Linkedin una riflessione collettiva su cosa significhi lavorare in un ufficio gare.

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Smart mobility. Sharing monopattini elettrici concessione servizi discriminatorio requisito partecipazione servizio analogo esclusivamente in città italiane.

Smart mobility. Sharing monopattini elettrici come concessione di servizi: discriminatorio il requisito di partecipazione che prevede di aver espletato il servizio analogo esclusivamente in città italiane.

Smart mobility. Sharing monopattini elettrici concessione servizi discriminatorio requisito partecipazione servizio analogo esclusivamente in città italiane.

In tema di Smart mobility, una recente pronuncia del TAR Veneto, definendola come concessione di servizi, si chiede se possa essere definito discriminatorio il requisito di partecipazione che prevede di aver espletato il servizio analogo esclusivamente in città italiane nell’ambito di una procedura di selezione di operatori interessati a svolgere il servizio di sharing monopattini elettrici.

La sentenza del TAR Lombardia sull'ordine di arrivo delle domande come criterio di selezione

In tema di smart mobility, in particolare di sharing monopattini elettrici, la giurisprudenza amministrativa era ferma alla sentenza del TAR Lombardia n. 1274/2020 che ha avuto modo di affrontare la questione della illegittimità del criterio cronologico adottato dal Comune di Milano per la selezione degli operatori interessati a svolgere in via sperimentale, ai sensi del d.m. 229/2019, servizi di mobilità in sharing con dispositivi per la micromobilità elettrica (hoverboard, segway, monopattini e monowheel) cui associare il logo del Comune. Criterio che il Tribunale ha definito inadeguato.

La pronuncia, come avevamo anticipato, era destinata a produrre effetti in tutta Italia giacché il Collegio ha affermato che, sebbene non sia compito dei giudici suggerire criteri di scelta alternativi, questi criteri alternativi sono possibili. In sostanza, il TAR ha evidenziato che, anziché affidare la selezione degli operatori al caso, il Comune di Milano avrebbe potuto individuare un criterio qualitativo, un po’ come accade negli appalti pubblici quando si valuta l’offerta tecnica.

Il TAR Veneto sul requisito di partecipazione "discriminatorio"

E, infatti, è della scorsa settimana la sentenza del TAR Veneto che si esprime sulla legittimità delle condizioni di partecipazione previsti dal Comune di Venezia in relazione all’avviso pubblico di manifestazione d'interesse per l'individuazione di soggetti interessati a svolgere in via sperimentale il servizio di mobilità in sharing a flusso libero con monopattini elettrici, nel territorio del Comune.

Nel dettaglio, uno dei partecipanti esclusi ricorre al TAR impugnando non solo la sua esclusione ma anche lo stesso avviso che prevede, quale requisito soggettivo di partecipazione, di “aver già fornito analogo servizio in città italiane con almeno 100.000 abitanti per un periodo non inferiore a 6 mesi”.

In via preliminare, il Collegio ritiene infondata l’eccezione, dedotta da entrambe le resistenti, secondo cui, riguardando una c.d. clausola escludente, il ricorso in esame sarebbe tardivo in quanto l’impugnazione avrebbe dovuto essere proposta entro trenta giorni dalla pubblicazione dell’avviso ai sensi dell’art. 120 c.p.a..

Ad avviso del Collegio, come configurato nel caso di specie dalla lex specialis di gara (selezione dei candidati, assunzione del servizio da parte dell’Amministrazione, inserimento dello stesso come strumento complementare nel servizio di trasporto urbano, regolazione delle tariffe, imposizione di obblighi di servizio), il rapporto in questione deve essere ricondotto nell’ambito della concessione di servizi, istituto sottoposto, per quanto riguarda la procedura di affidamento, alla giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo e al rito speciale di cui agli artt. 120 e ss. c.p.a..

Tuttavia per costante giurisprudenza “La parte che eccepisce la decadenza della controparte da un termine (processuale o sostanziale) è tenuta a dimostrare tutti gli elementi costitutivi dell’eccepito fatto estintivo, tra cui la data di decorrenza del termine medesimo” (Cons. St., Sez. VI, 29 giugno 2015, n. 405).

Nel caso di specie tale prova non è stata fornita.

L’impostazione del rapporto con il gestore dello sharing come concessione di servizi, per cui ha optato il Comune di Venezia, non è l’unica ipotesi nella sia pur limitata prassi che è dato ad oggi esaminare. Nel caso del Comune di Milano appena richiamato, infatti, l’oggetto dell’avviso era più che altro ascrivibile alla figura dell’autorizzazione contingentata.

La rettifica dell’avviso pubblico di manifestazione di interesse - pubblicata sul profilo del committente in data 28 maggio 2020, con cui si è stabilito che ai fini della partecipazione era necessario aver svolto un servizio analogo in città italiane di almeno centomila abitanti per un periodo non inferiore a mesi 6, anziché ad un anno, come previsto nel testo originario dell’avviso - richiedeva il rispetto delle medesime forme di pubblicità dell’atto di indizione della procedura.

E non essendo indicato il valore dell’affidamento, doveva ritenersi applicabile la disciplina generale in tema di pubblicazione degli atti di indizione delle procedure di gara di cui agli artt. 129 e 130 del d.lgs. n. 50/2016.

A ciò si aggiunga, che mancando negli atti di gara un preciso richiamo al d.lgs. n. 50/2016, doveva in ogni caso riconoscersi il beneficio dell’errore scusabile ai sensi dell’art. 37 c.p.a..

Nel merito, il TAR Veneto accoglie il ricorso nella parte in cui la ricorrente lamenta la violazione dei principi, nazionali e comunitari, di concorrenza e di non discriminazione, anche indiretta, in base alla nazionalità.

Invero, i principi di parità di trattamento e di divieto di discriminazione in base alla nazionalità (artt. 49 e 56 TFUE) sono principi cardine – c.d. super principi o valori di sistema – dell’intera disciplina euro unitaria in materia di contratti pubblici.

Ed è di tutta evidenza che l’avere richiesto come requisito di partecipazione lo svolgimento di analogo servizio esclusivamente in una città italiana, con esclusione delle attività svolte in città appartenenti ad altri Paesi dell’Unione, determina una surrettizia restrizione – una discriminazione indiretta – all’acceso alla procedura per gli operatori comunitari non italiani o che non operano in Italia.

Del resto, in materia di contratti pubblici, è frequente che la giurisprudenza amministrativa dichiari illegittime clausole dei bandi di gara che valorizzino, in modo irragionevole, il radicamento dell’operatore in un dato territorio.

Inoltre, non colgono nel segno i rilievi avanzati dal Comune secondo cui la Direttiva servizi non sarebbe applicabile nel settore dei trasporti.

Sin dalla Comunicazione interpretativa della Commissione sulle concessioni nel diritto comunitario del 12 aprile 2000 e dalla Comunicazione interpretativa relativa al diritto comunitario applicabile alle aggiudicazioni di appalti non o solo parzialmente disciplinate dalle direttive appalti pubblici, oggi recepite nelle attuali direttive nn. 23/2014/UE e 24/2014/UE nonché nel d.lgs. n. 50/2016, si è chiarito che anche per i contratti esclusi dal raggio di applicazione delle direttive, le stazioni appaltanti che li stipulano sono comunque tenute a rispettare i principi fondamentali del Trattato in generale, ed il principio di non discriminazione in base alla nazionalità in particolare (Cons. St., Ad. Plen., 30 gennaio 2014, n. 7).

A ciò si aggiunga che ai sensi dell’art. 1, comma 1, della legge n. 241/1990 detti principi sono stati recepiti nel nostro ordinamento e devono pertanto ritenersi applicabili anche agli ambiti non specificamente oggetto della disciplina comunitaria.

Né risultano convincenti le motivazioni postume, dedotte dalla resistente a sostegno della scelta di circoscrivere la partecipazione alle imprese che hanno svolto analogo servizio in una città italiana.

A prescindere dal fatto che sono principalmente gli utenti del servizio a dover conoscere le norme del Codice della Strada, è chiaro che anche gli operatori comunitari non italiani devono essere in grado di acquisire una adeguata conoscenza delle norme e delle modalità di circolazione dei veicoli.

Anche le specificità del servizio elencate dall’Amministrazione (la scarsità di zone 30, la scarsità di zone residenziali e di corsie ciclabili, la presenza non sporadica di interruzioni della rete ciclabile, la mancanza ovvero comunque la scarsità di corsie riservate per i bus e la mancanza ovvero comunque la scarsità di elementi di agevolazione della mobilità urbana per le biciclette/monopattini) non consentono di ritenere proporzionata la prevista compromissione del super principio- valore di non discriminazione in base alla nazionalità.

Ciò in considerazione della natura sperimentale del servizio e dell’esigenza di beneficiare delle migliori esperienze maturate nelle diverse città europee, anziché delle (allo stato) limitate esperienze locali.

Da ultimo, precisa il collegio che l’interesse fatto valere dal ricorrente che impugna la sua esclusione è volto a concorrere per l’aggiudicazione nella stessa gara, dunque, anche nel caso di gara da aggiudicare con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, in presenza del giudicato di annullamento dell’esclusione sopravvenuto alla formazione della graduatoria, il rinnovo degli atti deve consistere nella sola valutazione dell’offerta illegittimamente pretermessa, da effettuarsi ad opera della medesima commissione preposta alla procedura (Cons. St., Ad. Plen., 26 luglio 2012, n. 30).

(TAR Veneto, Sez. I, 8.2.2021, n. 177)


accreditamento sanitario

Accreditamento: nuovi bandi anche se il fabbisogno regionale non cambia

accreditamento fabbisogno bandiNel meccanismo dell’accreditamento istituzionale, l’analisi del fabbisogno – pur nella varietà delle discipline regionali – è centrale per una corretta programmazione e fissazione dei tetti di spesa.

Ma cosa accade nel caso che il fabbisogno regionale non subisca variazioni? Si tratta di una giustificazione sufficiente per la mancata indizione di nuovi bandi per l’accreditamento?

Di recente, il Consiglio di Stato ha precisato che il fabbisogno regionale può ben rivelarsi statico e potenzialmente restare immutato anche per lungo tempo. Pertanto, una mancata variazione di tale fabbisogno non potrebbe essere considerata di per sé una ragione sufficiente per “congelare” gli accreditamenti già concessi.

Infatti, afferma il Consiglio di Stato, la pubblicazione di nuovi bandi non può essere recessiva rispetto alla reiterata conferma dei soggetti già accreditati. Proprio un meccanismo come l’accreditamento, che si basa  sulla sussidiarietà orizzontale tra soggetti erogatori del servizio pubblici e privati accreditati, non può sfuggire a meccanismi a tutela della concorrenzialità del sistema, come la verifica periodica degli operatori già accreditati.

Del resto, l’accreditamento attribuisce al suo titolare una posizione concorrenziale di vantaggio (“plusvalore”, secondo la sentenza) rispetto agli altri operatori privati. Reiterare il rinnovo dell’accreditamento senza indire nuove procedure determina il consolidamento di tale posizione, mentre una verifica, periodica e trasparente, dell’eventuale maggiore efficienza e qualità di altri soggetti che aspirino ad accreditarsi risponde anche all’esigenza che l’offerta sanitaria sia costantemente controllata, aggiornata e rinnovata.

Al contempo, un bando per nuovi accreditamenti non determinerebbe di per sé un aumento dei c.d. tetti di spesa, ma soltanto la verifica ed – eventualmente – la redistribuzione delle risorse già esistenti.

Insomma, secondo il Consiglio di Stato, una valutazione periodica che consenta di comparare chi è già accreditato e chi aspira ad esserlo risponde alla migliore e più efficiente allocazione delle risorse disponibili.

Cons. Stato, Sez. III, 4/02/2021, n. 1043


Appalti al Volo

Appalti al volo - Parliamo di equivalenza?

Nella nuova puntata del podcast Appalti al volo si parla di specifiche tecniche e principio di equivalenza con un ospite particolarmente autorevole: il dott. Umberto Realfonzo, Presidente del TAR Abruzzo, già Consigliere di Stato.

Fra i temi trattati, l’evoluzione della giurisprudenza in materia di prova dell’equivalenza e l’approccio del giudice amministrativo rispetto ai casi concreti.

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cooperative sociali convenzioni

Cooperative sociali: l’esclusione dalle convenzioni con la P.A. riservate alle organizzazioni di volontariato rimessa alla Corte di Giustizia UE

cooperative sociali convenzioniLe cooperative sociali e le altre imprese sociali sono attualmente escluse dall’applicazione di alcuni istituti che rappresentano modalità per l’affidamento di attività o servizi sociali di interesse generale alternative agli appalti pubblici.

In particolare, non possono essere sottoscritte con le cooperative sociali né le convenzioni di cui all’art. 56 del Codice del Terzo settore, riservate alle organizzazioni di volontariato e alle associazioni di promozione sociale, né le particolari convenzioni per l’affidamento dei servizi di trasporto sanitario di emergenza e urgenza, di cui al successivo art. 57, che possono essere stipulate solo con le organizzazioni di volontariato (ODV) aderenti ad una rete associativa.

La questione della compatibilità con il diritto dell’Unione europea del solo art. 57 del Codice del Terzo settore, nella parte in cui non include le cooperative sociali (e più in generale le imprese sociali) tra i possibili affidatari tramite convenzione del servizio di trasporto sanitario di emergenza e urgenza, è stata recentemente rimessa alla Corte di Giustizia dal Consiglio di Stato.

L’interesse dell’ordinanza di rimessione, per la verità, travalica la specifica questione del trasporto sanitario di emergenza e urgenza, in quanto il Consiglio di Stato articola una complessiva riflessione sulla natura e il ruolo delle cooperative sociali nella gestione di servizi di interesse generale per conto delle pubbliche amministrazioni.

Nel raffrontare le cooperative sociali con le organizzazioni di volontariato, l’ordinanza sottolinea innanzitutto le peculiarità delle prime, che, seppure finalizzate al perseguimento di obiettivi di integrazione e promozione sociale e operanti senza scopo di lucro, si basano sulla cooperazione e, quindi, su una forma lavorativa comune volta a produrre un vantaggio economico per i soggetti che fanno parte della cooperativa. Al contrario, le ODV non attribuiscono nemmeno un’utilità economica indiretta agli associati, che prestano la loro attività in modo volontario, spontaneo e gratuito. A differenza delle ODV, insomma, le cooperative sociali perseguono una finalità imprenditoriale, anche se caratterizzata da uno scopo mutualistico.

Ciononostante, l’ordinanza rileva che pare dubbia l’esclusione delle cooperative sociali dalla possibilità dell’affidamento in convenzione dei servizi di trasporto sanitario di emergenza e urgenza, e ciò per una serie di ragioni:

  1. il dato testuale per cui la stessa Direttiva 2014/24/UE ai fini del convenzionamento diretto dei servizi di emergenza-urgenza parla di “organizzazioni e associazioni senza scopo di lucro” e, quindi, adopera una nozione dotata di un’estensione che non pare limitata alle sole associazioni di volontariato;
  2. ragioni di ordine logico e sistematico, giacché tutti questi soggetti sono posti sullo stesso piano dalla giurisprudenza per cui l’assenza del fine di lucro non osta di per sé alla partecipazione agli appalti pubblici e dunque è logico che siano equiparati anche quando si tratti di prevedere l’esonero dalle regole sull’evidenza pubblica;
  3. la stessa Corte di Giustizia dell’UE ha più volte chiarito che nella nozione di appalto pubblico, quale contratto a titolo oneroso, deve essere fatto rientrare anche il contratto in cui sia previsto il solo rimborso delle spese sostenute (da ultimo con sentenza Sez. IV, 10 settembre 2020 in C-367/2019). Pertanto, anche la circostanza per cui soltanto nelle associazioni di volontariato manchi qualunque vantaggio economico dei soci, che conseguono solo il rimborso delle spese, non rileverebbe a giustificare il trattamento diverso delle ODV rispetto alle cooperative sociali, perlomeno sul piano del diritto UE;
  4. come le organizzazioni di volontariato possono avvalersi di lavoratori, così le cooperative sociali possono avere soci volontari, a cui viene corrisposto solo il rimborso delle spese.

Bisogna ora attendere che sulla questione si esprima la Corte di Giustizia dell’Unione europea. Il Consiglio di Stato, infatti, ha ritenuto di dare priorità alla questione di compatibilità della norma interna con il diritto UE rispetto alla questione di legittimità costituzionale della medesima norma, parimenti proposta dal ricorrente nel giudizio. L’ordinanza motiva tale decisione con riferimento alla circostanza che la questione dei limiti entro i quali sia ammesso l’affidamento dei servizi di trasporto sanitario di emergenza-urgenza in deroga all’evidenza pubblica sia suscettibile di incidere sul settore economico, anche oltre il livello nazionale.

Pur comprendendo la scelta del Collegio – e ritenendo peraltro più probabile l’accoglimento della questione nella sede individuata che dinnanzi alla Corte costituzionale – è difficile non chiedersi come si sarebbe espressa in merito la Corte costituzionale, soprattutto nella scia delle pronunce in materia di Terzo settore degli ultimi anni. Del resto, è di pochi mesi fa la sentenza 26 novembre 2020, n. 255, in cui la Corte ha ritenuto infondata la questione di legittimità costituzionale della legge della Regione Sardegna che ammetteva lo strumento convenzionale per lo svolgimento del servizio di emergenza-urgenza nei confronti di associazioni ONLUS e cooperative sociali, pur rilevando le problematiche applicative dell’art. 57.

Del resto, per quanto la questione rimessa dal Consiglio di Stato riguardi solo l’art. 57 – in quanto recante una disciplina speciale che prevale su quella dell’art. 56, escludendole l’applicabilità alla fattispecie al caso oggetto del giudizio – non è detto che le conclusioni della Corte di giustizia non possano estendersi anche alle convenzioni “generali” di cui all’art. 56, il che potrebbe avere un impatto notevole sull’attuale assetto dei rapporti fra enti del Terzo settore e pubbliche amministrazioni.

Cons. Stato, Sez. III, ord. 18/01/2021, n. 536


Appalti al Volo

Appalti al volo - Varianti e migliorie nelle offerte

Nella nuova puntata del podcast Appalti al volo si parla di varianti e proposte migliorative nelle offerte e della distinzione fra le due ipotesi, che porta con sé rilevanti conseguenze ma non è sempre agevole in concreto. Con l’occasione, riflettiamo anche sui margini che hanno i concorrenti per apportare un contributo innovativo nella gare d’appalto.

L'ospite della puntata è l’Arch. Alessandra Izzo, responsabile dell’ambito proposal di BMS Progetti, società di progettazione multidisciplinare.

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requisiti appalti centri antiviolenza

Appalti pubblici per i centri antiviolenza: il requisito delle finalità statutarie

requisiti appalti centri antiviolenzaGli appalti pubblici per la gestione dei centri antiviolenza sono procedure particolari, regolate, oltre che dal Codice dei contratti pubblici e dalla disciplina sull’affidamento dei servizi sociali, da disposizioni specifiche finalizzate a garantire l’adozione di un corretto approccio al fenomeno della violenza di genere.

Uno degli aspetti che assume particolare rilievo in tali gare è quello dei requisiti dei soggetti che si candidano a gestire i centri antiviolenza e le case rifugio. Infatti,  nella predisposizione dei bandi per l’affidamento di tali servizi, le stazioni appaltanti devono considerare anche la disciplina di settore e, in primo luogo, l’art. 5-bis, co. 3, d.l. n. 93/2013, che richiede che i gestori dei centri abbiano “maturato esperienze e competenze specifiche in materia di violenza contro le donne” e che utilizzino “una metodologia di accoglienza basata sulla relazione tra donne, con personale specificamente formato”.

Inoltre, le stazioni appaltanti devono fare riferimento all’Intesa della Conferenza unificata del 27 novembre 2014, cui rinviano i d.P.C.M. 24 luglio 2014 e 4 novembre 2019 e che detta i requisiti minimi che devono possedere i centri antiviolenza e le case rifugio, anche per poter accedere al riparto delle risorse finanziarie di cui al d.l. n. 93/2013.

L’intesa richiede, fra l’altro, che i soggetti gestori dei centri antiviolenza e delle case rifugio abbiano “nel loro Statuto i temi del contrasto alla violenza di genere, del sostegno, della protezione e dell’assistenza delle donne vittime di violenza e dei loro figli quali finalità esclusive o prioritarie, coerentemente con quanto indicato con gli obiettivi della Convenzione di Istanbul[1] ovvero che dimostrino “una consolidata e comprovata esperienza almeno quinquennale nell’impegno contro la violenza alle donne”.

Per quanto significativa, l’Intesa risulta meno efficace di quanto avrebbe potuto essere nella parte in cui sembra porre quale alternativi i requisiti della finalità statutaria esclusiva o prioritaria e quello della consolidata e comprovata esperienza almeno quinquennale. In ogni caso, le stazioni appaltanti non possono prescindere dal fatto che specifiche esperienze e competenze in materia di violenza contro le donne sono comunque richieste dal d.l. n. 93/2013, né dalla disciplina adottata in materia da molte Regioni, che hanno provveduto a precisare i requisiti previsti dall’Intesa o hanno istituito appositi albi regionali, come è stato fatto ad esempio in Piemonte e Lombardia.

Alla luce della specificità dei servizi in questione e per garantire una corretta attuazione della Convenzione di Istanbul, è in effetti opportuno che, pur nell’esercizio della loro discrezionalità sul punto, le stazioni appaltanti individuino i requisiti di partecipazione per queste gare nel rispetto della disciplina di settore e comunque con particolare attenzione, anche nel solco della giurisprudenza sull’esperienza in servizi identici – e non solo analoghi –  formatasi nell’ambito dei servizi sociali (ne abbiamo parlato qui).

Anche con riferimento al requisito delle finalità statutarie esclusive o prioritarie, che nell’Intesa del 2014 è direttamente collegato agli obiettivi della Convenzione di Istanbul, sarebbe però opportuno un maggiore dettaglio, sia a livello normativo, che da parte delle amministrazioni nella formulazione dei bandi di gara.

Di recente è stata pubblicata la seconda edizione dell’indagine che l’Istat conduce annualmente sulle prestazioni e i servizi offerti dai centri antiviolenza in collaborazione con le Regioni e il Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Da tale indagine risulta che nell’anno 2018, dei centri antiviolenza che hanno come ente gestore un soggetto privato, solo il 57% si occupa esclusivamente di violenza contro le donne, il che vuol dire che il 43% si occupa anche di altri settori[2].

Purtroppo l’indagine non si sofferma sulle modalità di affidamento della gestione del servizio, ma considerando che la maggioranza dei centri che hanno un gestore privato diverso dal promotore è di titolarità pubblica, si tratta sicuramente di un dato significativo con riferimento ai centri la cui gestione è affidata tramite appalti pubblici.

appalti centri antiviolenza istat

Fonte: Report Istat sull’indagine sui centri antiviolenza condotta nel 2019

Tale dato conferma l’opportunità di un maggiore dettaglio nella delimitazione della nozione di finalità statutarie “prioritarie”, ferma restando la responsabilità delle stazioni appaltanti nel formulare bandi che tutelino le utenti del servizio e che garantiscano la compatibilità dell’approccio metodologico alla violenza di genere con la Convenzione di Istanbul e le altre fonti in materia.

 

[1] Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, adottata a Istanbul l’11 maggio 2011 e ratificata dall’Italia nel 2013.

[2] Indagine effettuata nel 2019 con riferimento all’attività svolta nell’anno precedente e pubblicata il 28 ottobre 2020.


accreditamento sanitario fabbisogno bandi

La natura dei controlli sugli accordi contrattuali con le strutture accreditate

natura controlli accordi contrattuali strutture accreditateLa natura dei provvedimenti di monitoraggio e controllo delle attività e prestazioni oggetto dei rapporti contrattuali con le strutture sanitarie private accreditate è particolarmente discussa e controversa.

Le Regioni, infatti, sono dotate di un potere di controllo e vigilanza sugli accordi contrattuali nell’ambito dell’attuale c.d. sistema delle 3 “A” (autorizzazione, accreditamento e, appunto, accordi contrattuali). In tale sistema,  come è noto, a seguito del rilascio dell’autorizzazione, che, in presenza dei requisiti minimi richiesti, consente l’esercizio di attività sanitarie, può essere richiesto l’accreditamento, con cui viene riconosciuto lo status di potenziali erogatori di prestazioni sanitarie nell’ambito e per conto del Servizio Sanitario Nazionale, in presenza di requisiti ulteriori e compatibilmente con il fabbisogno determinato in sede di programmazione regionale (artt. 8-bis e ss. del d.lgs. n. 502/1992, come modificato d.lgs. n. 229/1999).

L’accreditamento permette poi la stipula di accordi contrattuali con le istituzioni regionali per l’individuazione dei volumi e della tipologia di prestazioni fruibili dagli utenti del SSN, in base ai programmi di fabbisogno periodicamente stilati a livello regionale e agli oneri finanziari da sostenere. Tali accordi definiscono anche le responsabilità e gli impegni reciproci, le tariffe e gli obiettivi specifici da perseguire, nonché i controlli sulle pattuizioni.

In tale sistema, le Regioni e le aziende unità sanitarie locali attivano un sistema di monitoraggio e controllo sulla definizione e sul rispetto degli accordi contrattuali da parte di tutti i soggetti interessati, nonché sulla qualità della assistenza e sulla appropriatezza delle prestazioni rese (art. 8-octies, d.lgs. 502/1992, più volte modificato). Inoltre, anche “al fine di realizzare gli obiettivi di economicità nell’utilizzazione delle risorse e di verifica della qualità dell'assistenza erogata”, sono previsti controlli analitici annui sulle cartelle cliniche e sulle schede di dimissione dei pazienti (art. 88, co. 2, l. n. 388/2000, come sostituito dall’art. 79, d.l. n. 112/2008).

Con riferimento alla natura di tali atti di controllo e monitoraggio, due recenti sentenze del Consiglio di Stato hanno capovolto le decisioni del TAR Lazio che avevano ritenuto che – ferma la giurisdizione amministrativa sugli atti che stabiliscono i criteri di esercizio del controllo – gli atti a valle, meramente applicativi di tali criteri, avrebbero natura di atti paritetici, sottraendo la relativa contestazione alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di concessioni di pubblici servizi.

Le due sentenze in esame hanno sottolineato che i controlli di appropriatezza non esauriscono la loro funzione nella verifica dell’adempimento da parte del soggetto convenzionato alle obbligazioni derivanti dal rapporto concessorio di accreditamento, ma sono invece volti a perseguire obiettivi, di pubblico interesse, di economicità nell’utilizzo delle risorse e di verifica della qualità dell’assistenza erogata, a tutela del diritto alla salute.

Inoltre, il Consiglio di Stato ha escluso che il carattere vincolato dell’attività di controllo implichi di per sé l’assenza in capo all’amministrazione di una posizione di supremazia e dunque natura paritetica degli atti adottati, in qualche modo “trasformando” il potere in una categoria civilistica, assimilabile ad un diritto potestativo. Il potere vincolato, insomma, rimane comunque espressione di “supremazia” o di “funzione” e l’attività non cessa di essere attività autoritativa che si traduce in atti di natura (non paritetica ma) provvedimentale, sottoposti quindi alla giurisdizione del giudice amministrativo.

La diversa soluzione del TAR, evidenzia il Consiglio di Stato, ha anche il difetto di determinare una segmentazione del procedimento di controllo in varie sotto-fasi, frammentando il relativo contenzioso.

In conclusione, la valutazione di inappropriatezza delle prestazioni erogate non si limita al mero profilo patrimoniale, ma sta ad indicare l’espletamento del servizio sanitario in modo non conforme ai principi di efficienza, efficacia, economicità dell’azione pubblica, di garanzia della qualità delle prestazioni rese e di rispetto degli standard connessi ai livelli essenziali di assistenza. Poiché la contestazione della debenza dell’importo richiesto a titolo di sanzione nell’ambito dei controlli in questione porta con sé lo scrutinio sulla legittimità dell’attività provvedimentale autoritativa e tecnicamente discrezionale della P.A., secondo il Consiglio di Stato è giustificata la devoluzione della controversia alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

Cons. Stato, Sez. III, 9/12/2020, n. 7820

Cons. Stato, Sez. III, 2/12/2020, n. 7646


Appalti al Volo

Appalti al volo - L'Italia immobile

Nella nuova puntata del podcast Appalti al volo si parla di alcuni dei problemi che affliggono il settore degli appalti pubblici in Italia e lo facciamo con un ospite di eccezione: il dott. Michele Corradino, Presidente di Sezione del Consiglio di Stato, già Consigliere ANAC ed autore del libro “L’Italia immobile”.

Qui sono disponibili maggiori informazioni sul libro: https://bit.ly/italia-immobile

Per suggerire nuovi temi e possibili ospiti per le prossime puntate è possibile scrivere a appaltialvolo@legal-team.it

Il podcast si può ascoltare comodamente accedendo al sito Legal Team nella sezione “Appalti al volo” oppure dal proprio smartphone nelle app Spreaker, Apple Podcasts, Spotify o semplicemente cliccando sulle icone in basso:

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